UN SENSO DIVERSO DELLA GIUSTIZIA FONDATO SULLA DIGNITÁ DELL’ALTRO di Luciano Eusebi*, http://www.scienzaevita.org/ Newsletter di Scienza & Vita n°52, del 21 Dicembre 2011
«Nessuno
deve sentirsi solo e abbandonato nella
società-comunione, né nei momenti di gioia, né nei momenti del dolore, della malattia e della morte»: così il Cardinale Bagnasco
nell’intervento al Convegno
dell’Associazione Scienza & Vita sul tema «Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia», tenutosi a Roma il 18 novembre
2011. In effetti, la premura per il
rispetto e la cura della vita si
riassume essenzialmente in quelle parole: parole le quali – sollecitando a
riappropriarci di un concetto
solidaristico dei rapporti umani – pongono una questione cruciale circa i contenuti sostanziali
e il futuro della democrazia. Il fatto è
che abbiamo coltivato, nella nostra
cultura, una visione curiosa del rapporto
con l’altro. Quella secondo cui sarebbe giusto
agire verso gli altri secondo reciprocità: faccio del bene a coloro dai quali ritengo di
ricavare un’utilità, ma ove ravviso
nell’«altro» qualcosa che potrebbe
risultare negativo per me, egli merita il mio agire negativo verso di lui. Se, tuttavia,
il rapporto con l’altro si fonda sul
giudizio, si troverà sempre qualcosa in
lui che appare negativo, perché non
risponde a quel modello dell’affermazione di se stessi
contro gli altri che rappresenta il lato oscuro della nostra personalità e della nostra cultura. Una volta stabilito che un’altra realtà
esistenziale rappresenta qualcosa di
negativo, è in fondo normale, secondo un
simile concetto di giustizia, che si
agisca per escluderla dal proprio orizzonte, o addirittura per eliminarla. Non avvertendo che
in questo modo si finisce per
distruggere le stesse occasioni che la
vita ci offre per realizzare quanto di più
elevato c’è in noi, che è la capacità di amare. Ovvero, con terminologia più laica, la
capacità di esprimere accoglienza, e non
esclusione; di affrontare le difficoltà,
e non di rimuoverle. Si tratta di
coltivare un senso diverso della giustizia, in conformità con l’art. 3 della Costituzione:
non quello fondato sull’agire in modo
corrispondente al giudizio, positivo o
negativo, che si è dato dell’altro, bensì
quello fondato sull’agire secondo la dignità di ogni
altro che incontriamo sul nostro cammino: in altre parole, secondo progetti di bene
dinnanzi al male, sia esso incolpevole o
colpevole. Solo questo rivoluziona, nei
rapporti interpersonali e globali, la catena
delle contrapposizioni e delle ritorsioni cui ci condanna la giustizia della bilancia. E solo
questo ci libera dal senso di
soccombenza di fronte al male e, in
radice, di fronte alla morte. La
tentazione è quella di dare copertura
giuridica a una formalizzazione asettica
dei rapporti umani, che finisce per non rispondere
affatto alla salvaguardia dei soggetti deboli e che, non di rado, potrebbe
concretizzarsi in una sollecitazione
implicita a utilizzare presunti diritti,
come quello di morire, che liberano la società dal peso della
cura. «E se dietro al rispetto di ogni volontà – si chiede il Cardinale Bagnasco – ci
fosse il desiderio di non prendersi in carico la fragilità, poiché il prendersi cura richiede intelligenza
e cuore, tempo e sacrificio, risorse
umane ed economiche?». Una logica
di rottamazione dei soggetti deboli (per
malattia, fase dello vita o condizione
sociale, rappresenterebbe il crepuscolo
della democrazia. È, invece, la
prospettiva di una relazionalità accogliente verso l’altro – non fondata su un giudizio
circa la sua condizione esistenziale, ma
derivante dal suo darsi semplicemente
come un «tu», vale a
dire come un essere
umano vivente – che sola può rispondere alla dignità di chi è debole e realizzare la
dignità di chi lo accosta. Solo una
società che mantiene la disponibilità a
piegarsi anche sui membri più deboli che,
pur sempre ne sono parte, può essere una società davvero umana e può guardare con
fiducia al futuro.
* Ordinario di Diritto Penale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; Consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita
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