Usa: donna abortisce in casa con la Ru486, arrestata. Ora si batte per
cambiare la legge, 14 dicembre 20112, http://www.tempi.it/
Jennie Linn McCormack, 32 anni e
tre figli, abortisce con la Ru486 da sola in casa e chiude il feto in una
scatola di scarpe, lasciandola sul portico di casa sua. Arrestata per
violazione delle leggi dell'Idaho, viene rilasciata ma fa causa allo Stato
Jennie Linn McCormack è una
bellissima donna di 32 anni, ha tre figli e vive a Pocatello, nell'Idaho, Usa.
Sola e disoccupata, sopravvive grazie a un sussidio di 250 dollari. Quando ha
deciso di abortire il quarto figlio, concepito con uomo che ora è prigione, non
aviendo i soldi per recarsi nella clinica più vicina disposta a praticare
l'intervento, in Utah, ha chiesto alla sorella di comprarle la pillola abortiva
Ru486 e di spedirgliela. «Non potevo permettermi un altro figlio» spiega,
«avrei reso la vita dei miei tre bambini ancora più difficile».
Appena la Ru486 le è arrivata per
posta, credendo che la gravidanza non fosse molto avanzata, ha ingerito subito
le pillole mentre si trovava da sola, in casa. L'aborto riesce, ma quando
Jennie espelle il feto, si rende conto di essere oltre il terzo mese e rimane
spaventate dalla grandezza del bambino. «Ero paralizzata» ricorda. Così, presa
dal panico, chiude il feto in una scatola di scarpe e lo appoggia sul barbecue,
che si trova sotto il portico di casa sua. Impaurita, chiama un amico, che
avvisa la sorella di Jennie, la quale riporta tutto alla polizia. Secondo una
legge del 1972, abortire da soli in Idaho è un crimine, punibile con una pena
che va fino ai cinque anni di carcere.
Jennie viene così arrestata e
rilascata poche settimane dopo per mancanza di prove, con l'aiuto del suo
avvocato Richard Hearn, che fa causa al pubblico ministero della Contea di
Bannock dell'Idaho con l'obiettivo di cambiarne la legislazione in materia che,
vieta gli aborti che non avvengono in strutture ospedaliere. Ma Hearn mira
soprattutto a modificare la cosiddetta "legge sul dolore del feto",
adottata anche in altri cinque Stati americani, che proibisce gli aborti dopo
la ventesima settimana. La legge si fonda su studi secondo i quali il bambino a
partire dalla ventesima settimana dal concepimento sentirebbe dolore.
L'avvocato non è appoggiato dalle
lobby pro-choice che, pur appoggiando la campagna in favore della libertà delle
donne di abortire anche in casa con l'aiuto di una pillola, non vogliono
pubblicizzare la solitudine di un aborto fatto in casa e che ha avuto come
conseguenza un feto dentro una scatola da scarpe sotto il portico di casa. «La
lobby pro-choice può anche pensare che questo non sia il momento di portare il
caso davanti a un giudice» dichiara l'avvocato di Jennie. «Ma loro sono così
conservatori, mentre io dico che nessun caso è perfetto e poi, se non ora,
quando?».
Il caso assume il sapore di un
nuovo "Roe contro Wade", una sentenza del 1973 della Corte suprema
degli Stati Uniti, che rappresenta uno dei principali precedenti riguardo alla
legislazione sull'aborto e che ha condizionato la legislazione di 46 Stati.
Secondo la sentenza, l'aborto è un diritto nei primi tre mesi della gravidanza
e diventa possibile, in alcuni casi, fino al settimo mese. Anche oltre, se la
salute della donna è in pericolo.
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