EUTANASIA/ D'Agostino: si usa il caso Welby per "imporre" la
morte assistita - INT. Francesco D'Agostino, mercoledì 21 dicembre 2011, http://www.ilsussidiario.net
A cinque anni dalla morte di
Piergiorgio Welby, torna di attualità il dibattito su eutanasia e morte
assistita. Era il 20 dicembre del 2006 infatti quando Welby cessava di vivere
per libera scelta. In questi cinque anni il dibattito ha subito una forte
accelerazione, anche per l'accadere del tragico caso di Eluana Englaro, un caso
che però, come sottolinea il professor Francesco D'Agostino interpellato al
proposito da IlSussidiario.net, è profondamente diverso. Ciò nonostante Partito
radicale e associazioni che si battono per una legge che dia libero accesso
all'eutanasia hanno preso l'anniversario della morte di Welby come spunto per
rilanciare la loro battaglia. Battaglia che si scaglia principalmente contro il
decreto legge Calabrò sul testamento biologico, decreto attualmente fermo in
Parlamento ma che proprio la vedova Welby in una sua intervista di questi
giorni definisce "illiberale e contrario al codice civile". Per il
professor D'Agostino, siamo davanti a uno sfruttamento mediatico di un caso,
quello di Piergiorgio Welby, che in realtà non ha nulla a che vedere con
l'eutanasia e il testamento biologico. "I radicali" spiega D'Agostino
"hanno creato a partire dalla figura di Piergiorgio Welby una risonanza mediatica
che va al di là dell'evento in sé, perché hanno collegato l'evento Welby
all'evento Eluana Englaro che aveva invece una natura completamente
diversa".
Professore, cosa è cambiato in
questi cinque anni dalla morte di Welby nell'opinione pubblica? Si direbbe che
la mentalità che sostiene l'eutanasia, la morte assistita, prenda sempre più
piede, le risulta?
Sono abbastanza d'accordo con
questa lettura della realtà attuale e c'è un motivo. L'evento Welby è stato uno
straordinario evento mediatico mentre è stato - espressione forte la mia, ne
sono consapevole - un modesto evento bioetico.
Ci spieghi meglio cosa intende.
Non voglio dare naturalmente
giudizi sulla persona né sulla modalità della sua morte, io giudico l'evento.
Il caso Welby è in sintesi il caso di un soggetto che, pienamente consapevole
di intendere e di volere, ha rinunciato alle terapie e a terapie salva vita che
erano praticamente conseguenti all'uso dei macchinari per la respirazione
artificiale. La rinuncia alle terapie da parte di persone capaci di intendere e
di volere è naturalmente un evento molto raro, ma è anche un evento
assolutamente legittimo, ha anche un fondamento costituzionale perché la
Costituzione proibisce ogni tipo di terapia coercitiva.
Se capisco cosa intende, sta
dicendo che il caso Welby non dovrebbe essere usato come bandiera di una lotta
per il diritto all'eutanasia.
I radicali hanno creato a partire
dalla figura di Piergiorgio Welby una risonanza mediatica che va al di là
dell'evento in sé perché hanno collegato l'evento Welby all'evento Eluana
Englaro che aveva invece una natura completamente diversa dato che diversamente
da Welby, Eluana era incapace di intendere e di volere. Hanno cioè raccordato
il caso Welby a quello del testamento biologico e anche qui non centra nulla,
perché nel caso di Welby lui non aveva bisogno di mettere per iscritto le sue
volontà, essendo capace di intendere e di volere e potendo comunicarle
direttamente a chiunque.
In cosa consiste la differenza
fra i due casi che lei cita?
Il cuore dell'evento Welby che è
rimasto nell'ambiguità riguarda l'aiuto che è stato dato a Welby nel morire, aiuto che la
magistratura ha ritenuto sia avvenuto nella liceità. In altre parole il medico
avrebbe semplicemente eseguito le indicazioni di Welby di sospensione delle
macchine, ma che per altri sarebbe stato più corretto qualificare come un vero
e proprio intervento attivo nella morte di Welby. Cosa che avrebbe
immediatamente attivato la qualificazione dell'evento come una vera e propria
eutanasia volontaria. Ma il problema che si pone è un altro.
Quale?
