I Puffi a New York, elogio della paternità di Massimo Introvigne, 21-09-2011,
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«Avrei una grande idea: un film
dove degli eroi delle favole imboccano un portale magico e si ritrovano nella
New York dei giorni nostri». La Columbia avrebbe potuto rispondere che l’idea è
in effetti divertente, ma il film è già stato realizzato nel 2007 dalla Walt
Disney: si chiama Come d’incanto, con Patrick Dempsey e Susan Sarandon, e ha
anche avuto successo. Ma la casa di produzione americana non ha risposto così
al produttore Jordan Kerner e al regista Raja Gosnell – conosciuto per avere
diretto il primo e il secondo film Scooby-Doo con Sarah Michelle Gellar,
l’attrice nota per la serie televisiva Buffy –, ed ecco che a New York sono
arrivati questa volta i puffi.
Il film si chiama proprio così, I
Puffi, e immagina che il puffo Tontolone trovi un portale magico che lo
trasporta a Manhattan insieme con il Grande Puffo, Puffetta, Coraggioso,
Brontolone e Quattrocchi, ma purtroppo anche al perfido mago Gargamella e al
suo gatto Birba che li stanno inseguendo. Per i pochi che non li conoscessero
dai fumetti o dai cartoni animati, i puffi sono piccoli omini blu che vivono in
un villaggio incantato, e cui Gargamella dà la caccia per estrarre dal loro
corpo una preziosa essenza magica.
A New York i puffi s’imbattono in
una coppia in attesa di un bambino, Patrick e Grace Winslow. Patrick lavora per
Odile, la cinica proprietaria di una multinazionale dei cosmetici, che gli ha
affidato una campagna pubblicitaria da cui dipende la sua carriera. Dapprima
infastidito dai puffi, Patrick è aiutato dal Grande Puffo a guardare la vita
con occhi più sereni e a capire che la sua prossima paternità conta più del
successo e del denaro. Nel frattempo Patrick e Grace dovranno aiutare i puffi a
sfuggire a Gargamella – che per un po’ Odile pensa persino di assumere,
sfruttando le sue doti magiche al servizio dell’azienda – e a tornare a casa,
il che sarà possibile solo in coincidenza con la Luna Blu, che permetterà di
riaprire il portale verso il loro villaggio.
Il puffo Tontolone, per un
equivoco, manda in tipografia dal computer di Patrick non l’annuncio
pubblicitario convenzionale per Odile che la capricciosa imprenditrice aveva
approvato ma uno molto più originale, con la Luna Blu, che Patrick non aveva
osato proporre. L’annuncio ha uno straordinario successo, salvando la carriera
di Patrick proprio nel momento in cui il dirigente è disposto a rinunciarvi pur
di stare vicino alla moglie e al nascituro. La moglie, Grace, è riuscita a dare
un po’ di autostima al puffo Tontolone: ed è proprio il più pasticcione dei
puffi che nella scena finale s’impadronisce della bacchetta magica di
Gargamella, salva la situazione e garantisce l’happy end finale – ma si sa già
che ci sarà un seguito nel 2013.
Favola gradevole per tutta la
famiglia – bene interpretata soprattutto da Hank Azaria nel ruolo di Gargamella
–, I Puffi può forse riaprire la discussione, in cui si sono cimentati anche
studiosi accademici di vasti interessi, su di che cosa esattamente siano
metafora gli ometti blu. Qualche anno fa uno specialista di scintoismo e di
esoterismo, Antonio Soro, ha scritto un curioso volumetto – I Puffi, la “vera”
conoscenza e la massoneria (EDES - Editrice Democratica Sarda, Sassari 2005) –
in cui sostiene che il villaggio dei puffi assomiglia molto a una loggia
massonica. Il Grande Puffo è il maestro venerabile, vestito – solo lui – con
cappuccio e pantaloncini rossi, che rimandano alla simbologia del grado
massonico dell’Arco Reale. Se si esclude l’unica femmina, Puffetta, i Puffi
sono novantanove, come i gradi di certe massonerie esoteriche e i saggi vestiti
di bianco nella Nuova Atlantide (1643) di Francesco Bacone (1561-1626),
un’opera cara ai primi massoni britannici.
