ABORTO/ Se la Spagna riconosce che il bambino non è proprietà della
madre - INT. Alberto Gambino, giovedì 29 dicembre 2011, http://www.ilsussidiario.net
Il governo spagnolo di Mariano
Rajoy introdurrà limiti più restrittivi alla legge sull’aborto voluta dal suo
predecessore José Luis Rodriguez Zapatero. Al centro della riforma, annunciata
dalla vicepremier Soraya de Santamaria, ci sarà il passaggio che attualmente
consente alle ragazze spagnole tra i 16 e i 18 anni di abortire senza che ne
siano informati i genitori. L’ex governo socialista aveva deciso che qualsiasi
minorenne potesse abortire senza nessun limite nelle prime 14 settimane dal
concepimento.
Mentre tra la 14esima e la
22esima settimana, la sola clausola prevista da Zapatero era che la donna
indicasse le motivazioni della scelta. Tra le opzioni che consentivano di
interrompere la gravidanza c’erano lo stupro, il rischio per la salute della madre,
la malformazione ma anche il rischio psicologico. Un’opzione, quest’ultima,
estremamente vaga e che in un anno è stata indicata dal 95% delle donne che
hanno abortito.
Ora il Partito Popolare intende
invece fare sì che tutte le minorenni che decidono di interrompere la
gravidanza debbano prima ottenere l’autorizzazione del padre o del tutore.
Ilsussidiario.net ha intervistato Alberto Gambino, professore di Diritto
all’Università Europea di Roma, per chiedergli un giudizio sul dibattito in
corso in Spagna.
Professor Gambino, ritiene che le
modifiche annunciate dal governo spagnolo vadano nella giusta direzione?
Questa modifica restringe le
situazioni nelle quali si può abortire, e già questo è un fatto positivo perché
la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza ha un forte impatto
culturale sugli ordinamenti in cui viene a operare. E’ una legge che contrasta
con il diritto alla vita e tanto più indica dei limiti, tanto più favorisce e
promuove quest’ultimo diritto.
Nel caso specifico, chiedendo
anche il consenso dei genitori della minorenne che intende abortire, indica che
il nascituro ha dei diritti che vanno al di là della semplice volontà del
soggetto che vuole interrompere la gravidanza. Per essere sacrificato il
diritto del feto ha la necessità di essere messo a confronto con più posizioni
soggettive, tra cui quella dei genitori della donna minorenne che vuole
abortire. Questo ovviamente non esaurisce i problemi che fa emergere qualsiasi
legislazione sull’aborto, ma tuttavia nel restringerne l’applicazione offre una
valutazione apprezzabile.
Il tema dell’interruzione
volontaria della gravidanza è molto complesso e non si esaurisce certo in
singoli interventi legislativi, ma ha bisogno di un confronto alto che dovrebbe
avere sempre come stella polare colui che in questa situazione è comunque il
soggetto più indifeso perché privo di voce, cioè il feto.
La legge di Zapatero prevedeva
che le minorenni potessero interrompere la gravidanza senza autorizzazione dei
genitori entro un limite di alcune settimane. Abortire una settimana prima o
dopo cambia la sostanza delle cose?
Il tema delle settimane entro le
quali si può abortire è evidentemente legato da un lato all’idea, forse anche
un po’ ipocrita, che l’embrione non sia così sviluppato da poter vivere
autonomamente.
Dall’altro lato sono in gioco
anche esigenze psicologiche come il cercare nei limiti del possibile di
preservare la mente della donna che vuole interrompere la gravidanza. Tanto più
infatti la gravidanza è a uno stadio avanzato, tanto più questa scelta si
rivela drammatica.
A livello biologico o logico però
questo limite non ha alcun senso, perché è evidente che per una vita che ormai
ha attivato progressivamente la sua venuta all’esistenza e quindi la sua
crescita, non c’è nessuna differenza né di ore né di settimane. E’ sempre lo
stesso essere che una volta concepito ha iniziato a vivere nel mondo.
Quindi che differenza c’è tra
abortire prima o dopo 14 settimane o 90 giorni?
Il feto è una vita
particolarissima, strettamente collegata anche rispetto al suo esito al corpo
della donna che lo accoglie. E’ questo punto che sotto il profilo normativo non
ha ancora trovato delle soluzioni coerenti dal punto di vista della vita del
nascituro, che comunque sia dipende sempre da quel corpo che lo accoglie.
Questo fa sì che le legislazioni
non sempre possano fare a meno di prendere in considerazione anche qual è la
valutazione della donna. E’ il motivo per cui si cerca di mantenere entro poche
settimane il criterio entro il quale si può abortire. Perché se viceversa si
superano quelle settimane, quella vita potrebbe forse anche vivere
autonomamente dall’utero nel quale si trova.
Per quali motivi una donna che
non desidera tenere un figlio, non può decidere di partorirlo e quindi
affidarlo in adozione?
I limiti che si oppongono a
questa scelta sono di natura culturale, perché sono legati a una visione del
nascituro come cosa propria, e non invece come soggetto autonomo e persona.
Purtroppo quando lo si considera come una proprietà, non si vede invece che
quel bene giuridico ha una sua autonomia in quanto a diritti.
Se lo considerasse in questi
termini, anche dal punto di vista culturale, si comprenderebbe che bisogna in
tutti i modi preservarne l’esistenza. Se poi lo si ritiene che non si debba continuare
ad accompagnarlo anche una volta nato, è perfettamente legittimo “abbandonarlo”
ai fini giuridici aprendo una procedura di affidamento prima e adozione poi
coinvolgendo altri genitori che lo volessero.
Quindi certamente è un problema
culturale, che richiede anche un approfondimento alto, importante. Sempre
salvaguardando il fatto che, dopo la nascita di un figlio affidato a un’altra
coppia, da un punto di vista civilistico la donna non avrebbe nessun vincolo
con il neonato. Per evitare di essere frainteso, volevo però fare una
puntualizzazione.
Prego…
Le mie considerazioni non
vogliono né rilanciare indebitamente il tema della revisione della legge
sull’interruzione di gravidanza in Italia, né apparire come un’accettazione nei
confronti di una legge che resta moralmente inaccettabile.
(Pietro Vernizzi)
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