Maternità & aborto: chi tutela le adolescenti? - Quando una minorenne rimane incinta spesso
resta sola in balìa della decisione di genitori e fidanzato E i giudici tutelari hanno armi
troppo spuntate per difenderle dalle pressioni, di Valentina Fizzotti,
Avvenire, 15 dicembre 2011
A Trento i genitori di Sara hanno
chiesto a un giudice di costringere la loro figlia ad abortire nel nome della «ragionevolezza»,
quella ragionevolezza secondo la quale una sedicenne non può avere un bambino, frutto
dell’amore avventato con un giovane albanese. L’epilogo «ragionevole» della
storia, con il giudice che ha rimesso la decisione alla ragazza e Sara che ha ceduto
al volere della famiglia, ha improvvisamente ricordato ai sostenitori del
«diritto all’aborto» che anche nel moderno Occidente spesso le donne non scelgono
liberamente di abortire, ma si abbandonano inermi al giudizio di chi – genitori,
fidanzato, operatori del consultorio – stabilisce per loro che l’interruzione
di gravidanza è la cosa giusta. E nonostante il matematico-tuttologo
Piergiorgio Odifreddi abbia rispolverato la provocazione, datata 1981, secondo
la quale i tribunali dovrebbero addirittura «impedire la procreazione», questa storia
ha dimostrato quanto sia risicato lo spazio dei magistrati per tutelare la
vita.
In fatto di aborto il Tribunale
dei minori non ha alcuna competenza. Il suo ruolo è limitato a verificare, se
interpellato, che la ragazza incinta non stia subendo maltrattamenti e di
conseguenza a decidere se togliere ai genitori la patria potestà. A poter essere
interpellato invece, nel caso in cui i genitori e la ragazza non siano
d’accordo, è il giudice tutelare. La
legge però lo costringe «a una strettoia», come spiega Giuseppe Anzani, ex
giudice tutelare del Tribunale di Milano. Anzani fu fra i firmatari di una
richiesta (bocciata) alla Corte Costituzionale in materia di obiezione di
coscienza per i giudici. La Corte chiarì che al giudice non spetta proteggere
la minore, né sostenerla, né offrirle soluzioni diverse dall’aborto. Il suo
compito è unicamente stabilire se la minorenne sa quello che sta facendo, al
pari di un adulto. «Di fatto però significa pollice verso o dritto – dice
Anzani – un fatto che interpella le nostre coscienze». Per questo, alla fine
chi non è disposto a trovarsi con le mani legate preferisce rinunciare
all’incarico e le posizioni proaborto rischiano di essere predominanti fra i giudici
tutelari.
Nella maggior parte dei casi il
giudice tutelare, dichiarandola in grado di decidere per sé, asseconda la
volontà della ragazza. Spesso quindi, al
di là delle proprie convinzioni personali, dà il via libera a un aborto senza
poter indagare (né tantomeno influire) sui condizionamenti che hanno portato
alla decisione di interrompere la gravidanza. Perché anche se in Italia sono
relativamente poche le minorenni che abortiscono, aumentano quelle che si
rivolgono ai Centri di aiuto alla vita per sfuggire alle pressioni di chi
chiede loro di rinunciare al bambino, come denuncia il presidente del Movimento
per la vita, Carlo Casini. Alle spalle famiglie sfasciate da un divorzio o dall’indigenza,
ma anche benestanti e legate all’onore sociale, in una evidente emergenza
educativa nella quale non si riesce più a insegnare il valore dell’amore, e neppure
quello dell’accoglienza.
Nel 2008 a Pordenone una quindicenne
si rivolse al giudice per riuscire a difendere davanti ai genitori il suo
diritto a non abortire – «credo in Dio e non potrei sopportare il dolore di un
altro allontanamento», disse: aveva già dato in adozione un altro bambino. In
alcuni – rari – casi, invece, il giudice ha preso le parti dei genitori, come accadde
nel 2007 a Torino, dove una tredicenne fu obbligata per sentenza ad abortire e
poi tentò di togliersi la vita. Eppure secondo la legge 194 del 1978 nessuno
può obbligare una donna ad abortire, neppure i suoi genitori. Sempre a Torino
l’anno scorso una sedicenne, con l’aiuto di una professoressa e dei volontari
del Centro di aiuto alla vita, è scappata in pigiama dall’ospedale Sant’Anna
dove la famiglia l’aveva trascinata per farle abortire il figlio concepito con
il fidanzato sudamericano. Dopo un rocambolesco intervento della polizia, la
fuga e l’accoglienza nel Cav, quel bambino è nato ed è stato amato anche dai nonni
che avevano tanto osteggiato la sua nascita.
Alla fine quello che serve alle
donne, di tutte le età – racconta Paola Bonzi, fondatrice del Cav della Clinica
Mangiagalli di Milano – è soprattutto qualcuno che le ascolti e le sostenga». E
quel qualcuno può essere anche un giudice tutelare. Come è successo a una
ragazza milanese, che qualche anno fa, accompagnata dalla madre, si rivolse al
tribunale perché voleva abortire ma il padre era contrario. Prima di
pronunciare il suo verdetto il magistrato scelse di parlare con la famiglia al completo.
E adesso il bambino che era in quella pancia va alle elementari.
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