mercoledì 21 settembre 2011


Anziani e alzheimer, un villaggio per amico di Antonio Giuliano, 21-09-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

La signora Maria ci accoglie cantando. Ha perso la facoltà di parlare, ma riesce ad esprimere la sua espansività col canto. Siamo al Villaggio Amico di Gerenzano (Varese), un nuovo centro all’avanguardia nell’assistenza delle persone colpite dall’Alzheimer, malattia di cui oggi si celebra la Giornata mondiale. La signora Maria è una tra i 40 malati ospiti di questa struttura che fronteggia una patologia con cui tutti i Paesi più ricchi dovranno sempre più fare i conti.

«Già oggi – spiega Paola Chiambretto, neuropsicologa responsabile del progetto Alzheimer al Villaggio Amico – sono 24 milioni nel mondo quelli affetti da questo morbo, con un incremento di 4 milioni di persone ogni anno. I Paesi più colpiti sono quelli dove più alta è l’aspettativa di vita perché questa è una demenza senile che intacca le cellule nervose del cervello fino all’immobilismo e colpisce soprattutto le persone dai 60 anni in su. Solo in Italia i malati sono circa 500 mila». Considerando che nel nostro Paese abbiamo già un esercito di oltre 12 milioni di over 65 e che nel 2030 saranno 15 milioni, l’Alzheimer si preannuncia come uno dei più gravi problemi sociali dei prossimi anni. «Sicuramente – conferma la dottoressa Chiambretto - i parenti dei malati rischiano di ritrovarsi più soli. Non è affatto facile fronteggiare queste situazioni, lo sanno bene tante famiglie: il malato regredisce allo stato di un bambino, perde le normali funzioni cognitive come la memoria o la capacità di parlare. E proprio perché non riescono più a farsi capire tendono ad essere aggressivi».

All’inizio del Novecento fu il neurologo tedesco Alois Alzheimer (da cui la malattia prese il nome), a descriverne per primo i sintomi e gli aspetti neuropatologici. E il morbo ha piegato personaggi noti come Charlton Heston, indimenticabile protagonista di film come Ben Hur e I Dieci Comandamenti, o politici come Ronald Reagan.

«Non si conoscono ancora le cause – spiega Paola Chiambretto -. Può colpire allo stesso modo persone che fanno un lavoro intellettuale o manuale. C’è solo una maggiore predisposizione in chi soffre di ipertensione. All’inizio si manifesta anche con semplici omissioni, anche con il solo dimenticarsi le chiavi: la difficoltà è proprio diagnosticarlo, perché molti tendono a mascherare i sintomi e molte volte si fa fatica a distinguerlo da una semplice depressione. Esiste anche una forma rara di Alzheimer giovanile che compare intorno ai 40 anni ed è più aggressivo con un processo degenerativo più breve di quello senile che invece si attesta intorno ai dieci anni. Non si muore di Alzheimer, ma è un morbo che ti accompagna fino alla fine rendendoti totalmente in stato vegetativo. La ricerca genetica sta andando avanti. Il problema è che non ci sono soluzioni farmacologiche atte a curare o a prevenire, ma solo a rallentare gli effetti. I familiari son costretti a ricorrere ai sedativi o a richiedere l’assistenza a domicilio. Gli ospedali ne fanno solo una valutazione diagnostica. Ecco perché è utile una struttura come il Villaggio Amico con un ambiente molto confortevole e adatto anche a terapie non farmacologiche».

Il Nucleo specializzato per l’Alzheimer è inserito in una struttura polivalente nata poco più di un anno e mezzo fa che può contare fino a 140 posti letto e che ingloba al proprio interno la Casa di riposo per anziani, centro diurno per disabili e centro di riabilitazione, poliambulatori, palestra e piscina aperta a tutti (ha già 400 iscritti). E perfino un asilo nido (con oltre 20 bimbi) a suggellare un legame tra generazioni per cui la vita è vita sempre, dai primi fino agli ultimi istanti.

«Il Villaggio Amico – spiega l’amministratore delegato Massimo Riboldi – è già punto di riferimento per le province di Milano, Varese e Como. Per entrarvi basta una domanda di ammissione e una disamina preliminare. I pazienti pagano una retta di 90 euro al giorno. Eppure non sarebbe comunque sufficiente per coprire le spese se non avessimo un sostegno della Regione. Oggi riusciamo a garantire 70 metri quadrati a posto letto. In ogni stanza ci sono solo due pazienti. Ma crediamo che in futuro una politica ancora più lungimirante permetta a tutte le famiglie di pagare strutture di qualità come questa».

Sabato 24 settembre (alle 9) il Centro organizza un convegno su “L’arte di parlare con il malato di Alzheimer” in cui interverrà anche Pietro Vigorelli psicoterapeuta e medico, responsabile della UOS di medicina riabilitativa dell’Ospedale S.Carlo di Milano. Sarà l’occasione per mettere a punto anche le terapie sperimentali che qui sono ormai di casa.

Addentrandosi nei reparti colpisce la varietà di colori e perfino di profumi: «Tutto è studiato secondo le esigenze del paziente – puntualizza la neuropsicologa Chiambretto. Chi viene colpito dal morbo tende a dimenticare persino il proprio nome. Quanti magari rimangono soli a casa e sono vittime di banali incidenti domestici. Qui invece di giorno ci sono sempre 4 operatori sanitari e un infermiere. E la notte un assistente e l’infermiere. Oltre alla presenza fissa dell’educatore che li stimola nelle attività più disparate, come cucinare insieme (sono tante le donne). Ci sono spazi comuni dove per esempio viene ricreato con l’ausilio di un monitor il caminetto: per loro che fanno fatica ad addormentarsi è un modo anche per sedersi in poltrona e rievocare proprio come si faceva davanti al fuoco. Molti hanno già perso la capacità di leggere, così per facilitare l’orientamento abbiamo studiato dei colori e delle raffigurazioni ad hoc. E anche dei profumi: stiamo applicando profumo-terapia e aromaterapia che si basano sulla potenza di olfatto e gusto nello stimolare i ricordi».

Un posto insomma dove provare le stesse sensazioni di Proust con la madeleine (il dolce) imbevuto nel tè, e sperimentare nuove forme di assistenza. «Stiamo incentivando – continua la dottoressa Chiambretto - la “doll therapy”, la terapia della bambole: è una pratica non farmacologica che prevede l’uso di speciali bambole terapeutiche verso cui il malato esprime il proprio affetto e rivolge le proprie attenzioni, come a un bambino. Viene così risvegliato nelle donne l’accudimento e il senso di maternità: la persona attiva relazioni tattili che diminuiscono l’agitazione, l’aggressività, l’apatia. E ci serviamo anche della “pet therapy”, la terapia che sfrutta l’interazione uomo-animale: abbiamo dei progetti in corso con l’ausilio dei cani. Senza dimenticare la musicoterapia: le canzoni più amate della loro gioventù agevolano la loro creatività e la loro capacità di relazione. Alcuni perdono la facoltà di articolare le parole, alcuini, come la signora Maria, mantengono però quella di cantare. La fatica più grande è quella di interpretare i loro bisogni, per questo stiamo studiando ogni forma di linguaggio. E i risultati si vedono. Mi colpisce per esempio come alcuni di loro che hanno questa tendenza spropositata a camminare avanti e indietro, rimangono poi composti quando partecipano alla messa in cappella. Rispondono al momento opportuno, pregano e cantano…».

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