ADOZIONI/ Una coppia con un figlio disabile può accogliere un altro
bambino? - INT. Alberto Gambino, giovedì 10 maggio 2012, http://www.ilsussidiario.net/
E' lecito che una coppia che ha
un figlio disabile ne adotti un altro? Fornire una risposta definitiva non è
possibile, né tantomeno analizzare la questione senza prendere in
considerazione fattori di natura extragiudici. Sta di fatto che la Corte d’Appello
di Milano ha ribaltato una sentenza del Tribunale dei Minori che aveva negato
ad una coppia con un bambino affetto da disabilità la possibilità di accedere
alle procedure di adozione internazionali. Il primo tribunale aveva ritenuto
che Elena e Patrick, varesotti sposati dal 2004, non avrebbero mai potuto
prendersi cura in maniera adeguata di un nuovo bambino. Infatti, ne hanno già
uno, di sei anni, affetto da una grave forma di epilessia, la sindrome di
Dravet. Ma secondo i giudici di Milano, i due sono in grado di «affrontare le rilevanti difficoltà connesse
all’adozione internazionale, perché consapevoli della complessità dell’essere
genitori, preparati alla diversità e in grado di assumersi il disagio e la
sofferenza di cui il minore da adottare è spesso portavoce». Tornando alla
domanda iniziale: chi ha ragione?
IlSussidiario.net lo ha chiesto
ad Alberto Gambino, professore di Diritto privato e di Diritto civile
nell’Università Europea di Roma. Che, per chiarire i nodi del dibattito, ne
precisa anzitutto il quadro normativo: «la legge italiana sull’adozione ha a
cuore la tutela e la protezione dell’infanzia di quei bambini che, per un
motivo o per l’altro, si trovano in uno stato di abbandono morale e materiale.
Nei loro confronti è necessario un procedimento severo volto, anzitutto, a
dimostrare che non ci siano più legami con la loro famiglia di origine, ove
esistente. In tal caso, sono tecnicamente adottabili». Gli aspiranti genitori,
poi, dovranno dimostrare di essere le persone giuste per accoglierlo.
«Giuridicamente, si definisce idoneità. La coppia sposata dovrà saper fornire
all’adottato condizioni sociali, economiche e culturali in grado di garantirgli
un’esistenza pienamente dignitosa». La verifica di questo è tutt’altro che
semplice: «la coppia deve essere sottoposta ad un processo di idoneità
estremamente rigoroso, che si sviluppa attraverso incontri con psicologi e con
i sevizi sociali».
In questo processo entrano in
gioco anche valutazioni sulle condizioni esistenziali. «Non è indifferente l’avere
o meno dei figli, né il loro numero, né loro età. Si evita, ad esempio, che
l’età del bambino adottato sia superiore a quella dei figli naturali, onde
evitare il crearsi di situazioni poco armoniche. Immaginiamo, infatti, una
coppia che ha due figli di 5 e 7 anni e ne adotta uno di 11 che si ritrova,
improvvisamente, primogenito».
Non solo: «Si ritiene che una
coppia con tanti figli sia già assorbita e concentrata su questi al punto da
non essere in grado di dedicare le dovute attenzioni al nuovo membro della
famiglia». E' in questo contesto che si inserisce la questione del figlio
affetto da disabilità. «Se il bambino richiede una particolare assistenza in
termini strumentali, di accompagnamento o sanitari, è ipotizzabile che manchi
il tempo per occuparsi di un altro figlio».
O, forse, no. «L’adozione è un
atto volontario ove allo Stato spetta il compito di ricreare le condizioni
ottimali di accoglimento; tuttavia, non è possibile affermare in astratto se
sia o meno consigliabile che una coppia con un figlio che richiede cure
particolari possa adottare un secondo figlio. Avere un bambino disabile
potrebbe, addirittura, in certi casi, rappresentare un beneficio per il figlio
adottato che si troverebbe a crescere e formarsi in condizioni di positiva apertura
mentale. Del resto, spesso, le famiglie con disabilità a carico sono famiglie
splendide, particolarmente preparate nell’educazione dei figli che, a loro
volta, partecipano alla cura del disabile». A questo punto, la legge si tace,
ed entra in gioco il potere decisionale del giudice. «Le sezioni che si
occupano di questi casi sono composte, in genere, da giudici di grande
esperienza che si avvalgono della consulenza di psicologi, assistenti sociali e
psichiatri. Ebbene: il giudice deciderà in maniera coerente con le valutazioni
tecniche e le perizie degli esperti, valutando, quindi, in maniera diversa,
caso per caso».
(Paolo Nessi)
© Riproduzione riservata.
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