TRE LEZIONI SULLA DIGNITÁ DELLA VITA UMANA Robert Spaemann, Ed. Lindau
(2011), pp. 112, ISBN: 978-88-7180-949-6, € 12,00, Newsletter di Scienza &
Vita n°52 del 21 Dicembre 2011, http://www.scienzaevita.org
I tre saggi che compongono questo
libro sono stati presentati alle
McGivney Lectures 2010 del Pontificio
Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio
e famiglia presso l’Università cattolica d’America. […] Robert Spaemann, autore delle conferenze del 2010, è professore emerito di
filosofia all’Università di Monaco. […]
Rimanendo nella grande tradizione
filosofica dell’Occidente, il professor
Spaemann ci ha aiutato con pazienza e profondità
a riflettere sulle grandi questioni che la civiltà umana si trova a dover affrontare
oggigiorno tornando nuovamente sugli
interrogativi fondamentali: chi è una
persona? Che cosa significa parlare di
identità personale e della dignità della persona? Come osserva il professor Holger Zaborowski in un suo libro di recente
pubblicazione – Robert Spaemann’s philosophy of the human person: nature, freedom, and the critique of modernity (Oxford University Press), la prima monografia in inglese dedicata al filosofo
tedesco – Spaemann sottopone la modernità a una critica interessante e stimolante mettendoci in
guardia, al contempo, dal rischio
di scivolare in un moderno antimodernismo che non farebbe che perpetuare alcuni dei principali aspetti problematici
della modernità. In questi saggi
affascinanti, il professor Spaemann si
occupa dapprima dei “Paradossi dell’amore”,
in cui, inter alia, riflette sul perché “ciò che il termine ‘conoscere’ significa può
essere realizzato soltanto nell’amore”:
ubi amor, ibi oculos (“dove c’è l’amore, lì c’è lo sguardo”, Riccardo di San Vittore); perché “amare qualcuno significa
capire il motivo per cui Dio ha creato
quella persona” (Nicolás Gómez Dávila) e
perché “l’essere persona esiste soltanto
al plurale”. In “La dignità dell’uomo e
la natura umana” il professore sostiene
che non dovremmo dire che “è un diritto
veder rispettata la propria dignità, che
è piuttosto il motivo metafisico per cui
gli esseri umani hanno diritti e doveri.
Hanno dei diritti perché hanno dei
doveri, ossia perché i normali membri adulti
della famiglia umana non sono né animali integrati per istinto nelle proprie comunità,
né esseri indeterminati assoggettati
all’istinto. … La capacità di assumersi
la responsabilità è ciò che chiamiamo libertà. Chi
non è libero non può essere ritenuto responsabile
di alcunché. Chi però può assumersi la responsabilità
ha il diritto di non essere trattato come
un semplice oggetto né costretto fisicamente ad adempiere il proprio dovere”. E ancora: “la preziosità dell’uomo ‘in quanto
tale’ – che cioè non è ‘prezioso’ solo a
se stesso – ne rende sacra la vita,
conferendo al concetto di dignità una dimensione
ontologica che è in effetti il suo sine qua non. La dignità è un segno di sacralità. E’ un
concetto fondamentalmente
religioso-metafisico”. Nell’ultimo
saggio, il professor Spaemann affronta una
questione spinosa: la morte cerebrale può essere il criterio che definisce la morte? Nel 1968,
la Commissione della Harvard Medical
School ha cambiato fondamentalmente lo
status quaestionis in merito,
dichiarando che la morte del cervello è
in effetti la morte dell’essere umano.
Nel suo saggio, Spaemann contesta tale
conclusione e, citando il giurista
tedesco prof. Dott. Ralph Weber, sulla base di un giudizio filosofico fondato su dati
empirici sostiene che: “il criterio della ‘morte cerebrale’ è adatto soltanto a dimostrare l’irreversibilità
del processo di morte e quindi a fissare
un termine al dovere del medico di
curare per tentare di ritardare l’evento”.
Il paziente cerebralmente morto, per
dirla con le parole di un altro giurista
tedesco, il prof. Dott. Wolfram Höfing:
“è un essere umano morente, ma ancora in
vita ai sensi della Costituzione (della Repubblica Federale
Tedesca, art. 2, II, 1
99). I pazienti cerebralmente morti vanno considerati
correttamente moribondi, quindi persone
vive in uno stato di insufficienza
cerebrale irreversibile”. Una volta un
critico, parlando di un libro del professor
Spaemann, ha detto che se Socrate ne avesse
scritto uno, sarebbe stato il testo di
Robert Spaemann che stava recensendo.
Ciò che intendeva con tali parole è
evidente nei saggi che seguono. *Si
riporta la prefazione a cura di David L.
Shindler Preside e Docente di Teologia
fondamentale Pontificio Istituto GPII
per Studi su matrimonio e famiglia,
Università Cattolica d’America
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