Staminali: scienza da una parte, Europa dall’altra di Tommaso
Scandroglio, 20-12-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
«Anche se questo tipo di terapia
[che fa uso di cellule staminali embrionali] non è ancora stato sperimentato
completamente potrebbe aiutare a salvare delle vite umane o, al peggio,
spingere in avanti la ricerca scientifica». Così parlava Ian Wilmut, papà della
pecora clonata di nome Dolly, dalle colonne del giornale The Scotsman nel
gennaio del 2006. Ed aggiungeva: «Se aspettiamo ancora che tutti gli elementi
siano sperimentati e testati potremmo ritardare molto la messa a punto di
trattamenti efficaci». Passano quasi sei anni e lo stesso Wimut fa dietro-front
e al Daily Telegraph qualche giorno fa ha dichiarato: «Create staminali senza
embrioni. Scelgo questa strada».
Wilmut, responsabile del gruppo
di Riprogrammazione cellulare del Centro di Medicina rigenerativa presso
l’Università di Edimburgo, è stato fulminato sulla via di Damasco da un suo
collega, il professor Shinya Yamanaka dell'Università di Kyoto. Questo
scienziato giapponese ha appena pubblicato i risultati della sua ricerca che
aveva illustrato in anteprima qualche mese fa in occasione del meeting
dell’International Society for Stem Cell Research tenutosi a Toronto e dove era
presente lo stesso Wilmut. Yamanaka è riuscito a riprogrammare le cellule
adulte facendole diventare simili, per funzionalità, alle staminali embrionali.
Queste ultime sono "totipotenti", cioè capaci di differenziarsi in
molteplici tessuti: pelle, neuroni, ossa, etc. La scoperta del giapponese
Yamanaka è importante sia dal punto di vista scientifico che etico. Sul primo
versante potremmo avere una fonte inesauribile di cellule staminali dal
paziente stesso. Prelevando ad esempio dalla sua cute alcune cellule e
riprogrammandole, queste potrebbero trasformasi in quei tessuti di cui lo
stesso paziente ha bisogno senza rischi di rigetto: neuroni per curare
Alzheimer, Parkinson e SLA, pelle per le ustioni, cellule del pancreas per il
diabete, etc. Wilmut aggiunge che questa tecnica, a differenza di quella che
interessa le staminali embrionali, non presenta il pericolo che queste cellule
diventino cellule tumorali. Dal punto di vista etico poi nessun embrione
verrebbe sacrificato dato che il prelievo delle cellule si praticherebbe su
persona adulta. Così chiosa ancora Ian Wilmut: «La nuova via di ricerca è
accettata socialmente ed è estremamente appassionante».
Che la strada da prendere sia
quella delle staminali adulte e non quella che prevede la soppressione degli
embrioni è cosa nota non solo agli addetti ai lavori ma anche al popolino.
Nell’ottobre dello scorso anno l’inchiesta Eurobarometro ha rilevato che il 56%
degli intervistati - il campione era rappresentativo di tutta la popolazione
europea - considerava il concepito come persona umana e il 69% era favorevole
alla ricerca sulle staminali adulte. Solo una piccola minoranza appoggiava la
ricerca sulle staminali embrionali.
Fin qui la scienza e il sentito
comune. La politica, almeno quella europea, però sembra andare in altra
direzione. L’Ottavo Programma Quadro dell’Unione Europea “Horizon 2020” pare
che prevederà il finanziamento delle ricerche che comportino la distruzione
degli embrioni. Il budget previsto per il periodo 2014-2020 è di 80 miliardi di
euro: tanto per intenderci la manovrina richiesta da questa stessa Europa
all’Italia è di 30 miliardi. La Commissione degli Episcopati della Comunità
Europea (COMECE) non è stata a guardare e il 7 dicembre scorso ha pubblicato
una nota dove chiede agli estensori del Programma Quadro di fare un passo
indietro sulle staminali embrionali e invece un passo avanti su quelle adulte. Queste
«dovrebbero dunque beneficiare di un finanziamento prioritario nel nuovo
programma quadro Horizon 2020», continua il comunicato dei vescovi.
Qualche commentatore ha poi
considerato la disciplina prevista dal Programma Quadro in contraddizione con la
sentenza dello scorso ottobre della Corte Europea riguardante il caso
“Greenpeace vs Brüstle” in cui si vietava la possibilità di brevettare le
scoperte scientifiche ottenute tramite la distruzione di embrioni. Ma purtroppo
non c’è nessuna contraddizione. La Corte infatti, applicando la Direttiva
98/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, aveva
permesso la ricerca sugli embrioni che comportano la soppressione degli stessi,
limitandosi solo a vietare di lucrarci su. Quindi al pari del Programma Quadro
la Corte dice sì alla ricerca sugli embrioni e implicitamente ai finanziamenti
della stessa, ma dice no alla vendita delle scoperte derivate da questa stessa
ricerca. Perciò nessuno strabismo in ambito europeo.
Detto ciò però l’obiezione è
d’obbligo: ma perché permettere di finanziare delle ricerche i cui risultati
non potranno far arricchire nessuno? Cosa se ne fanno le aziende farmaceutiche
di soldi provenienti dalla UE che poi non possono essere investiti in
tecnologie vendibili ad alcun compratore? Due sono le possibili risposte. La
prima: il divieto di brevettabilità riguarda solo l’Europa. Le multinazionali
farmaceutiche hanno sedi in tutto il mondo e quindi sarà per loro facile
chiedere il brevetto in un paese non europeo. In secondo luogo premere sul
finanziamento delle ricerche sugli embrioni porterà prima o poi a far cadere il
divieto di brevettabilità. Tutti hanno rilevato la contraddizione che investire
nella ricerca senza possibilità di venderne i risultati è un paradosso. Il modo
di superare il paradosso sarà permettere di brevettare le scoperte di questi
esperimenti scientifici. Tanto più che uno degli obiettivi dell’Ottavo
Programma Quadro è quello di aiutare “le imprese innovative a trasformare le
loro scoperte tecnologiche in prodotti validi con un reale potenziale
commerciale”. Dunque pare proprio che sia questione solo di tempo.
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