Dopo cinque anni il problema non
è riaprire la valutazione del caso Welby, che oltretutto è stato
definitivamente chiuso dalla magistratura. Dopo questi anni sono due invece le
cose che vanno osservate. Primo, di casi Welby non se ne sono verificati più e
i vari tentativi di creare nuove figure Welby come nel caso di un altro malato,
Giovanni Nuvoli, non hanno avuto seguito o per la precoce morte del malato
stesso o semplicemente perché mediaticamente non si è riusciti a trovare un
Welby numero due. Normalmente infatti i malati colpiti da patologie così gravi
vogliono essere accuditi, assistiti, non vogliono essere lasciati soli. Il loro
primo desiderio è poter vivere con serenità la fase terminale della loro vita e
non quello di diventare dei promotori di legislazioni eutanasiche.
Il secondo punto che lei sostiene?
Io credo che - anche a causa di
una certa responsabilità dei radicali e non solo - gli italiani ancora non
abbiano ben capito la grande differenza che c'è tra la problematica del
testamento biologico, che riguarda esclusivamente le persone che hanno perso la
capacità di intendere e di volere, e la problematica del suicidio assistito
come è il caso ad esempio di Lucio Magri e il caso infine che invece non crea
problema al bioeticista, pur essendo un caso di altissima tragicità, quello del
rifiuto consapevole da parte di malati capaci di intendere e di volere di
terapie anche salva vita. Questi cinque anni passati non sono serviti a
chiarire le idee all'opinione pubblica, ma a confonderla e a intrecciare fra di
loro questioni che invece andrebbero rigorosamente distinte.
Si attacca poi il ddl Calabrò,
definendolo illiberale e contrario al codice civile.
Il disegno di legge Calabrò non
considera ipotesi come quelle del caso Welby, quindi non riesco neanche a
capire perché si voglia continuare a collegare il nome di Welby al ddl Calabrò.
Sono due ipotesi rigorosamente diverse e che a tutti converrebbe tenere
separate. Il caso Welby significa acquisire certezza che il malato che rifiuta
le cure le rifiuti consapevolmente dopo aver avuto una adeguata informazione e
senza alcuna pressione morale e psicologica su di lui.
Questo è il grande problema
bioetico del caso Welby.
Purtroppo per malati di patologie
così gravi o per malati terminali non è rara l'ipotesi che la loro richiesta di
sospendere le cura o di staccare la spina non sia richiesta libera, che viene
fatta da persone pienamente capaci e da persone adeguatamente informate. Questo
è il grande problema, ma non è un problema teorico, tutti noi abbiamo diritto a
rifiutare le cure, su questo non si discute, è invece un problema pratico.
Cioè?
Il rifiuto delle cure infatti
presuppone una piena capacità, e la piena capacità nei malati terminali o così
gravi è sempre problematica. Ove però si riesca ad assodare al di là di ogni
dubbio che il malato è capace non si può non riconoscere il suo diritto direi
costituzionale a rifiutare anche terapie salva vita. Questo per quanto riguarda
il caso Welby, aprendo però una parentesi. In realtà da come posso valutare io
cioè come una persona che si limita a leggere i giornali, Welby ha dato molte
prove della sua piena capacità di intendere e di volere. Era un uomo che dava
interviste, scriveva lettere, era visitato da molte persone, presumo che si
possa riconoscere serenamente che Welby aveva piena capacità di intendere e di
volere. Ma appunto non si può applicare a tutti quello che è assodato a carico
di uno solo, questo, torno a dire, è il grand problema del caso Welby.
Tornando invece al dibattito
sulla legge Calabrò.
La legge Calabrò invece prende in
considerazione fondamentalmente le dichiarazioni anticipate di trattamento
redatte da persone che poi cadono in uno stato di incapacità e in particolare
di persone che devono essere sottoposte a idratazione e alimentazione
artificiale, quindi con il caso Welby non centra nulla.
Siamo davanti quindi a un uso
scorretto di una vicenda dolorosa come quella del signor Welby per altri fini.
La battaglia per l'eutanasia
della signora Welby conferma il carattere fortemente mediatico del caso, perché
una cosa è che si chieda il parere sulla legge Calabrò ad esempio a Umberto
Veronesi che è celebre medico, una cosa è chiedere questo parere alla signora
Welby, il cui unico titolo per parlare all'opinione pubblica è quello di essere
stata la moglie di Piergiorgio Welby. Poi il sistema mediatico, ma lo sappiamo
non è una novità, induce, crea opinione sfruttando l'immagine mediatica di
persone che non hanno obiettivamente una competenza sulle questioni su cui
vengono interrogate. La signora Welby è una cittadina e come ogni cittadino ha
diritto di esprimere la sua opinione, ma non riesco a trovare alcuna competenza
che giustifichi che venga intervistata lei e non un altro cittadino di
qualunque altra formazione.
