Coercizione all'aborto, l'Italia deve cambiare di Andrea Zambrano, 20-12-2011,
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Ci sono Paesi in cui la vicenda
di Trento non si sarebbe conclusa così. Quello della coercizione all’aborto è
un fenomeno strisciante di cui non si parla, ma che è diventato una delle cause
principali di interruzione volontaria (?) della gravidanza. Donne costrette. Da
cosa? Da fortissime e sibilline pressioni psicologiche e a volte addirittura
esplicite di genitori, nel caso di minorenni, di fidanzati, di medici distratti
o superficiali in caso di diagnosi di malformazioni più o meno gravi, ma anche
di assistenti sociali, tutori nominati dai tribunali dei minori e addirittura
datori di lavoro.
Secondo la comunità Giovanni
XXIII, è in crescita la percentuale delle donne indotte o costrette all’aborto
fra quelle che contattano il numero verde dell’associazione di Rimini. Della
cosa se ne parlò nel 2009 quando alcuni parlamentari di diversi schieramenti
contribuirono con il loro voto all’impegnativa scelta di sostenere in ambito
internazionale il diritto di ogni donna a non essere indotta o costretta ad
abortire.
Ma l’iniziativa in Italia e in
Europa si arenò. Non così invece per molti Stati dell'Unione americana nei
quali negli ultimi 2-3 anni, anche grazie a pronunciamenti della Corte Suprema,
sono state introdotte nell’ordinamento che disciplina la legge sull’aborto,
alcuni passaggi, in alcuni casi vere e proprie leggi nazionali, con l'obiettivo
di impedire, scoraggiare o punire qualunque induzione coatta all’aborto.
È il caso per esempio della
Lousiana, dove nel 2010 l’attuale governatore Bobby Jindal, indù convertito al
cattolicesimo, ha firmato alcune misure che favoriscono la piena informazione
delle donne che vogliono accedere all’ivg e regolamentato a norma di codice
penale qualunque tipo di coercizione.
Anche nel Montana troviamo una
legge simile che entrerà nell’ordinamento nel 2012 e che il governatore Brian
Schweitzer ha voluto si rivolgesse espressamente ai genitori o ai tutori legali
di una minore in quelle condizioni. Anche in questo caso scattano condanne
pesanti.
C’è poi il caso della North Carolina,
dove la democratica Beverly Perdue ha ampliato il raggio delle attenzioni verso
chi viene osteggiata nella decisione di tenere il bambino, coinvolgendo i
servizi sociali in supporto della futura madre.
Ma è nel Missouri che assistiamo
ad un cambio di mentalità abissale rispetto alle legislazioni conosciute alle
nostre latitudini. L’ult ima revisione della legge licenziata per la votazione
finale dalla commissione bambini e famiglie dello stato del Midwest obbliga i
ginecologi a far visionare alle donne video o foto che descrivano lo stato
anatomico e fisiologico del bambino destinato ad essere soppresso, a informarle
che costringere una donna ad abortire è un reato penale e che possono accedere
a programmi speciali di tutela della maternità (questa sì, vera) per portare a
termine la gravidanza. E c’è di più: le donne devono essere informate dei vari
metodi di aborto e dei rischi connessi per ogni tipo di tecnica. Nel
dispositivo vengono poi passate in rassegna tutte le forme più comuni di
coercizione: dallo stalking alle violenze domestiche fino alla somministrazione
di droghe. Le pene? Fino a dieci anni di carcere con multe da 10mila dollari.
Anche nell’Idaho, nel corso del
2011, la disciplina che regola l’aborto è stata adeguata all’insegna della massima
trasparenza e non solo della tutela della donna, ma anche del bambino. Ad oggi
sono 12 gli stati federali che hanno aggiornato il loro codice normativo con
interventi di questo genere, tesi a scoraggiare da un lato le induzioni e
dall’altro a far sì che la donna sia sempre più consapevole dell’atto che sta
compiendo.
In Ohio poi di leggi in questo
senso ne esistono più di una. L'ultima in ordine cronologico è nata sulla base
di una verità difficile da accettare: “Una donna incinta, è una donna vulnerabile”.
Così il dispositivo passa in rassegna tutte le difficoltà psicologiche
affrontate da una donna che sta per diventare madre. Compreso il fatto che un
aborto forzato produce in lei forti traumi, una volta realizzato pienamente che
ha ucciso il proprio bambino. La legga proibisce altresì che qualunque
tribunale possa ordinare a una persona di sottomettersi ad aborto. «Nessuna
donna sarebbe in grado di considerare l'aborto come unica opzione. Nessuna
donna penserebbe che uccidere il proprio bambino risolverebbe i propri
problemi». Questo uno dei messaggi della campagna di sensibilizzazione
dell'Ohio Right to Life che sta diffondendo negli ospedali e nelle scuole i
punti salienti della legge.
Risalendo verso nord, in Canada
ha tenuto banco per molto tempo il progetto di legge C-510, più noto come
Roxanne’s Law. La legge, presentata dal deputato Rod Bruinooge prende il nome
da Roxanne Fernando, una 24enne di origini filippine arrivata in Canada nel
2003. Nel febbraio 2007, dopo aver comunicato al fidanzato di essere incinta fu
brutalmente uccisa a Winnipeg e gettata in un fosso. Il motivo? Voleva tenere
il bambino a tutti i costi contro la volontà dell’uomo, che, dopo l’arresto è
stato condannato per omicidio, ma non per la morte del bambino che Roxanne portava
in grembo perché la legislazione non riconosce al feto alcun diritto.
L’iniziativa parlamentare,
sponsorizzata da numerosi movimenti pro-life canadesi e da diversi
rappresentanti delle principali confessioni religiose del Paese mirava a
introdurre nell’ordinamento pene severe, fino a cinque anni, per chiunque
costringesse, con qualunque forma di violenza, una donna ad abortire contro la
sua volontà. Dopo un aspro dibattito nel 2010, il progetto di legge è stato
bocciato: 179 voti contro e 95 a favore. Ma intanto il concetto della tutela
della donna da ogni forma di costrizione è passato.
E in Italia? Attualmente la Legge
194 riconosce che l’aborto non deve essere costretto: «Chiunque cagiona ad una
donna per colpa l'interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da
tre mesi a due anni», recita l’articolo 17. Così come l’articolo 5, che
contiene un passaggio in cui il medico «informa la donna sui diritti a lei
spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché
sui consultori e le strutture socio-sanitarie». Ma è tutto lasciato alla buona
volontà del medico e soprattutto non ci sono linee guida per applicare principi
che rimangono troppo astratti.
Il caso di Trento ha fatto
emergere un universo sommerso che non può più rimanere nascosto e che deve
essere affrontato senza le barricate ideologiche che attribuiscono alla donna
ogni sorta di autodeterminazione, purché sia funzionale alla libertà di
abortire e non a quella di portare a termine la gravidanza.
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