“Che fine avrei fatto?” di Claudio Arrigoni, 5 maggio 2012, http://invisibili.corriere.it
Le parole sono arrivate quasi
inaspettate, alla conclusione di un servizio tv alla scorsa Domenica In sulla
sua storia: “Meno male che sono nata nel ’72, altrimenti chissà che fine avrei
fatto per l’amniocentesi…”. Cristina è una suora laica dell’Ordo Virginium,
passa periodi in missione in Africa. E’ nata con sindrome di Down.
Si può ignorare questa frase. Si
può banalizzarla. Ma anche si può, e si dovrebbe, riflettere. Cercando di non
farsi influenzare da ideologie, politica e religioni. O anche da meri dati
statistici.
Le parole di Cristina
Acquistapace mi hanno colpito, in particolare perché giunte da chi vive una
condizione di oggettiva debolezza in ambito sociale. E fatto pensare.
Riflessioni e domande che vorrei condividere.
Arrivano poche settimane dopo la
prima Giornata Mondiale sulla Sindrome di Down voluta dall’Onu e la diffusione
anche in Italia di una notizia data mesi fa dal quotidiano danese Berlingske ,
secondo la quale in Danimarca, seguendo l’attuale andamento di riduzione
percentuale di nati con sindrome di Down, nel 2030 questa sindrome sarà
scomparsa. Chiaramente non perché si sia arrivati a correggere l’anomalia
cromosomica, ma solo perché, conosciuta la presenza di Trisomia 21 attraverso
la diagnosi prenatale, le gravidanze vengono interrotte. Cosa che avviene anche
riguardo a patologie o disabilità più o meno gravi.
L’aspettativa e la speranza
quando si aspetta un figlio è quella che sia sano e che possa avere una vita il
più felice possibile. Non si tratta, e non è questo l’ambito, di mettere in
discussione leggi e diritti acquisiti, la possibilità di aborto e ancora meno
quella della diagnosi prenatale. Viene da chiedersi quale debba essere l’uso e
il fine. La diagnosi prima della nascita può aiutare a correggere eventuali
anomalie, a preparare la famiglia ad accogliere un figlio con problemi fisici o
intellettivi, a mettere la donna nella condizione di poter scegliere se
continuare la gravidanza di fronte a un grave pericolo per la sua salute fisica
o psichica. La diminuzione costante di nascite di persone con sindrome di Down
e di altre alterazioni cromosomiche o patologie di diversi tipi può far pensare
a una deriva eugenetica? Una selezione delle persone certamente non imposta in
maniera autoritaria, ma che alla fine ci si accorge avvenga? Ritorna una
domanda che nasce da lontano: quale vita è indegna di essere vissuta?
Una riflessione sulla disabilità
e su una società che prepari ad accogliere non smette di essere attuale,
partendo in questo caso dalle parole di una donna con sindrome di Down che si
pone domande sulla sua condizione: che fine avrei fatto?
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