LA CONOSCENZA COME RADICE DELL’ETICA, di Carlo Bellieni* , Newsletter
di Scienza & Vita n°52 del 21 Dicembre 2011, http://www.scienzaevita.org
Oggi più che mai, la bioetica
deve essere fondata sulla ragione, cioè
sull’esperienza. L’etica insomma è esclusivamente
legata al conoscere, cioè al
riconoscere. Questo ci porta ad inevitabili conseguenze
1-
La bioetica nasce dal riconoscere la realtà La ragione è approcciare la realtà cercando di
non censurare nulla, abbracciandola
secondo la totalità dei suoi fattori. Ma
contemporaneamente non dimenticando
nulla di noi: la nostra storia e i nostri desideri. Confrontare storia e desideri con la
totalità dei fattori di ciò che incontriamo significa conoscerlo, dunque farne esperienza. L’uso
della ragione nella conoscenza implica
due cose: che non ne censuriamo nulla a
priori (ragionevolezza), e che addirittura
siamo disposti a cambiare qualsiasi opinione
che ci siamo pre-formata, se la realtà del fatto che affrontiamo lo impone (realismo). E,
terza premessa, che la realtà ci
interessi davvero: senza interesse ogni
giudizio etico è formale e superficiale, dunque artefatto.
2-
Certi giudizi etici dipendono dalle nostre fobie
Le reazioni affettive ad un evento avverso hanno anch’esse bisogno della mediazione della
ragione per organizzarsi e sbocciare.
Non sono immediatamente sviluppate
dall’evento che le produce. Perdendo la capacità
di ragionare, subentra un meccanismo che potremmo definire sottocorticale, cioè
stereotipato, che talora sfocia in
patologia, in pensiero catastrofico, che
così tanto imbibisce la nostra società. L’ipotesi che io sollevo, è che alla base di
tanti fenomeni etici “nuovi”, come
suicidio assistito, liberalizzazione
della droga, aborto facile, ci sia una tendenza
negativa personale, che diventa una patologia
sociale: una paura del reale e una negazione
del reale di alcune persone, che contagia la visione del reale della popolazione, la rende pessimista e nichilista, tanto da preferire la
morte all’affronto della realtà.
3-
La bioetica non deve seguire “principi”, ma “la realtà” Il primo passo per una nuova bioetica è
superare la bioetica dei principi o
quella delle conseguenze, che cercano di
dettare delle norme accettabili da tutti, ma che in realtà giustifica tutto in base al
fatto che la persona lo decide
autonomamente (principialismo) o che il
fine giustifica i mezzi (consequenzialismo).
Si deve tornare ad una bioetica
basata sulla ragione (non censurare
nessun fattore del fatto reale), sul realismo
(accettare di cambiare idea se la realtà lo impone) e sull’empatia (l’amore o almeno
l’interesse verso il soggetto che si ha
davanti). Senza queste tre dimensioni, il giudizio etico
è un giudizio burocratico, fatto per
nascondere le nostre fobie e patologie
mentali. La persona etica non è chi
segue le norme, ma chi riconosce nella
realtà un disegno buono (una legge naturale)
e cerca di seguirlo. E occorre ironia.
Perché senza ironia prendiamo troppo sul
serio noi stessi, mentre dobbiamo prendere
sul serio la realtà (e il mistero divino di cui la realtà è segno), non la nostra capacità o
forza tecnica.
*
Neonatologo, UO Terapia Intensiva Neonatale, Policlinico
Universitario “Le Scotte” di Siena; Consigliere nazionale Associazione Scienza
& Vita
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