Avendo scritto a suo tempo la
prefazione all’opera di Soro, studioso che conosco e stimo in tutt’altri campi,
si è creduto che volessi denunciare chissà quale complotto massonico. In
realtà, sia io nell’introduzione sia lo stesso Soro precisavamo che si trattava
di un tour de force, di un libro scritto per divertimento, di
un’interpretazione ingegnosa ma certamente non condivisa dal creatore dei
puffi, e che nessuno di noi aveva nulla contro gli ometti blu.
La parte più interessante
dell’opera di Soro – che non rimanda necessariamente alla massoneria – è peraltro
quella relativa al linguaggio. Nell’interpretazione di Soro i puffi sembrano
essere – o meglio essere riusciti misteriosamente a ridiventare – quelli che
una tradizione oggi dimenticata chiama «pre-adamiti», esseri vissuti prima di
Adamo, ovvero abitatori del giardino dell’Eden. Prima del disordine causato dal
peccato originale e dall’episodio biblico della Torre di Babele, non è
necessario un vocabolario completo. Nell’edenico stato di natura ci si
comprende con poche parole. Così per i puffi il verbo «puffare» sostituisce
quasi tutti i nostri verbi. Soro ipotizza che «per una comunità tornata
all’Eden cosmico le cose hanno tendenze naturali, sicché nel contesto del
vissuto è perfettamente chiaro ciò che si intende. L’unica lingua con un
vocabolario “essenziale” si è di nuovo affermata sulla moltitudine di parlate
grazie all’azione dello Spirito, e i pensieri procedono nella direzione
naturale degli eventi».
Ma è pressoché certo che queste
interpretazioni di Soro – si tratti di massoni o di uomini in uno stato edenico
prima del peccato originale – stupirebbero molto il creatore dei puffi, il
belga Peyo (Pierre Cullifford, 1928-1992). Come ha mostrato in una serie di
libri e articoli recenti lo studioso di storia del fumetto Philippe Delisle,
Peyo – come quasi tutti i grandi autori della scuola belga, una delle scuole
fondamentali per i fumetti insieme a quelle americana e giapponese, e
nonostante le evoluzioni successive di alcuni di loro – si forma in un ambiente
cattolico. È la stampa cattolica belga a capire per prima l’importanza del
fumetto. E il cattolicesimo di Peyo emerge chiaramente dall’altra serie, poi
eclissata dal successo dei puffi, di cui è autore, Johan e Pirlouit. La serie,
ambientata nel Medioevo, esprime chiaramente – nonostante l’umorismo – la
nostalgia per un’epoca in cui la fede era al centro della vita che Peyo aveva
appreso nell’ambiente cattolico tradizionale dove si era formato.
Quanto ai puffi, gli storici del
fumetto – soprattutto quelli influenzati dal marxismo – hanno criticato la
struttura autoritaria e non democratica della loro società, che hanno accusato
d’ispirarsi anche alla Chiesa Cattolica. Non è mancato neppure chi ha sostenuto
che nel dibattito, dopo la Seconda Guerra Mondiale, tra monarchici e
repubblicani in Belgio Peyo abbia voluto spezzare una lancia a favore della
monarchia. Solo l’autorità monarchica del Grande Puffo tiene insieme puffi
molto diversi tra loro, così come solo la monarchia può tenere insieme i belgi
valloni e fiamminghi, costantemente a rischio di secessione. In una famosa
storia di Peyo quando il Grande Puffo si allontana e i puffi decidono di
ricorrere alle elezioni per sostituirlo la loro società va a pezzi, fino a che
l’amato monarca non torna.
L’elemento delle storie di Peyo
che il film coglie con precisione è il carattere paterno della monarchia dei
puffi. Come il re, il Grande Puffo è il padre di tutti i puffi – Puffetta, per
la verità, è stata creata da Gargamella per ingannarli, ma il Grande Puffo le
ha dato un’anima. Come un buon re, si preoccupa di esercitare l’autorità come
paternità. In un dialogo con Patrick che teme le responsabilità della
paternità, gli spiega che se è disposto a sacrificarsi per la sua famiglia
allora è già un Grande Puffo anche lui. Ma Patrick non si faccia distrarre:
«non c’è nulla di più importante della famiglia», ripete il Grande Puffo.
Così, anche il film nella sua
semplicità trasmette qualcosa del gusto medievaleggiante e tradizionale di
Peyo. Quella dei puffi non è una loggia massonica o una misteriosa comunità
pre-adamitica. Non è neppure, a rigore, una metafora della Chiesa Cattolica. È
semplicemente una famiglia, che ricorda a chi la incontra che dove c’è una vera
famiglia, lì c’è un padre.
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