IL CASO/ La follia di Pasolini e le profezie di Del Noce sul nuovo
"fascismo" – di Massimo Borghesi, martedì 20 dicembre 2011, http://www.ilsussidiario.net
L’intervista, inedita, a Pier
Paolo Pasolini, registrata il 30 ottobre 1975 a Stoccolma, che, anticipata
venerdì da Repubblica, esce nel nuovo numero de L’Espresso, non aggiunge,
certo, nulla di nuovo alla conoscenza dell’“ultimo” Pasolini, quello delle
Lettere luterane e dei Scritti corsari. E, tuttavia, sia pure come conferma,
rappresenta un documento prezioso dell’ultima fase dell’autore. Ne emerge lo
straordinario diagnostico della “rivoluzione antropologica” in Italia, il
teorico della scomparsa delle “lucciole”, del tramonto del mondo contadino,
religioso, e delle forze popolari, cattoliche e comuniste, a favore di un mondo
positivistico e tecnocratico, segnato dal primato dell’utile e dalla logica
totalizzante dei consumi.
Come esito della rivoluzione
industriale in Italia, afferma Pasolini nella sua intervista, “il Vaticano non
ha più alle spalle questa enorme massa di contadini cattolici. Le chiese sono
vuote, i seminari sono vuoti, se lei viene a Roma non vede più file di
seminaristi che camminano per la città... E anche i marxisti sono stati
cambiati antropologicamente dalla rivoluzione consumistica perché vivono in
altro modo, in un’altra qualità di vita, in altri modelli culturali e sono
stati cambiati anche sociologicamente”. Un cambiamento che mantiene le
differenze economiche, tra borghesi ed operai, ma toglie quelle culturali. Che
svuota di significato la destra neofascista – nessuno crede più a
patria-famiglia-esercito – al pari della sinistra. Il risultato è il nuovo
potere consumistico che Pasolini considera “un fascismo peggiore di quello
classico, perché il clerico-fascismo in realtà non ha trasformato gli italiani,
non è entrato dentro di loro. È stato totalitario ma non totalizzante”.
L’intervista pasoliniana, come si
è detto, non aggiunge elementi nuovi a ciò che già conoscevamo. Nondimeno la
sua analisi, che coglie perfettamente il mondo che viene, sorprende ancora per
la sua solitudine: “Tutto quello che ho detto, l’ho detto a titolo personale.
Se voi parlerete con altri italiani vi diranno: Quel pazzo di Pasolini”. Si
tratta, in realtà, di una lucida follia che trova in Italia il suo precedente
in un altro grande diagnostico: Augusto Del Noce. Il grande filosofo torinese
già nel 1963, nel suo saggio Appunti sull’irreligione occidentale confluito poi
ne Il problema dell’ateismo (1964), coglieva l’avvento della società
tecnocratica con accenti decisamente pasoliniani.
In esso, sotto le suggestioni
dell’amico Franco Rodano, Del Noce metteva a fuoco le caratteristiche della
“società opulenta”. Questa, scriveva, “è una società che accetta tutte le
negazioni del marxismo nei riguardi del pensiero contemplativo, della religione
e della metafisica: che accetta quindi la riduzione marxista delle idee a
strumento di produzione; ma che d’altra parte rifiuta del marxismo gli spetti
rivoluzionari-messianici, quindi quel che di religioso rimane dell’idea
rivoluzionaria. Sotto questo riguardo rappresenta veramente lo spirito borghese
allo stato puro; lo spirito borghese che ha trionfato dei suoi due tradizionali
avversari, la religione trascendente e lo spirito rivoluzionario. Si potrebbe
arrivare a dire, e documentarlo coi testi del Manifesto: per una singolare
eterogenesi dei fini il marxismo ha condotto lo spirito borghese a manifestarsi
allo stato puro, ma una volta che ha raggiunto questo, si trova impotente a
combatterlo. La società tecnologica segna l’abdicazione del marxismo nei
confronti degli inventori dell’organizzazione razionale della società
industriale, Saint-Simon e Comte”.
La tesi, assolutamente inedita
nel delineare l’attuazione della società tecnocratica mediante la
decomposizione del marxismo, doveva portare Del Noce all’incontro ideale con
Pasolini. Così, nel 1975, riconosce che nessuno come Pasolini “ha inteso il
carattere della contestazione e dei suoi strascichi: ‘Rivoluzione del sì’ a una
nuova classe di ‘potere reale’, asservente il potere dei politici che nemmeno
si sono accorti della sua realtà, emersa dopo il ’60. Nel senso che l’opera
distruttiva che essa continua a compiere è rivolta a togliere gli ostacoli
all’instaurazione di questa nuova élite, la più priva di ideali, e per ciò
stesso la più oppressiva, di quante ci siano mai state nella storia. Nel
riguardo di tale opera, la distinzione tra i giovani ‘neri’ e i giovani ‘rossi’
è del tutto secondaria, com’egli ha ben visto. Ma c’è di più. Ha anche inteso
come questo ‘nuovo totalitarismo’ che si avanza rassomigli, più che al
comunismo o al nazismo, a un fascismo diventato totalitario, o violentemente
totalizzato sotto la maschera della permissività, come egli preferisce dire”.
Del Noce riconosceva, quindi, in
Pasolini un diagnostico impagabile della nuova realtà che si andava delineando
in Italia. Il suo limite era nel sociologismo, nel ridurre l’opposizione di cui
parla a quella tra civiltà contadina e civiltà industriale in modo tale che la
sua critica della società industriale appare come il sintomo di una nostalgia,
la nostalgia del tempo delle lucciole, dei valori di un mondo arcaico travolto
dalla rivoluzione industriale. Donde il suo decadentismo. “Pasolini – scrive
Del Noce – mi appare dunque un ‘ribelle incompiuto’. Ha avuto il coraggio di
opporsi a quell’orribile dittatura culturale che piuttosto che marxistica
(perché certamente non è tale) o neoilluministica chiamerei neolibertina, nel
senso che, benché si dia la figura dell’avanguardia, non fa che ripercorrere
all’indietro il processo dall’illuminismo al pensiero libertino, cancellando i
momenti nuovi e positivi che pur caratterizzano l’illuminismo. Ma perché non ha
veramente criticato le ragioni per cui questo fenomeno ha potuto prodursi, è
rimasto ancora, per usare un’espressione consueta, un ribelle entro il sistema.
Con la conseguenza che le verità che afferma possono sembrare o dei voluti
paradossi, o espressioni di un riemergere di un fondo di religione friulana,
destinata a scomparire nei nuovi tempi”.
Per poter valorizzare tali verità
occorreva separale dal decadentismo pasoliniano. In tal modo, come scriveva Del
Noce nel 1985, diviene possibile riconoscere che “c’è un positivo a cui
Pasolini giunge attraverso il marxismo, un positivo che deve però essere
separato dal suo laicismo. Ed è infine interessante notare come egli incontri
il pensiero cattolico a partire dal marxismo, come faccia rientrare la critica
marxista nella critica cattolica alla società borghese”. Pasolini, non
cattolico e di formazione laica, ritrovava, attraverso il marxismo, un suo
cattolicesimo. A fronte del deserto antropologico rimaneva, nonostante tutto,
la Chiesa a valorizzare quei valori popolari che il marxismo, sedotto dalla
società tecnologica, non era più in grado di promuovere.
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