I testimoni della Nigeria di Riccardo Cascioli, 27-12-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
Le notizie arrivate a Natale
dalla Nigeria, con la serie di attentati contro le chiese cristiane che hanno
provocato decine di morti, sono come un pugno nello stomaco per noi cattolici
italiani che abbiamo come orizzonte natalizio una tranquilla messa della Veglia
– se non siamo troppo stanchi sennò andiamo a quella del mattino –, il pranzo
di famiglia e il predicozzo contro il consumismo che ci mette a posto la
coscienza. Sono come un pugno nello stomaco perché ci ricordano che in molte
parti del mondo c’è poco da scherzare, si rischia la vita soltanto per
l’intenzione di celebrare la messa. E non è piacevole sentirselo ricordare
mentre si sta addentando una fetta di panettone o di qualche altro dolce
tipico.
In realtà quello che prevale è la
sensazione di una sproporzione tra le condizioni che viviamo qui e quello che
altri fratelli nella fede vivono in Nigeria, ma anche in Pakistan, In India, in
Cina, in Egitto, in Palestina, in Iraq, in Turchia e chissà in quanti altri
paesi ancora. E in fondo ci riteniamo fortunati, “siamo nati dalla parte giusta
del mondo” sentiamo dire tante volte. Ma forse soltanto perché usiamo dei
criteri sbagliati. Sia ben chiaro: dovremmo davvero ringraziare Dio ogni minuto
della nostra vita per quello che abbiamo, ma ciò non toglie che noi rischiamo
di scambiare la Grazia con le condizioni di benessere materiale e fisico, la
positività del disegno di Dio su di noi con l’andar bene delle cose. Vale a
dire: ci sentiamo più fortunati perché le cose ci vanno bene, non perché siamo
più vicino a Dio – qualsiasi sia la nostra situazione -, più “pronti con le
lampade accese” all’incontro con lo Sposo.
Se invece adottiamo il criterio
della vicinanza con Dio, allora forse dobbiamo rivedere la classifica dei
fortunati e degli sfortunati: chi subisce o rischia il martirio ogni giorno,
per il solo fatto di segnarsi con la croce o per partecipare alla messa, è
enormemente più avanti di noi, che facciamo fatica perfino a essere fedeli a un
piccolo gesto di digiuno.
Certo, non è necessario augurarsi
per noi la sofferenza né tantomeno di essere dilaniati da bombe o torturati a
morte, ma è indispensabile guardare con occhi diversi a coloro che vivono in
queste difficili realtà: non sono soltanto fratelli nella fede che dobbiamo
aiutare sia nella preghiera, sia economicamente sia politicamente per quel che
possiamo – e questo è certo doveroso -, ma sono anzitutto dei testimoni da cui
dobbiamo imparare l’amore a Gesù, l’amore alla Verità che viene prima di ogni
tornaconto personale. Non dobbiamo guardali con compatimento, ma con
ammirazione. E imparare la stessa tensione alla santità per affrontare nel modo
più vero le mille insidie (per l’anima) di una vita comoda.
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