ITALO SVEVO/ Gioanola: può
davvero la psicanalisi risolvere la crisi dell'io? - INT. Elio Gioanola, lunedì
19 dicembre 2011, http://www.ilsussidiario.net
Scrittore del privato, Italo
Svevo. Rinuncia volentieri al contesto sociale. Gli interessa soltanto
scandagliare nel profondo gli abissi sfuggenti e contraddittori
dell’interiorità. Le sue opere sono il sintomo più acuto – insieme a quelle di
molti altri grandi della sua generazione – dello sfaldamento ideologico della
cultura europea, del disorientamento prodotto dal crollo dell’ancien régime,
l’impero che la grande guerra ha cancellato. L’io borghese vacilla. A Trieste,
terra di confine ideale, culturale e politico, Italo Svevo, figlio di una ricca
famiglia commerciale, scrive le ansie, le inquetudini e le incertezze sue e
insieme del suo tempo.
È abbastanza significativo che i
150 anni della nascita di Svevo coincidano con quelli dell’Italia» dice Elio
Gioanola, critico letterario, scrittore, già docente di Letteratura italiana
nell’Università di Genova. «Non per niente volle chiamarsi Italo e avrebbe
potuto benissimo, per nostra disgrazia, essere uno scrittore tedesco. Invece
scelse l’italiano perché gli interessava mettersi sulla traccia della grande
tradizione letteraria che aveva in Firenze la sua patria ideale. Le sue
letture, quando usciva dalla banca, erano i classici italiani, Alighieri,
Petrarca, Ariosto, Tasso...».
Professor Gioanola, il tema
dell’identità e delle radici è centrale in Svevo e attraversa come una ricerca
sofferta tutta la produzione dello scrittore.
Svevo è stato uno degli
«inventori», forse il primo nell’ambito della letteratura moderna, della crisi
radicale del soggetto romantico. Sulla scia anche di Dostoevskij, Svevo ha
creato in qualche modo l’eroe negativo, cioè colui che si sente eterodiretto,
che sa che dietro la sue spalle c’è una forza indipendente dalla sua volontà e
dalle sue decisioni, e che lo spinge a cose che magari non aveva intenzione di fare.
Zeno (Zeno Cosini, il protagonista de La coscienza di Zeno, ndr) è un esemplare
straordinario di questa eterodirezione. Banalmente: spara a un bersaglio, ne
colpisce un altro. Ha imparato i compromessi necessari, e dunque non prende più
drammaticamente le cose come i due suoi predecessori romanzeschi, Alfonso Nitti
ne Una vita e Emilio Brentani in Senilità. Ma le «forze in campo» risentono in
modo preponderante di ciò che Freud chiamava inconscio.
Ha citato il padre della
psicanalisi. Abbiamo a che fare, rispetto ai predecessori, con uno scrittore
che elegge la vita privata a sfera principale nella quale si gioca il senso
dell’esistenza. Quali sono i fattori che determinano questa svolta?
Il rifiuto del realismo dominante
fino alla fine dell’800. Tutta la letteratura realistica è una letteratura del
sociale, si svolge in ambiti che vedono in azione personaggi che sono
in-concepibili fuori contesto. Invece leggendo Svevo quasi non si sa dove si è,
l’ambiente conta pochissimo; conta invece la sua scrittura, che come una sonda
va in giù a scandagliare le ragioni ignote, le cose che non vorremmo fare. È
l’introspezione feconda tipica del novecento – la vediamo in Pirandello per
esempio –, tutta centrata sugli esistenziali, sulla morte, sul tempo.
Coma cambia di conseguenza la
scrittura letteraria?
Gli effetti sulla scrittura sono
vistosi: è la fine del descrizionismo. Se leggiamo qualsiasi romanzo dell’800,
da Manzoni in avanti, lo troviamo pieno di descrizioni di paesaggio. Con Italo
Svevo queste parti spariscono. Egli è forse il principale autore di questa
svolta radicale verso l’interno.
E non è un letterato di
professione.
No, infatti. Ma intuisce le cose
essenziali della contemporaneità. Nasce in un fervido ambiente culturale e
politico mitteleuropeo, quello triestino, che lo proietta in una situazione
completamente diversa da quella della letteratura tradizionale. La sua è una
scrittura classicamente «brutta», come quella di Pirandello: non c’è più niente
del bello scrivere, di letterario nel senso tradizionale del termine; ciò che
conta è l’essenza, non più la forma, il gioco della letteratura.
Esiste un’eredità di Svevo?
Diffido sempre molto delle
eredità letterarie, anche perché Svevo stesso non si è sentito erede di
nessuno. Ogni grande scrittore inventa situazioni assolute, che non danno
spazio a imitazioni o conseguenze particolari. Se pensiamo anzi alle recensioni
che riceveva La coscienza di Zeno negli anni venti, c’è da rabbrividire:
nessuno aveva capito cosa stava succedendo. Lo aveva capito però Montale, che
era uno spirito affine. Montale, come Svevo, è un altro grande dilettante che
scrive perché non può farne a meno: la loro è una scrittua necessitata in
qualche modo da queste pulsioni profonde che non trovano appagamento in nessuna
delle forme tradizionali.
C’è invece un’apertura di tipo
metafisico in Svevo?
Forse è il più laico di tutti i
nostri scrittori. Chiediamoci: la cultura vincente all’inizio del secolo qual
è? Quella che viene da Hegel, cioè l’idealismo razionalistico, con le sue
successive varianti materialistiche e storicistiche. Tutto ciò che non è
ragione non c’entra, non conta. Invece la letteratura riapre i giochi: Montale
si dichiarava amico dell’invisibile, Pirandello dice che c’è sempre un oltre.
Non spetta più alla religione formulare l’esigenza religiosa, ma alla
scrittura.
La sofferenza di Svevo dunque non
ha a che fare con quelli che Slataper chiamava i «dolori metafisici latenti»,
caratteristici dell’uomo moderno?
Direi di sì, e bisogna contare
anche Michelstaedter a questo punto. Gli autori dell’area triestina, proprio
perché sono fuori dai giochi della letteratura in quanto tale, possiedono
antenne sensibilissime, capaci di recepire le scosse profonde che stanno
minando tutte le certezze borghesi. La loro è una ferita profonda, che bada
agli esistenziali e fa di essi il fondamento della medtazione che troverà
spazio proprio nell’esistenzialismo.
Un suo personale consiglio al
lettore che voglia accostarsi a Svevo?
Ci sono dei racconti
straordinari, come Il malocchio: io comincerei proprio da lì. Oppure La
buonissima madre, o La madre. Non li legge quasi nessuno ma sono dei
capolavori. Contengono in nuce ciò che Svevo sviluppa nei romanzi.
Nessun commento:
Posta un commento