giovedì 22 dicembre 2011


Se la scuola dimentica il Natale di Giovanni Fighera, 22-12-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Dicono in tanti che è importante imparare a dire dei «no» ai nostri figli. Un genitore, padre o madre che sia, deve imparare a porre delle regole e a essere categorico su quanto non è giusto che il figlio faccia. Devo confessare che questa impostazione mi soddisfa solo parzialmente. Com’è bello poter dire dei «sì» a richieste poste dai figli! È più bello poter dire che c’è una strada bella da percorrere piuttosto che raccomandare le strade da evitare! Del resto per giungere alla cima della montagna non basta sapere che esistono i precipizi, è necessario anche conoscere il sentiero giusto che ci permetta poi di inerpicarsi verso la meta.

Ci riempie di gioia dire dei «sì» proprio perché ribadiscono che nella vita si spalancano delle strade belle e percorribili. In questi mesi mi è capitato in alcune circostanze di poter rispondere affermativamente, senza esitazione e con grande felicità, alle domande di mia figlia che mi chiedeva se potesse partecipare ad iniziative proposte dalla scuola. La prima volta è stata quando mi ha chiesto se potesse frequentare il corso di pianoforte. La seconda volta, invece, tornando a casa tutta entusiasta mi ha chiesto: «Papà, ma noi andiamo alla festa della scuola, vero?». Anche in questo caso sono stato davvero contento e le ho risposto: «Senz’altro».

Scuola e famiglia sono i due luoghi centrali nella vita di un bimbo e di un ragazzo, che vi trascorrono la maggior parte del tempo, vi creano amicizie, scoprono i propri talenti e le proprie passioni, vi individuano modelli di riferimento per la propria crescita. La festa celebrata in una scuola è l’occasione per un incontro delle due realtà fondamentali per il ragazzo. In questa circostanza un figlio può mettere in compartecipazione i luoghi e le persone che frequenta per grande parte della giornata, una parte della sua vita diventa anche la mia e io, adulto, posso guardare la realtà anche con i suoi occhi. Questa è una grande ricchezza del diventare padre o madre, riconquistare e riguadagnare la realtà con gli occhi nuovi e stupiti del bambino. Non sono occhi infantili, ma sono occhi che si incantano di fronte al ballo sardo che ha animato il pomeriggio della festa, di fronte alla pesca di beneficienza o di fronte alle bancarelle dell’usato o per la sfilata delle mitiche Harley Davidson o ancora nell’attesa che sia pronto il torrone preparato per ore da uomini che con fatica hanno girato l’impasto. Scopro di fronte a quest’esperienza la potenza del linguaggio. Non avevo mai capito sul serio che cosa significasse «menare il torrone». Solo dopo le quattro estenuanti e monotone ore di lavoro di uomini che ricoprivano i panni dei pasticceri ho capito l’efficacia dell’espressione. Assaggiato il torrone, apprezzatane la bontà, mi sono anche detto che, però, forse spesso convenga «menare il torrone», se quelli sono i risultati.

Stare con i nostri figli e con i loro compagni di classe e le rispettive famiglie non è solo un modo per conoscerli meglio, ma è anche una grande occasione che ci è concessa di riappropriarci del nostro passato, di riviverlo e, forse, nella memoria e nel giudizio diventarne più consapevoli. Proprio per questo è importante che le scuole celebrino la festività del Natale mettendo al centro il cuore della festa, la nascita di Nostro Signore Gesù, invitando le famiglie (genitori e figli) a condividere questa ragione di speranza.

Mi rammarico nel constatare che la maggior parte delle scuole, per ideologia o per finta tolleranza, abbia dimenticato e nascosto completamente l’evento della nascita di Gesù, come se non fosse un motivo di gioia, ma al contrario una ragione di vergogna e di ostilità, oppure come se non fosse un evento di una portata culturale universale. Gesù unisce, porta la vera pace e l’amore in Terra, non nascondiamoci dietro le nostre menzogne. Non dobbiamo aver paura di spalancare le porte a Gesù, come ci ha sempre ricordato Papa Giovanni Paolo II.

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