Tre domande sul welfare di Johnny Dotti, 01/12/2011, http://www.formiche.net
Il concetto di democrazia è
venuto maturando un po´ alla volta, così come il concetto di diritti e il
rapporto con i bisogni.
L´impianto formale dell´attuale
modello di welfare, costruito all´inizio del ‘900, poggiava su un´idea
sostanzialmente assicurativa; si volevano rassicurare le persone, mettendole al
riparo dagli eventi. Inoltre, si avevano in mente piccoli pezzi di popolazione.
Semplificando: si pensava che su dieci persone, a otto sarebbe andato tutto
bene, mentre si sarebbe dovuto prestare assistenza alle due restanti. Questo
perché semplicemente si viveva molto meno, il concetto di democrazia è venuto
maturando un po´ alla volta, così come il concetto di diritti e il rapporto con
i bisogni. Così ci siamo trovati alla fine dello scorso secolo con una pratica
del welfare che era insostenibile rispetto alla sua visione originaria. Era
insostenibile l´idea che qualcuno potesse assicurare tutti.
Prendiamo ad esempio il sistema
sanitario. Quando sono state pensate le Asl (anni ‘70), si credeva che il
cittadino ne avrebbe usufruito poche volte nel corso dell´anno. Oggi le persone
hanno un rapporto con la sanità quasi quotidiano. Inoltre, non ha retto un
altro passaggio. Il fenomeno del welfare, pensato per la popolazione tutta, con
un´idea comunitaria della società, si è scontrato con una società sempre più
individualista. I diritti sono diventati via via individuali e soggettivi,
rendendo difficile stabilirne una gerarchia. Bisogna essere coscienti che è
finita la stagione dell´uguaglianza tra bisogno e diritto. Per rendere
sostenibile il welfare, occorre superare anche da un punto di vista culturale
questo binomio. Il welfare è sempre stato pensato solo come un´area di costo.
Il sistema produttivo, incrementando il Pil, permette allo Stato, attraverso la
tassazione, di ridistribuire una parte consistente delle risorse attraverso
pensioni e servizi.
È necessario cominciare a pensare
il welfare come un creatore di ricchezza, perché è un modello di innovazione
sociale, generatore di legami, non un burocratico erogatore di prestazioni.
Così si presentano tre questioni a cui provare a dare alcune possibili
risposte. La prima: come facciamo a contenere i bisogni e a fare in modo che i
bisogni abbiano una loro gerarchia legittima e che siano riconosciuti tali
dalle persone? La seconda: come facciamo a spostare sul versante della
produzione (costi e ricavi) il welfare, e non sul versante del solo costo? La
terza: come immaginiamo di integrare la vecchia idea di welfare con una nuova
(e antica) idea di beni comuni?
La risposta a questi tre quesiti
è ciò che ne permetterà la sostenibilità. Per dare evidenza empirica a ciò che
abbiamo accennato, facciamo l´esempio del Comune di Milano. Il Comune, che
negli ultimi 10 anni ha costantemente speso di più per il welfare, è arrivato
ad investire 540 milioni nel 2010. Lo scorso anno sono stati registrati nel
capoluogo lombardo 58mila lavoratori domiciliari immigrati. È legittimo
ipotizzare che di questi, la metà siano badanti; 29mila badanti per circa mille
euro al mese pro-capite, fanno 348 milioni di euro all´anno. Quindi è cresciuta
la spesa pubblica e quella diretta delle famiglie. A questo aggiungiamo i 200
milioni di euro che le famiglie di Milano hanno speso per l´Rsa andando ad
integrare la retta della Regione. Così a Milano si è arrivati a spendere un
miliardo di euro per servizi di welfare. Le persone stanno meglio? No.
Riprendo le tre questioni
sollevate in precedenza. La proposta è destatalizzare socializzando, non
privatizzando. Questo per preservare il pubblico. "Pubblico" è una
componente della persona che è sia singolare sia plurale, è in se stessa
privata e pubblica; non devono esserci entità che hanno il diritto di possesso
del luogo del pubblico. Per destatalizzare socializzando occorre riprendere in
maniera massiccia l´idea e il valore mutualistico e cooperativo. Il sistema
mutualistico è l´autogoverno dei bisogni e la capacità distributiva della
responsabilità all´interno di un gruppo. Forme mutualistiche, le uniche in
grado di autogovernare l´esplosione dei bisogni e dar loro una gerarchia. Non
c´è un dio laico, lo Stato, che decide che una cosa venga prima di un´altra. Si
deve procedere in questo modo, altrimenti si rischia quello che sta accadendo a
Milano. Di quei 348 milioni, buona parte vanno all´estero in rimesse nei Paesi
delle badanti, togliendo risorse all´economia locale: scenario inimmaginabile
per chi aveva pensato il welfare.
Dobbiamo aggiungere che il nostro
legislatore è stato sprovveduto nell´aver obbligato le famiglie a diventare
delle piccole imprese che assumono la propria badante. Così abbiamo prodotto in
Italia circa un milione di piccole imprese familiari. Il secondo passaggio si
riferisce al tema dei beni comuni. Non è più possibile immaginare questo nuovo
welfare separato da un rinnovato impegno educativo. Il problema del welfare ha
alle spalle un problema di consapevolezza della vita e di responsabilità nei
confronti della vita; se vogliamo ricreare situazioni comunitarie dovremo avere
situazioni educative comunitarie. Situazioni astratte e generiche non sono in
grado di generare responsabilità. Qui c´è tutto il tema dei beni comuni,
dall´acqua, ai beni culturali, alla scuola, alla salute, ecc. Il problema è che
non c´è nessun Terzo settore che si sta candidando a tutto questo.
Il Terzo settore resta schiavo
del rapporto con la politica e di chi gli copre l´80% dei costi di bilancio. Il
tema dei beni comuni, che per me sono pubblici nell´accezione che devono essere
accessibili ed universali come tendenza, è un grande tema per l´impresa sociale
ed è un grande tema sul quale fare un ragionamento di attrazione di capitale.
Non si immagini che questa sia una questione che riguardi la sola categoria dei
"poveri". Infine credo che la vicenda del welfare, dei beni comuni
sia la grande vicenda dell´innovazione culturale e industriale italiana. Non
siamo in grado di fare le competizioni sulle tecnologie. Possiamo essere molto
competitivi ritornando a riprendere in mano questi dati fondanti della nostra
civiltà e ricordandoci che il welfare in Italia viene prima di Bismarck, e
prima di Beveridge. Questa è responsabilità politica ed economica. Crea un
sentimento nazionale e consolida un possibile modello italiano nel mondo.
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