giovedì 22 dicembre 2011


TRE LEZIONI SULLA DIGNITÁ DELLA VITA UMANA Robert Spaemann, Ed. Lindau (2011), pp. 112, ISBN: 978-88-7180-949-6, € 12,00, Newsletter di Scienza & Vita n°52 del 21 Dicembre 2011, http://www.scienzaevita.org 

I tre saggi che compongono questo libro sono stati  presentati alle McGivney Lectures 2010 del  Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su  matrimonio e famiglia presso l’Università cattolica  d’America. […] Robert  Spaemann, autore delle  conferenze del 2010, è professore emerito di filosofia  all’Università di Monaco. […] Rimanendo nella  grande tradizione filosofica dell’Occidente, il  professor Spaemann ci ha aiutato con pazienza e  profondità a riflettere sulle grandi questioni che la  civiltà umana si trova a dover affrontare oggigiorno  tornando nuovamente sugli interrogativi  fondamentali: chi è una persona? Che cosa significa  parlare di identità personale e della dignità della  persona? Come osserva il professor Holger  Zaborowski in un suo libro di recente pubblicazione  –  Robert Spaemann’s philosophy of the human  person: nature, freedom, and the critique of  modernity (Oxford University Press), la prima  monografia in inglese dedicata al filosofo tedesco –  Spaemann sottopone la  modernità a una critica  interessante e stimolante mettendoci in guardia, al  contempo, dal rischio di  scivolare in un moderno  antimodernismo che non farebbe che perpetuare  alcuni dei principali aspetti problematici della  modernità. In questi saggi affascinanti, il professor  Spaemann si occupa dapprima dei “Paradossi  dell’amore”, in cui, inter alia, riflette sul perché “ciò  che il termine ‘conoscere’ significa può essere  realizzato soltanto nell’amore”: ubi amor, ibi oculos (“dove c’è l’amore, lì c’è lo sguardo”, Riccardo di San  Vittore); perché “amare qualcuno significa capire il  motivo per cui Dio ha creato quella persona”  (Nicolás Gómez Dávila) e perché “l’essere persona  esiste soltanto al plurale”.  In “La dignità dell’uomo e la natura umana” il  professore sostiene che non dovremmo dire che “è  un diritto veder rispettata  la propria dignità, che è  piuttosto il motivo metafisico per cui gli esseri umani  hanno diritti e doveri. Hanno dei diritti perché  hanno dei doveri, ossia perché i normali membri  adulti della famiglia umana non sono né animali  integrati per istinto nelle proprie comunità, né esseri  indeterminati assoggettati all’istinto. … La capacità  di assumersi la responsabilità è ciò che chiamiamo  libertà.   Chi non è libero non può essere ritenuto  responsabile di alcunché. Chi però può assumersi la  responsabilità ha il diritto di non essere trattato  come un semplice oggetto né costretto fisicamente  ad adempiere il proprio dovere”.  E ancora: “la preziosità dell’uomo ‘in quanto tale’ –  che cioè non è ‘prezioso’ solo a se stesso – ne rende  sacra la vita, conferendo al concetto di dignità una  dimensione ontologica che è in effetti il suo sine qua  non. La dignità è un segno di sacralità. E’ un concetto  fondamentalmente religioso-metafisico”.  Nell’ultimo saggio, il professor Spaemann affronta  una questione spinosa: la morte cerebrale può essere  il criterio che definisce la morte? Nel 1968, la  Commissione della Harvard Medical School ha  cambiato fondamentalmente lo status quaestionis in  merito, dichiarando che la  morte del cervello è in  effetti la morte dell’essere umano. Nel suo saggio,  Spaemann contesta tale conclusione e, citando il  giurista tedesco prof. Dott. Ralph Weber, sulla base  di un giudizio filosofico fondato su dati empirici  sostiene che: “il criterio  della ‘morte cerebrale’ è  adatto soltanto a dimostrare l’irreversibilità del  processo di morte e quindi a fissare un termine al  dovere del medico di curare per tentare di ritardare  l’evento”.  Il paziente cerebralmente morto, per dirla con le  parole di un altro giurista tedesco, il prof. Dott.  Wolfram Höfing: “è un essere umano morente, ma  ancora in vita ai sensi della Costituzione (della  Repubblica  Federale  Tedesca,  art.  2,  II,  1  99).  I  pazienti cerebralmente morti vanno considerati  correttamente moribondi, quindi persone vive in uno  stato di insufficienza cerebrale irreversibile”.  Una volta un critico, parlando di un libro del  professor Spaemann, ha detto che se Socrate ne  avesse scritto uno, sarebbe  stato il testo di Robert  Spaemann che stava recensendo. Ciò che intendeva  con tali parole è evidente nei saggi che seguono.  *Si riporta la prefazione  a cura di David L. Shindler  Preside e Docente di Teologia fondamentale  Pontificio Istituto GPII per Studi su matrimonio e  famiglia, Università Cattolica d’America 

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