IL CASO/ 1. Lei musulmana, lui cristiano: quell’amore
"proibito" finito davanti al pm - INT. Salvatore Abbruzzese, giovedì
22 dicembre 2011, il sussidiario.net
E’ finito davanti al giudice
l’amore “proibito” tra due ragazzi di 23 e 19 anni, entrambi della provincia di
Venezia. Una storia come tante altri, se non fosse che lei è musulmana del
Kosovo e lui cattolico e italiano. I genitori della ragazza, quando hanno saputo
della relazione, hanno tentato di stroncarla sul nascere con minacce di morte,
intimidazioni e violenze verbali. Al punto che sono dovuti intervenire i
carabinieri, i quali hanno informato la Procura di Venezia. E il pm Massimo
Michelozzi ha deciso di disporre per padre, madre e fratelli di lei il divieto
di avvicinare la stessa ragazza, il suo fidanzato italiano e di recarsi nel
Paese dei familiari del ragazzo. Ilsussidiario.net ha chiesto a Salvatore
Abbruzzese, professore di Sociologia della Religione all’Università di Trento,
di commentare questo fatto di cronaca.
Professor Abbruzzese, che cosa
può scattare nella mente di un padre che arriva a minacciare la figlia di
morte?
Quanto avvenuto a Venezia è
l’esempio di ciò che avviene quando si sposta una persona sradicandola dal
luogo in cui ha i suoi punti di riferimento e facendola entrare in un contesto
completamente diverso e per molti versi antitetico. Gli immigrati che arrivano
in Italia non si rendono conto del fatto che i figli subiranno comunque il
fascino della nuova cultura nella quale si trovano a vivere. Sembra che le
persone non vogliano assolutamente rendersi conto di come gli universi
culturali siano in qualche maniera esterni alle loro valutazioni e abbiano la
loro influenza. E’ un problema classico delle famiglie degli immigrati venire
dal Kosovo in Italia illudendosi che si possa vivere nel nostro Paese con i
propri valori d’origine, senza che i figli abbiano dei problemi e confidando
semplicemente sulla propria capacità di tenere salda la barra. Lo avevano anche
le famiglie degli immigrati italiani quando andavano in Francia, in Svizzera o
negli Usa. C’era esattamente questo stesso problema. L’errore sta quindi nel
sottovalutare l’influenza delle culture, specialmente nei confronti dei più
giovani che sono personalità aperte, che si stanno strutturando e quindi si
guardano intorno, cercando dei modelli che non sempre sono positivi, ma che
inevitabilmente finiscono per influenzarli. Qualsiasi famiglia che sceglie di
emigrare in un altro Paese dovrebbe sapere queste cose.
In questo caso però oltre a una
differenza di nazionalità, ce n’è anche una religiosa. Fino a che punto può
diventare una differenza ancora più radicale?
Sicuramente la religione diventa
una differenza radicale quando è usata strumentalmente come un’arma di
differenziazione per motivi identitari. Le religioni in realtà convivono da
moltissimi secoli e sono passate attraverso momenti di tensione, ma anche
attraverso secoli di convivenza pacifica. Il problema è l’uso distorto delle
religioni, quando cioè queste non sono più praticate come messaggi di salvezza,
ma come strumenti di definizione della propria esistenza sociale e del proprio
profilo culturale. E’ come se io, invece di vivere il mio cattolicesimo per
affermare che Gesù si è incarnato, lo utilizzassi per difendere la mia
tradizione nazionale.
Per quale motivo le società
finiscono per utilizzare la religione in modo strumentale?
Fino a quando io non mi rendo
conto del valore dell’altro, ma in qualche modo lo cancello e lo determino a
priori, la conseguenza è sempre e comunque lo scontro. E questo è un problema
reciproco, sia da parte dei cattolici sia da parte dei musulmani. Fino a quando
un musulmano è convinto che l’altro sia portatore soltanto di valori negativi,
in quanto professa un’altra religione, qualsiasi soluzione pacifica è
assolutamente improponibile: con quel sistema, con quel metro di valutazione
della realtà, senza introdurre elementi di mediazione, mi sembra chiaro che nei
fatti non c’è nessuna possibilità di apertura. L’Islam vieta il matrimonio tra
una donna musulmana e un uomo cristiano.
Questo può rappresentare un
ostacolo insuperabile all’integrazione?
Ovviamente rappresenta un
ostacolo non di poco conto. Occorre vedere però come di fatto si sono
comportate nei confronti di questo precetto islamico le comunità immigrate
negli Stati Uniti. Qui infatti l’universo musulmano è passato attraverso
trasformazioni veramente significative. Alcuni dei musulmani americani
dell’ultima generazione per esempio non prendono più dei nomi arabi, bensì
inglesi. Negli Stati Uniti cioè ha avuto successo una convivenza che ha
profondamente trasformato la stessa natura dell’Islam. E non è un caso se il
dialogo con i musulmani avviene molto di più negli Usa che non in Europa.
Quindi in America abbiamo avuto una religione che è andata incontro a una
notevole apertura, con persone che pur restando musulmane non discreditano
affatto chi ha convinzioni diverse dalle loro.
Quindi la capacità di integrarsi
non dipende dalla religione, ma dal modo in cui la si vive?
Sì, ne sono profondamente
convinto. Le religioni sono sistemi apparentemente chiusi su un piano
teologico, nel senso che un principio teologico è di fatto dato una volta per
tutte. Ma le possibilità applicative, le evoluzioni e le trasformazioni sono
assolutamente molto più frequenti di quanto non si creda. Un conto è il “dogma
teologico”, un altro le sue applicazioni e i suoi sviluppi sociali.
Ma di fatto come si può superare
una norma religiosa che impone una chiusura agli altri?
Nel pensiero islamico sono
presenti degli elementi di riconoscimento dell’altro, ma in questo momento non
sono fatti valere. Ciò su cui si insiste, al contrario, è l’istanza di
separazione e di condanna. Il problema che mi preoccupa di più è il fatto che
ad andarci di mezzo siano persone concrete, ragazzi e soprattutto ragazze. Dopo
essere state portate in Italia come dei “pacchi”, giungono qui e trovano un
mondo diverso, trovandosi a vivere un dramma infinito.
E’ vero che gli immigrati sono
gli strati di solito meno colti dei popoli da cui provengono?
Su questo starei attento, perché
noi in realtà conosciamo molto spesso l’universo musulmano attraverso fatti di
cronaca come quello di Venezia. Finiamo quindi per leggerlo attraverso dei
fenomeni di scontri o di devianze perché sono quelli che fanno più rumore.
Mentre non sappiamo nulla degli immigrati che si integrano, perché non fanno
notizia e quindi nei loro confronti ci vorrebbe uno strumento di analisi
completamente diverso. Quello che noi finiamo per conoscere è l’Islam peggiore,
e così leggiamo dai giornali dell’immigrato che vuole accoltellare la figlia, e
non sappiamo nulla dei 1.500 che cercano dei percorsi di convivenza e
ricomposizione. E’ un mondo che esiste ma non emerge, in parte perché queste
persone non vogliono apparire e in parte perché noi viviamo di ciò che ci
arriva dai mezzi di comunicazione di massa.
(Pietro Vernizzi)
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