martedì 13 dicembre 2011


Strage di cristiani in Orissa, polizia complice di Anto Akkara, 13-12-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Bhubaneswar – Un tribunale indipendente chiamato a giudicare le ingiustificate violenze anticristiane verificatesi nel 2008 nello Stato federato dell’Orissa, nell’India orientale, ovvero il Tribunale popolare nazionale (Tpn), ha denunciato con durezza l’incapacità del governo locale di proteggere i cristiani durante la caccia all’uomo scatenatasi nel remoto diretto di Kandhamal, immerso nella giungla, a 300 chilometri da Bhubaneswar, capitale di quello Stato. «Durante le violenze», si è lamentato il Tribunale, «i funzionari [governativi] hanno giocato un buon numero di ruoli negativi, che vanno dall’essere rimasti spettatori silenziosi ma anche fiancheggiatori di quei massacri brutali sino al rifiuto di proteggere o di assistere le vittime e i sopravvissuti…».

Il rapporto finale di quell’assise giudicante è stato pubblicato il 2 dicembre a Bhubaneswar alla presenza di più di mille persone, fra cui decine di attivisti per i diritti umani, sacerdoti cristiani e centinaia di sopravvissuti.

L’udienza iniziale del Tpn si è dapprima svolta a Nuova Delhi nell’agosto del 2010, in concomitanza del secondo anniversario dell’eccidio che nel Kandhamal ha mietuto 45 vittime e ha raccolto le testimonianze dei sopravvissuti. Dopodiché, è stata la volta di 15 esperti che hanno presentano i risultati di studi, indagini sul campo, ricerche e accertamenti di diversa natura raccolti in un dossier di 200 pagine intitolato Waiting for Justice (“In attesa di giustizia”).

La giuria popolare, composta di una decina di eminenti cittadini indiani di diversa estrazione, tra cui alcuni ex giudici, ha quindi analogamente accusato la polizia dell’Orissa di “complicità” nei gravi fatti di sangue avvenuti nella giungla di Kandhamal dopo l’uccisione del leader indù Swami Lakshmanananda Saraswati nell’agosto del 2008.

Nonostante i ribelli maoisti abbiano rivendicato la paternità di quell’attentato, i gruppi fondamentalisti indù hanno subito gridato al “complotto cristiano” scatenando una persecuzione inaudita.
I massacri, protrattisi per settimane, hanno così comportato l’uccisione di più di 90 cristiani, nonché la distruzione di più di 300 chiese e di 6mila abitazioni, tanto da lasciare 56mila cristiani in mezzo a una strada.

«Con grande preoccupazione», si legge nel verdetto del Tpn, «la giuria constata che la polizia è venuta meno a propri precisi doveri costituzionali, che si è fatta connivente della “piazza”, che ha preso parte e appoggiato le violenze, e che ha apertamente ostacolato il corso della giustizia con atti fatti e omissioni. […] Analogamente, il governo locale non ha fatto quanto in proprio potere per evitare dette violenze».

Le testimonianze rese al tribunale dalle vittime cristiane - ha proseguito la giuria - «concordano nell’evidenziare il rifiuto netto di arrestare i facinorosi, o se non altro un ritardo del tutto ingiustificato. Per contro, i sopravvissuti all’eccidio sono invece stati arrestati o minacciati di finire in prigione sulla scorta di accuse false miranti solo a silenziarli o a scoraggiarli dal cercare giustizia.

«La complicità della polizia e la sua collusione con i violenti durante le indagini e il dibattimento evidenziano l’intento persecutorio delle istituzioni nei confronti della comunità cristiana. Le vittime e i testimoni impegnati nel processo di accertamento della verità sono stati minacciati e intimiditi, per di più senz’alcuna garanzia d’incolumità durante le sedute in tribunale».

Al momento della pubblicazione del rapporto, Vrinda Grover, avvocato presso la Corte Suprema federale e membro del Tpn, ha affermato: «I funzionari governativi e la polizia sono tenuti a proteggere chi è in pericolo, ma nel Kandhamal si sono schierati dalla parte degli aggressori».
La giuria popolare ha dovuto così ribadire positivamente la necessità che la riapertura dei casi giudiziari chiusi avvenga osservando la più nitida imparzialità, che gl’indennizzi ai cristiani per le perdite subite siano adeguati e che immediate siano le misure pratiche da adottare onde tutelare il diritto alla libertà religiosa dei cristiani perseguitati con la complicità dell’amministrazione pubblica.

«Si tratta di un’iniziativa di giustizia e di pace», spiega l’indù Dhirendra Panda, coordinatore di quel Forum di solidarietà nazionale a cui (in collaborazione con altre sigle dell’attivismo laico) si deve l’istituzione del Tpn. «A tre anni dai fatti, le infelici vittime di quegli assalti stanno ancora attendendo giustizia», ha rintuzzato Panda.

La pubblicazione del verdetto finale del Tpn è stata preceduta da una mostra fotografica dedicata all’orgia di malvagità scatenata contro i cristiani nel 2008. Il pezzo più significativo di tutta la rassegna è alla fine: le foto e le carte d’identità di decine di cristiani brutalmente ammazzati incollate a un tabellone di bambù. Sotto sono state accese delle candele bianche. Spesso si scorgono i parenti di quei morti versare lacrime, o seminare petali di fiori. «Questo è mio fratello», dice Tuna Kumar Nayak indicando il documento di Praphul, più anziano di lei. Oltre a Praphul, Tuna ha perso anche due cugini.

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