IL CASO/ 1. L'aborto di Sara, un delitto con l'aiuto dello Stato (e di
Repubblica) di Monica Mondo, lunedì 12 dicembre 2011, http://www.ilsussidiario.net
Abbiamo letto tutti la storia di
Sara, chiamiamola così anche noi, una ragazza di buona famiglia che vive vicino
a Trento, dove sognava di andare in cerca di un lavoro, per rendersi
indipendente, per coronare una storia d’amore che voleva portare avanti contro
tutto e tutti. Già, per la famiglia è stato un colpo. Lui è albanese, e non è
proprio quel che si dice un bravo ragazzo. Precedenti penali, chissà come
campa, pare alzi spesso e volentieri le mani. Va bene la libertà e l’amore che
è cieco, ma Romeo era un’altra storia, avranno lecitamente pensato i genitori.
Solo che Sara ha 16 anni. Tanto peggio, dice il buon senso, lasciare una
ragazzina a fare fuitina con un tale stinco di santo? Solo che Sara è incinta.
E qui il buon senso comune prende
due strade diverse e opposte. Da una parte, il senso di un padre e una madre,
ovvero, quel figlio ti legherà a quel tipo per sempre, tu sei una sventatella,
togliamoci il problema, interrompi la gravidanza; dall’altra chi pensa che si
tratta di una vita, e dunque anche se la storia è difficile, dolorosa, la vita
va salvata, sempre, e vedi mai che quella sciocchina metta la testa a posto, si
affezioni al suo bimbo e metta in riga pure il neo papà. Tra una ragione e
l’altra c’è Sara, che di abortire non ne voleva sapere: ama il suo ragazzo,
forse proprio perché è sbandato, perché è un uomo, anche se ogni tanto la
prende a sberle; voleva tenersi il bambino, e fare famiglia con lui.
La storia, raccontata per sommi
capi, ci dice però altro: che la ragazzina non è nuova alle gravidanze, e manco
agli aborti. Le hanno già fatto prendere la Ru486, per un figlio avuto da
chissà quale padre. Ovvio che i genitori non ce la facciano più, e sconfortati
dal rilievo zero dato alle loro ragioni, si siano rivolti al giudice, che
imponesse alla figlia di liberarsi dall’ingombro di quell’embrione che porta in
pancia. Chissà il giudice, pover’uomo. In genere bisogna convincere padri e
madri, costernati dalla gravidanza precoce delle loro figliole, a non opporsi,
a lasciarle abortire in pace; perchè quel minimo di natura umana che alberga in
noi ci spinge a volerlo tenere in braccio, un nipotino, a prendersene cura, a
farlo crescere. Qui la situazione si capovolge: e giustamente se l’aborto è un
diritto, dice la legge, non può essere un dovere, non può nascere da filiale
obbedienza.
Ogni parola e ogni fatto in
questa storia è mal posto, mal interpretato. Perché l’aborto non è un diritto,
ma una tragica scelta, per un’idea di libertà sbagliata, che sottomette al
capriccio l’esistenza di una persona; perché la ragione e il torto si mescolano,
e fino a confondere le idee, e far credere sbagliato quel che è giusto. Ovvero,
nessuno può chiedere di far morire qualcuno, sottomettendosi alla legge. Ma
tant’è, siamo così assuefatti a voler decidere della vita e della morte, dei
bambini, dei nostri vecchi, che non ci si fa tanto caso. Dunque resta la
testardaggine di questa ragazzina sbandata, la sua caparbietà incomprensibile e
inquietante: lui è giovane, non ha lavoro, non ha famiglia, finirà male, ti
picchia, probabilmente ti lascerà col tuo bambino, non ti vuol certo bene.
Oppure no, cambierà, troverà in te tutto l’affetto e la voglia di amare che non
ha mai avuto, e tu con lui.
Perchè parliamoci chiaro: che
genitori hai avuto e hai, Sara? Separati, anzitutto. E quanto sei stata sola
per andare in giro a darti al primo che passa, per vedere usato il tuo corpo,
da chi ci ha fatto del sesso e da chi ti ha messo al mondo, e dover subire il
dolore, l’umiliazione di una pillola? Chi lo sa quanto hai sanguinato tu
dentro, e non solo per l’aborto chimico? Non hai un’amica, Sara, un maestro,
una persona che ti vuol bene? E’ giusto ribellarsi, è giusto dire sì alla
natura, che ti metteva in cuore quel desiderio di essere madre, per avere
qualcuno da stringerti al seno, da cui ricevere del bene.
La storia finisce come doveva
finire: vincono i grandi, vince il senso dei più, quello più comodo. Il giudice
non ha fatto a tempo a prendere il caso in mano, ad affidare Sara, sempre
troppo tardi, a una famiglia generosa, con un papà e una mamma che
l’accompagnassero, la aiutassero a crescere, lei e il suo bambino. I genitori
biologici (perché si è padre e madre quando si educa e si ama), l’hanno
convinta, dicono, e hanno risolto la cosa in famiglia. Non sappiamo se con
un’altra pillola o con un intervento, un’anestesia totale che evitasse a Sara
di vedersi perdere il bambino nel sangue. Si sono tolti un bel problema: dopo
il temporaneo accordo che li ha riuniti pe far abortire la figlia, possono
riprendere ad odiarsi in pace, a vivere infelici e contenti. “Nessuna imposizione,
vittoria della ragionevolezza”, hanno detto. Come no.
Quanto è abusato questo termine,
ragione. Pensare che si erge a suo strenuo difensore uno che tiene cattedra e
scrive libri, che pontifica dalle platee televisive, un matematico, tal
Piergiorgio Odifreddi. Ha titolo per infilarsi in una storia così drammatica,
così delicata? Repubblica questo titolo glielo dà. Repubblica, questa agorà di
sobri dibattiti, questo faro di intelligenti nell’oscurantismo becero del paese
berlusconizzato. E così leggiamo che “chi nasce ha il diritto al benessere,
all’autorealizzazione”. Un diciottenne albanese non può garantirla. Magari
fosse stato iscritto alla Bocconi, chissà. “In mancanza di adeguate prospettive
i tribunali dovrebbero intervenire per impedire la procreazione… Uno Stato
degno di questo nome dovrebbe vigilare perché essa sia responsabile, o imporre
la cessazione della gravidanza”.
Chiaro, semplice. Dunque: nella
pianificazione necessaria dello Stato facciamo fuori i bambini che nascerebbero
poveri: quelli che potrebbero nascere “diversi”, ammalati, o che potrebbero
diventarlo, c’è l’analisi del dna a garanzia; quelli brutti, quelli maschi e/o
femmine, a seconda di quanto serva, in Corea e in Cina ci riescono benissimo
(gay, zingari? Per ora no, non sta bene, sono categorie protette. Ma si sa
mai…) Si chiama eugenetica. La praticavano i geniali aguzzini di Hitler, tanti
anni fa. Erano dei geni, qualcuno anche scienziato. La ragione la usavano
benissimo.
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