UNIVERSITA’/ Garvey
(Usa): senza la fede non si può capire il mondo - INT. John Garvey, mercoledì 7
settembre 2011, il sussidiario.net
Durante lo scorso Meeting di Rimini John Garvey, presidente
della Catholic University of America, ha tenuto un incontro pubblico dedicato
al tema «Senso religioso, alla radice dell’Università», insieme a Lorenzo
Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e a Moshe Kaveh,
presidente della Bar-Ilan University di Tel Aviv. Ilsussidiario.net propone il
dialogo avuto con Garvey prima dell’incontro.
Professor Garvey, il titolo dell’incontro cui ha partecipato
pone l’ipotesi che le radici dell’università sia «dentro» l’uomo. che nesso c’è
tra la sua interiorità - o il suo «senso religioso» - e l’università?
Aristotele inizia la sua Metafisica con l’affermazione:
«tutti gli uomini per natura desiderano conoscere». Penso che sia questo il
punto quando si dice che c’è una università «invisibile» dentro l’uomo. Questo
desiderio spiega perché poniamo domande, perché leggiamo un libro di storia o
studiamo astronomia. Le università mettono a disposizione comunità in cui
questo può essere fatto per un certo periodo della propria vita. Il loro scopo
è radicato in questo essenziale impulso a capire meglio il mondo. Aristotele
pensava poi che, osservando il mondo, si apprendono anche le cause che ne sono
all’origine. Le nostre riflessioni ci conducono a ciò che sta oltre il finito.
Quindi, una ragione aperta a tutto è una ragione che cerca la
verità delle cose. Se questo è il compito dell’università, come vede lei la
questione dall’osservatorio della prestigiosa università di cui è presidente?
Nelle università con denominazione religiosa, come quella in
cui lavoro, usiamo la ragione per capire meglio quanto impariamo attraverso la
rivelazione. La nostra ricerca accademica è aperta all’infinito non solo
attraverso l’osservazione del mondo e ciò che ci dice sulle cause sottostanti,
ma perché Dio ci ha comunicato qualcosa su di Sé. Il nostro statuto riassume il
nostro compito nel seguente modo: «Dedicata all’avanzamento del dialogo tra
fede e ragione, The Catholic University of America cerca di scoprire e
comunicare la verità attraverso l’eccellenza nell’insegnamento e nella ricerca,
tutto al servizio della Chiesa, della nazione e del mondo».
A suo parere l’università è oggi una istituzione in crisi? E
se è in crisi, in cosa questa crisi consiste e da cosa è causata?
Nei tardi anni ’80, Allan Bloom scrisse un libro sullo stato
dell’università, intitolato La Chiusura della Mente Americana (The Closing of
the American Mind), in cui lamentava la perdita di prestigio nelle università
dei grandi libri della civiltà occidentale e il loro raro uso nell’insegnamento.
Il suo timore era che, senza questi testi al centro dell’educazione, le
università non avrebbero più insegnato agli studenti a chiedere e ricercare le
risposte alle più grandi domande della vita e che le varie discipline sarebbero
rimaste isolate tra loro. Queste preoccupazioni non sono dissimili da quelle
che il Beato John Henry Newman aveva espresso più di cento anni prima. Per
Newman la preoccupazione non era la frammentazione delle discipline, ma che si
instaurasse una separazione tra il discorso religioso e quello razionale. «Non
sarei soddisfatto, come invece molti» disse «dell’esistenza di due sistemi
indipendenti, quello intellettuale e quello religioso, che tutto d’un tratto
procedessero fianco a fianco, per una specie di divisione del lavoro, e che si
riunissero solo accidentalmente... Voglio lo stesso tetto sulla disciplina
intellettuale e morale. La devozione non è una specie di rifinitura data alle
scienze; né la scienza è una specie di piuma sul cappello... un ornamento e una
decorazione alla devozione. Voglio che l’intellettuale laico sia religioso e
che il devoto ecclesiastico sia un intellettuale».
E questo cosa vuol dire oggi nel contesto delle università
americane?
Le università americane soffrono ancora, forse più che prima,
della frammentazione delle discipline. Nel momento in cui finiscono il loro
corso di laurea, gli studenti troppo spesso hanno imparato una quantità di cose
in un materia, alcune cose in altre materie e molto poco o niente sulle perenni
questioni poste dai classici. Hanno anche imparato a lasciare i loro credo alla
porta. La Catholic University of America cerca di essere un contrappeso a
questa frammentazione. La nostra fede ci dice che Dio ha creato il mondo a Sua
somiglianza e questo significa che fede e ragione non sono opposte tra loro.
Significa anche che la conoscenza acquisita dalla scienza non può rifiutare la
conoscenza che ci viene dalla teologia. Tutte le discipline dell’università
servono la verità.
Può una università avere una «missione» o un compito e come
questo potrebbe essere interpretato?
La missione dell’università è la formazione dei suoi
studenti, che vuol dire trasmettere loro il sapere. Talvolta questo sapere è di
tipo generale, come nel caso dei corsi di laurea, in altri è specializzato,
come per i dottorati. L’università trasmette agli studenti gli strumenti
necessari a pensare in modo critico, mettendoli nella condizione di avere
successo nei settori collegati al loro campo di studi. L’università insegna ai
suoi studenti anche a vivere bene, compito questo particolarmente importante in
un’università cattolica, dove c’è un consenso generale su cosa significhi
essere una brava persona. Insegnare a coltivare la virtù rende gli studenti
migliori anche in aula e li difende dall’idolatria del sapere, proteggendo
l’educazione dalla deriva ideologica. Gli studenti che pongono fede, speranza e
amore sopra ogni cosa, non idolatrano la scienza o l’arte.
