LEGGE 40/ L’esperto: così la nostra Costituzione ci salva dall’Europa -
INT. Alberto Gambino, il sussidiario.it, mercoledì 21 settembre 2011
«Il ricorso alla Corte europea
dei diritti umani contro la legge 40 è un tentativo di stravolgere la
Costituzione italiana, che pone la persona come il bene fondamentale
dell’ordinamento giuridico. Ritenere di potersi appellare al diritto alla “vita
privata e familiare” per sopprimere degli embrioni, significa voler introdurre
un principio che esiste nei Paesi anglosassoni, ma che è del tutto estraneo al
diritto italiano». Lo afferma Alberto Gambino, professore di diritto
all’Università Europea di Roma, a proposito del caso di una coppia italiana,
Rosetta Costa e Walter Pavan, portatrice sana di fibrosi cistica. I due hanno
deciso di opporsi al punto della legge 40 in cui si vieta la diagnosi
preimpianto, ovvero la pratica collegata alla fecondazione assistita che
consiste nell’analizzare l’embrione per capire se è sano o malato prima di
impiantarlo nell’utero.
Professor Gambino, ritiene
fondato il ricorso contro la legge 40?
La legge 40 è stata introdotta
nel nostro ordinamento per offrire una soluzione ai problemi di sterilità o di
infertilità attraverso alcune tecniche di fecondazione assistita che non siano
così invasive da menomare l’embrione. La stessa legge pone quindi come
principio fondamentale la salvaguardia della salute dell’embrione. Proprio
perché l’embrione, essendo creato in vitro al di fuori dell’utero materno, è
fragile e facilmente vulnerabile. C’è poi stato un regolamento attuativo, le
cosiddette linee guida della legge 40, che con riferimento ai casi di malattie
geneticamente trasmissibili come Aids ed epatite B hanno operato una prima
interpretazione. Secondo queste linee guida non si sarebbe sterili o infertili
solo per motivi biologici, ma anche quando l’eventuale concepimento porti ad
avere delle situazioni di malattia dell’embrione. Le linee guida hanno quindi
offerto anche a queste coppie la possibilità di ricorrere alla fecondazione
artificiale. Ora il passaggio ulteriore, chiesto con il ricorso, è di estendere
le linee guida anche alla fibrosi cistica.
Ma le coppie affette da Aids
possono accedere alla diagnosi preimpianto o ad altre tecniche?
Le linee guida hanno consentito
ai portatori di virus Hiv di accedere al cosiddetto “lavaggio dei gameti”.
Quindi gli stessi gameti, per via artificiale, possono essere avvicinati l’uno
all’altro portando alla procreazione. Una volta però che l’embrione si è
formato, è seguita alla lettera la legge 40 preservandone l’integrità. La
coppia che ha fatto ricorso invece chiede qualcosa di diverso. Siccome la
fibrosi cistica si scopre soltanto dopo la fecondazione, e non prima, si
vorrebbe verificare attraverso la diagnosi preimpianto quali sono gli embrioni
sani e quali invece sono affetti dalle patologie, come la fibrosi cistica,
operando quindi una selezione per impiantare i primi e scartare i secondi.
E perché questo è vietato dalla
legge 40?
Perché tra i suoi obiettivi c’è
quello di opporsi alla selezione eugenetica e impedire che possa essere lesa
l’integrità dell’embrione. Cosa che invece avviene inevitabilmente con la
diagnosi preimpianto, perché sono formati più embrioni, si selezionano quelli
sani, si scartano quelli affetti da patologie e si impiantano soltanto gli
altri. E quindi gli embrioni affetti da patologie sono distrutti. E’ una
situazione diversa rispetto a quella della sindrome da Hiv, nella quale sono
puliti i gameti quando ancora non esiste una vita umana, ma soltanto delle
cellule sessuali, maschili o femminili. Proprio per questo, ritengo che la
Corte di Strasburgo non potrà esprimersi in modo positivo sul ricorso.
La coppia italiana però si è
appellata al suo diritto al rispetto della vita privata e familiare. Che cosa
significa?
Il concetto di diritto alla vita
privata e familiare è tipicamente nordamericano e anglosassone. Ed è legato a
quelle normative che vedono nell’individuo il punto di riferimento
dell’ordinamento giuridico. Al contrario dell’ordinamento italiano, dove la
pietra angolare è la tutela della persona umana intesa come bene giuridico in
sé. Mentre nei Paesi nordamericani è l’individuo, cioè le sue scelte
finalizzate alla propria realizzazione, che deve essere rispettato, e la
realizzazione dell’individuo è il punto di riferimento dell’ordinamento. Questo
significa che se per realizzare la vita individuale e familiare è necessario
eliminare un altro soggetto, questa possibilità non è esclusa dalla
giurisprudenza. Proprio come nella diagnosi preimpianto, nella quale
inevitabilmente si eliminano altri embrioni, che hanno comunque una loro
soggettività giuridica e sono vite umane.
In virtù di quali valori si può
accettare di sacrificare una vita umana?
In nome di questo valore
superiore della privatezza e del rispetto della vita individuale e familiare,
che secondo una certa mentalità non si realizzerebbe se non si avesse un
figlio. In Italia invece il principio è esattamente il contrario: è il figlio
che deve avere tutti i diritti primari, e che quindi deve inserirsi dove
possibile in contesti armonici, basti pensare al caso dell’adozione. E comunque
la vita nascente non può certo diventare strumento al fine di assecondare un
bisogno o un desiderio, perché in questo caso si ribalterebbe il nostro
ordinamento costituzionale, che non prevede che le vite umane siano strumentali
ai bisogni di altri soggetti.
Ma quindi perché fare ricorso
alla Corte europea?
Per rovesciare un principio
democratico della nostra Costituzione, arrivando a dire: “Pur di realizzarsi,
la coppia può sopprimere altre vite umane come quelle degli embrioni, che
saranno selezionate attraverso la diagnosi preimpianto e scartati qualora
risultino malati”.
Quale punto della Costituzione
afferma invece il contrario?
L’articolo 2 della Costituzione,
quando si dice che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo”. Questo significa che prima della legge, prima dello Stato, vengono
i diritti inviolabili dell’essere umano, che quindi sono diritti intangibili.
Laddove invece si ritenesse che alcuni soggetti, poiché sostanzialmente quasi
invisibili come gli embrioni, non hanno questa inviolabilità, significa che la
legge viene prima della persone. Cioè l’esatto contrario della nostra Costituzione.
Ma è legittimo rivolgersi alla
Corte europea, come ha fatto la coppia, senza prima passare dai tribunali
italiani?
Il ricorso presenta anche questo
problema. Secondo la normativa europea infatti prima occorre fare ricorso di
fronte al giudice naturale e solo nel caso in cui siano negate le ragioni dei
ricorrenti, in seconda istanza ci si può rivolgere alla Corte europea dei
diritti dell’uomo.
(Pietro Vernizzi)
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