Severino contro tutti
«Per me Dio è poco» Antonio Livi, 06-09-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
Prima sulla Repubblica, poi sul Corriere della Sera, i più
noti filosofi italiani hanno discusso di un possibile ritorno della filosofia
al realismo, nel senso di un abbandono dell’esasperato soggettivismo moderno,
che ha portato alla negazione di ogni realtà alla quale la conoscenza dell’uomo
debba adeguarsi, con la conseguenza che la cultura di oggi non ammette più
alcun valore morale oggettivo e
assoluto, e tanto meno l’esistenza di un Dio creatore e trascendente.
A favore di questo ritorno al realismo - che
rappresenterebbe una svolta epocale
nella storia della filosofia contemporanea - si sono pronunciati Umberto Eco
(che non è nuovo a ripensamenti del genere, e che iniziò la carriera accademica
con un bel libro sulla metafisica della bellezza in Tommaso d’Aquino) e Maurizio Ferraris (che
negli ultimi anni, con la sua proposta di una sistematica «ontologia formale»,
ha mostrato la necessità di ammettere la consistenza metafisica degli oggetti
del pensiero). Si è invece mostrato contrario Gianni Vattimo, amico-nemico di
Ferraris all’Università di Torino, oramai cristallizzato nella difesa del suo
(peraltro indifendibile) «pensiero debole», che è la sintesi di tutte le forme
di anti-realismo e di scetticismo presenti nel pensiero contemporaneo (Nietzsche,
Heidegger, Gadamer).
Alla fine, nel dibattito si è inserito Emanuele Severino, per
ripetere una volta ancora la sua nota tesi: tutto il pensiero occidentale, da
Platone in poi, “crede” nel divenire, ossia crede che gli enti vengano dal
nulla e poi ritornino nel nulla, il che - sostiene Severino - è falso,
perché tutte le cose sono eterne, anche
se appaiono e scompaiono continuamente. La fede nel divenire è irrazionale,
dice Severino, è il vero «nichilismo», che coinvolge persino la Chiesa
cattolica, la quale continua a professare la fede in un Dio che crea le cose
dal nulla. Insomma, per Severino tutti sono nell’errore, salvo lui stesso, che
è uscito fuori dalla storia del pensiero occidentale ed è «ritornato a
Parmenide». Per questo approfitta del dibattito sul realismo per irridere al
goffo tentativo dei suoi colleghi di cambiare un insignificante particolare del
modo di pensare proprio di tutto l’Occidente (l’idealismo), che invece va
rifiutato in blocco.
Comunque, nell’intevento di Severino sul Corriere della Sera
del 31 agosto («Nuovo realismo, vecchio dibattito. Tutto già conosciuto da
millenni») ci sono alcune cose che sarà utile rilevare. La prima è che, ancora
una volta, Severino entra in dialogo ? con gli altri flosofi e con la cultura
in generale ? proponendo delle tesi che
risultano letteralmente incomprensibili per il grosso pubblico dei quotidiani
(talvolta anche per gli stessi specialisti). I lettori del Corriere della Sera,
se oltre al titolo dell’articolo di Severino leggono qualcosa all’interno,
avranno indubbiamente l’impressione che si tratti di ragionamenti raffinati,
ricchi di erudizione, con continui riferimenti alle tante idee e alle tante
figure della storia della filosofia: ma alla fine resteranno senza aver capito
di che cosa si stia parlando, perché non riusciranno in alcun modo a decifrare
il significato concreto dei termini fondamentali del discorso.
L’unica cosa che risulta chiara a chi legge Severino, sia sui
giornali che nei suoi tanti libri, è che il filosofo bresciano sostiene di aver
ragione solo lui, perché solo lui sarebbe saldamente installato nella verità:
quella verità assoluta, eterna e incontrovertibile che solo la vera filosofia
(quella dello stesso Severino, s’intende) riesce a mettere in luce. Tutti gli
altri filosofi, ma anche i teologi, e soprattutto i papi (prima Giovanni Paolo
II, poi Benedetto XVI) sono nell’errore. Questo sì che si capisce bene, anche
perché da quasi vent’anni il Corriere della Sera pubblica articoli di Severino
nei quali la dottrina della Chiesa cattolica (sulla contraccezione,
sull’aborto, sulla fede, sui sacramenti, sulla vita eterna, su tutto) viene
contraddetta e ridicolizzata.
Evidentemente al Corriere della Sera va bene così: paga il
pegno di pubblicare articoli che sono il contrario del giornalismo, perché
illeggibili, pur di rilanciare mille volte il messaggio (ben evidenziato anche
nei titoli e negli occhielli) che la Chiesa cattolica è la custode di un
pensiero vecchio, superato, contraddittorio e soprattutto ingenuo. La polemica
anticattolica di stampo illuministico che Eugenio Scalfari ha condotto per
decenni dalle colonne della Repubblica è così superata in forza dialettica
dalla polemica neognostica che Emanuele Severino continua a condurre dalle
colonne del Corriere della Sera.
Una seconda annotazione. A Severino ha dato molto fastidio il
richiamo di Umberto Eco e di Maurizio Ferraris al «senso comune» come
fondamento critico del realismo. In particolare Severino non può sopportare che
si parli di una «filosofia del senso comune». Il fastidio nasce dal fatto che
questo termine, «filosofia del senso comune», è quello che io ho usato per
combattere il razionalismo idealistico che è rappresentato in Italia, appunto,
da Severino e dai suoi molti discepoli, anche cattolici. Severino mi conosce,
ha discusso con me in pubblico e in privato, e ha letto i miei scritti, tra i quali la Filosofia del
senso comune. Logica della scienza e della fede, la cui prima edizione è del
1990 e la nuova edizione, interamente rielaborata, è del 2010 (Leonardo da
Vinci, Roma); inoltre, ha letto il saggio che una mia allieva ha dedicato ad
analizzare e decostruire la sua filosofia (V. Pelliccia, Emanuele Severino. La
critica razionalistica del senso comune e della fede, Leonardo da Vinci, Roma
2008).
E così respinge rabbiosamente la tesi che la conoscenza umana
parta necessariamente dalle prime verità inconfutabili dell’esperienza, le
quali attestano l’esistenza delle cose come enti limitati, in continuo
divenire. Dall’esistenza evidente delle
cose e dalla loro precarietà l’intelligenza umana giunge necessariamente
all’evidenza che deve esserci Dio, creatore e provvidente. Insomma, la
filosofia del senso comune è la
giustificazione critica del realismo e della certezza dell’esistenza di Dio: e
questa certezza razionale consente agli uomini di accogliere il messaggio di un
Dio che ci rivolge la Parola per rivelarci la verità che ci salva. Tutto ciò a
Severino non sta bene: egli considera la filosofia come “il pensiero di Dio”,
di Dio che è «pensiero di pensiero» (Aristotele) o «coscienza assoluta
dell’Assoluto» (Hegel).
Ma Severino ritiene di essere egli stesso “il pensiero di
Dio”, che lo rende capace di vedere tutto dall’eternità e nell’eternità. Certo,
Severino non si identifica con Dio come l’Essere, come Persona, perché l’unica
realtà è il Pensiero e fuori del Pensiero non c’è nulla. Severino si identifica
con il Pensiero e nega la Trascendenza, ossia il Dio della teologia filosofica
e della fede cristiana. Per questo, discutendo con me che lo accusavo di
credersi Dio, Severino rispose: «Per me Dio è poco!» (cfr Panorama, 2 giugno
1997).
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