Alla vostra università è attribuita una particolare missione
civile in relazione alla storia del vostro Paese?
L’Università Cattolica ha sede nella capitale della nazione.
Come sede della università cattolica nazionale furono prese in considerazione
diverse città, ma i vescovi scelsero Washington, DC, perché ritenevano che
l’università dovesse giocare un ruolo speciale nella nazione. Il nostro statuto
dichiara che vogliamo che i nostri studenti «servano la nazione e il mondo». Le
nostre tradizioni naturali formano i nostri studenti, che vivono a studiano in
una vivace cultura politica. Allo stesso modo, i nostri studenti danno forma
alle nostre tradizioni nazionali e si impegnano politicamente in questioni
giuridiche e culturali, in particolare dove vi è bisogno di una voce cattolica.
Qual è l’obiettivo dell’organizzazione del sapere in
un’università? È quello di far avanzare la conoscenza o qualcosa d’altro?
Come molte università in America, l’Università Cattolica
offre corsi di laurea e di dottorato. Quando i vescovi americani decisero, nel
1866, di creare una università cattolica nazionale, avevano in mente un modello
fondato sullo studio e la ricerca, sul tipo di Lovanio, il cui scopo è, come
lei dice, di «far avanzare la conoscenza» e di produrre libri, articoli e saggi
accademici. Nel 1904, furono introdotti i corsi di laurea, sorti dalla
tradizione delle arti liberali, il cui nome deriva dal latino liber, perché si
tratta di un’educazione adatta a uomini e donne «liberi». Le arti liberali
portano agli studenti un sapere di tipo generale. Un’università, quindi,
produce una attività di studio che fa avanzare la discussione in diversi campi
di ricerca e trasmette una conoscenza generale ai suoi studenti.
In che modo la tradizione storica della sua università
condiziona il suo presente? Questa eredità è in grado di resistere alle sfide
attuali?
Il vescovo John Lancaster Spalding, un pioniere dell’idea di
un’università cattolica nazionale in America, disse: «Una vera università sarà
certamente il luogo sia della saggezza antica che del nuovo sapere; ...sarà al
contempo un istituto scientifico, una scuola di cultura e una palestra per il
mestiere della vita…». Questo nel maggio del 1888, quando fu posta la prima
pietra per il nostro primo edificio. Gli intellettuali cristiani stavano
affrontando una crisi. In Gran Bretagna ci si sentiva sempre più liberi di
rigettare la fede come cosa infondata. Trent’anni prima, questa acrimonia verso
il cristianesimo aveva portato Newman a dire in un sermone del 1856: «...Lo
scopo della Santa Sede e della Chiesa cattolica nell’istituire università... è
di riunire cose che inizialmente erano unite da Dio e che sono state separate
dall’uomo», e cioè fede e ragione. Oggi, le università cattoliche hanno ancora
di fronte molti problemi simili a quelli che dovettero affrontare Newman e
Spalding. La fede è considerata un ostacolo sulla via della conoscenza e
promuovere la morale cristiana è visto come una cosa fuori moda. La nostra
missione è di ricercare la conoscenza alla luce della fede e promuovere una
vita virtuosa nei nostri studenti. È questa la ragione per cui l’università è
stata fondata dai vescovi ed è un fatto intrinseco alla nostra storia.
Avete come obiettivo un modello particolare di università e,
nel caso, qual è il modello di riferimento?
Attingiamo a diversi modelli. Come già detto, la nostra
fondazione è avvenuta nella tradizione di Lovanio, come istituzione dedicata
allo studio e alla ricerca. Quando abbiamo introdotto i corsi di laurea, li
abbiamo costruiti in base alla tradizione delle arti liberali, che hanno le
loro radici nell’antichità classica. Come università cattolica, abbiamo un
riferimento anche nella tradizione scolastica medioevale.
Nel suo lavoro, lei è entrato in contatto con varie
generazioni di studenti. Quali sono i punti di forza e quelli deboli della
generazione attuale?
Gli studenti di oggi hanno a che fare con molte più cose che gli
studenti delle precedenti generazioni e ci sono molte più voci che si
contendono la loro adesione. Questo mette maggiormente alla prova gli studenti,
ma rende anche più gradevoli i loro successi. A questo proposito vorrei
sottolineare due punti. Il primo è che agli studenti oggi è richiesto, già dai
primi anni, di lasciare fuori dalla porta dell’aula le loro convinzioni
religiose. Ho accennato alle difficoltà poste a Newman dall’Illuminismo e anche
noi continuiamo a soffrire gli effetti dell’esclusione della fede dalla scuola.
La Catholic University of America ha la fortuna di essere un luogo dove gli
studenti respingono questa biforcazione tra fede e sapere. Ma essi sono una
minoranza all’interno del mondo delle università. Gli studenti che vogliono condurre
la propria ricerca del sapere alla luce della fede devono affrontare una
difficile impresa; ugualmente gli studenti che desiderano vivere virtuosamente.
La vita in università rischia di scoraggiare dal seguire le buone abitudini,
quali moderazione e prudenza. I media influenzano i giovani fin dalla prima età
e molto spesso non suggeriscono modelli o stili di vita corretti. Questo è il
mio secondo punto. Gli studenti che vogliono diventare buoni cittadini, membri
della loro Chiesa, genitori, amici e professionisti non sempre trovano un
sostegno nelle loro comunità universitarie.
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