Lei ritiene che questo allargarsi
dell'area della popolazione che sostiene l'eutanasia abbia anche a che fare con
una perdita di valori religiosi su cui si fondava fino a qualche tempo fa la
coscienza del popolo italiano?
E' una domanda difficile. Io
intanto dico ciò che mi sembra probabile: questo maggior interesse per il
problema dell'eutanasia prima ancora di derivare da una perdita di senso
religioso, deriva da una paura attivata nell'opinione pubblica paradossalmente
dagli straordinari progressi della medicina contemporanea.
Come mai questo?
Perché questi progressi
garantiscono sopravvivenze lunghe e tormentose in malati che fino a qualche
decennio fa sarebbero andati incontro a morti ben più rapide. Avendo noi
acquisito consapevolezza che oggi morire può diventare molto lungo e molto
difficile, ecco l'interesse spasmodico per i testamenti biologici e per l'eutanasia. Bisognerebbe però dare
all'opinione pubblica un messaggio ulteriore oltre a quelli che la bombardano,
il messaggio cioè che la medicina moderna oggi crea effettivamente situazioni
che in passato erano sconosciute come i malati in stato vegetativo persistente,
ma la medicina crea anche la possibilità di intervento palliativo.
Una possibilità cioè di far
soffrire di meno il malato.
La medicina del dolore che oggi
fa cose assolutamente straordinarie. Noi non diamo all'opinione pubblica questo
grande messaggio di conforto e cioè che tante malattie ritenute un tempo
incurabili come i tumori o tali da dare sofferenze strazianti oggi sono
straordinariamente curabili o comunque è possibile tenere sotto un accurato
controllo, dal punto di vista della qualità della vita di ogni giorno, il
malato.
Si preferisce far passare un
messaggio negativo e disperante, invece di un messaggio positivo che è
confortato da dati concreti.
Sono sempre più rare le
situazioni di lunghissime agonie che possono protrassi per mesi e creare
situazioni strazianti. Non voglio dire che il problema è risolto. Ma oggi
l'opinione pubblica è raggiunta più da vicende come quella di Eluana o di Welby
che statisticamente sono minime, sono importanti umanamente, ma hanno frequenza
statistica bassa. I casi come quello di Eluana non raggiungono i 2500, una
cifra irrisoria, calcolando che ogni anno muoiono in Italia circa 500mila
persone. Quindi sono ipotesi che colpiscono l'opinione pubblica gettandola
nell'angoscia mente invece bisognerebbe mandare all'opinione pubblica anche un
altro messaggio oggettivamente importantissimo.
Quale?
La fiducia nella medicina, perché
la medicina se in alcuni casi contro le indicazioni dei medici può creare
condizioni umanamente difficilissime, come i casi di Welby o Eluana, nella
stragrande maggioranza dei casi è amica dei malati, è amica degli anziani e ci
aiuta ad avere una qualità di vita che fino a qualche decennio fa era impensabile.
Senza contare che in questa
battaglia si è passati ormai a sostenere anche l'idea di suicidio assistito in
casi di depressione mentale.
Il caso di Lucio Magri è un caso
che è stato presentato malissimo dalla stampa
perché Magri era un uomo colpito da depressione psicologica, ma non
aveva alcuna patologia fisica attiva. Una adeguata terapia psicologica avrebbe
potuto togliere a Magri ogni desiderio suicidario. Quindi il problema di
Magri non era aiutarlo ammonire ma
aiutarlo a curarsi, e se c'è una cosa interessante è che oggi la psichiatria ha
oggi a disposizione farmaci oggettivamente banali che sconfiggono la
propensione al suicidio nei depressi. Il fatto è che non vogliamo riconoscere
che la malattia psichiatrica è altrettanto pericolosa quanto la malattia fisica
e che la depressione senile è una autentica malattia, non è un destino
ineluttabile.
Si vuole cioè cancellare il
concetto stesso di malattia e di possibilità di curarsi.
Magri che ovviamente apparteneva
a un ceto sociale di adeguata formazione non è stato raggiunto da nessuno dei
suoi amici e familiari da una pressante insistenza che si facesse curare: questo è il vero scandalo della vicenda, non
è stato sottoposto alle banali terapie oggi disponibile. La sua morte più che
imputabile a una sua libera scelta va considerata l'effetto di una malattia non
curata
(Paolo Vites)
© Riproduzione riservata.
Nessun commento:
Posta un commento