21/12/2011 – MEDICINA - Il gene "sente" come vivi - L'epigenetica
cambia il modo di concepire noi stessi e l'ambiente - Il nostro destino non è
inciso nel Genoma, ma si trasforma con le abitudini «buone» e «cattive». Una
disciplina emergente, l’epigenetica, svela come l’ambiente influenza
l’espressione del Dna, di MARCO PIVATO, http://www3.lastampa.it/
Le giraffe non hanno sviluppato
un collo lungo a forza di ostinarsi ad acchiappare le foglie più alte...». Si
potrebbe cominciare così un'argomentazione per confutare Lamarck, giacché il
meccanismo dell'evoluzione - intuì Darwin – è la comparsa casuale di caratteri
che si affermano quando risultano più vantaggiosi in uno specifico ambiente: le
giraffe un po’ più «dotate», arrivando al cibo più facilmente, avevano
un’aspettativa di vita più lunga e quindi più probabilità di avere progenie che
ereditasse il carattere «collo lungo». Oggi tuttavia c'è chi rivaluta il
contributo dei comportamenti individuali e delle pressioni ambientali – in
gergo la disciplina si chiama «epigenetica» – nella trasmissione dei caratteri.
Come il team guidato dallo
svedese Lars Olov Bygren, specialista di medicina preventiva al Karolinska
Institute, ospite in Italia della Fondazione Bracco e del Museo della scienza e
della tecnologia di Milano. Bygren ha cominciato a studiare l'influenza degli
stili di vita sul cervello in un campione di 12 mila individui e si è trovato
sotto la lente i meccanismi con i quali i comportamenti influiscono sulle
istruzioni a priori dei geni e, addirittura, come questi possano essere
ereditati. Il professore parte da alcuni dati di fatto. «Gli stili di vita –
spiega – influenzano l'espressione genica». E fa un esempio: «Se una donna
possiede il gene Brca1, che espone al cancro al seno, può ritardare fino ad
antagonizzare l'esordio della malattia grazie a un'alimentazione ricca di
antiossidanti, abbondanti in frutta e verdura, che inducono l'espressione degli
enzimi deputati a "spegnere" i radicali liberi e grazie all'attività
fisica, che promuove il silenziamento di geni prooncogeni».
Il destino, dunque, non è scritto
nei geni, ma «dipende dalla modulazione dell'azione dei geni». Il dogma
centrale della biologia, secondo cui «un gene produce una proteina» – alla base
dei vari processi fisiologici – è stato infatti confutato, quando si è scoperto
che, pur possedendo solo circa 25 mila geni, il nostro Genoma è in grado di
produrre centinaia di migliaia di proteine: «Ogni gene - spiega Bygren - è
capace di codificare allo stesso tempo per più di una proteina e la codifica
dipende dai segnali chimici che riceve, indotti proprio dagli stili di vita
individuali».
Il campione a disposizione era
composto da individui selezionati per particolari attitudini alla lettura,
interessi per la musica, il cinema, il teatro e la cultura in generale.
L'esperimento ha individuato come queste attività migliorino la salute del cervello
e in ultima analisi l'organismo in generale: «L'allenamento delle capacità
cognitive - continua - guida lo sviluppo delle cellule staminali nelle aree del
cervello primitivo a differenziarsi in nuovi neuroni, che a loro volta formano
nuove sinapsi». Il cervello, proprio come un muscolo, se sollecitato, conserva
e potenzia le sue funzioni, «in particolare nell'area dell'ipotalamo, deputata
alla gestione della memoria, e in quella dell'ippocampo, che tra le tante
funzioni sottende l'espressione degli stati emotivi». Se infatti viviamo un
evento emozionante, e quindi «stressante» per il cervello, l'ormone cortisolo
media un processo che porta alla fortissima impressione di quell'evento nella
memoria. «Ecco perché - esemplifica il professore - tutti ci ricordiamo cosa
stavamo facendo l'11 settembre 2001».
L'effetto «anabolizzante» della
cultura sul cervello può aumentare l'aspettativa di vita anche di decine
d'anni: «La generazione di nuove sinapsi – continua Bygren – contrasta
l'insorgenza del morbo di Alzheimer e aumenta in generale la capacità di
gestire al meglio tutto il sistema nervoso periferico e quindi la funzionalità
degli organi, mantenendoli in buona salute». Lo studio prova che cultura e
svago sono al secondo posto come fattori che determinano l'aspettativa di vita,
dopo l'assenza di malattie e prima di fattori come età, reddito, lavoro e
sesso. Ma è possibile fissare le buone abitudini nei geni destinati alla
progenie, ossia nei gameti? «Secondo noi, è possibile, ma il processo non è
mediato dai gameti - precisa il professore -. E spiega: «Un nostro studio su
popolazioni del Terzo Mondo, in famiglie con una storia di denutrizione
perpetuata da generazioni, mostra che i neonati hanno una fisiologia precaria e
sono più esposti alle malattie. Analogamente le popolazioni che si
sovralimentano trasmettono ai figli una fisiologia che li espone ad altre
malattie, come il diabete».
I cromosomi non sono l'unico
veicolo per la trasmissione dei caratteri e Bygren lo spiega con una
similitudine: «Le conseguenze della "fame da cibo" si trasmettono con
le stesse regole della "fame da cultura". Le donne incinte che si
alimentano correttamente trasmettono segnali chimici che favoriscono uno
sviluppo virtuoso del feto così come quelle che si alimentano intellettualmente
trasmettono segnali chimici utili allo sviluppo del sistema nervoso nella fase
embrionale». Ma attenzione: «Proprio perché l'espressione genica è modulata
dagli stili di vita, una volta al mondo, i geni "buoni" vanno
coltivati altrimenti la loro espressione è inibita: così, se parliamo di
cultura, la stimolazione cognitiva dev'essere promossa nel nascituro,
perpetuata nella crescita e con l'avanzare dell'età, affinché i geni che
promuovono il differenziamento delle staminali in neuroni e sinapsi rimangano
accesi».
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