50 ANNI DI MEDICINA ALL'UNIVERSITA' CATTOLICA - Il Papa: «La scienza abbia
il senso del limite», 3 maggio 2012, http://www.avvenire.it
"Scienza e fede hanno una
reciprocità feconda, quasi una complementare esigenza dell'intelligenza del
reale". Ma, "paradossalmente, proprio la cultura positivista,
escludendo la domanda su Dio dal dibattito scientifico, determina il declino
del pensiero e l'indebolimento della capacità di intelligenza del reale".
Lo ha affermato Benedetto XVI durante la visita alla sede romana
dell'Università Cattolica, nel 50/o anniversario dell'istituzione della Facoltà
di Medicina e Chirurgia.
"Il Cristianesimo non relega
la fede nell'ambito dell'irrazionale", ha detto il Papa, aggiungendo poi
che "è proprio percorrendo il sentiero della fede che l'uomo è messo in grado
di scorgere nelle stesse realtà di sofferenza e di morte, che attraversano la
sua esistenza, una possibilità autentica di bene e di vita".
Secondo papa Ratzinger,
"vissuta nella sua integralità, la ricerca è illuminata da scienza e fede,
e da queste due ali trae impulso e slancio, senza mai perdere la giusta umiltà,
il senso del proprio limite". In tal modo, ha aggiunto, "la ricerca
di Dio diventa feconda per l'intelligenza, fermento di cultura, promotrice di
vero umanesimo, ricerca che non si arresta alla superficie".
Benedetto XVI ha quindi invitato
a lasciarsi "sempre guidare dalla sapienza che viene dall'alto, da un
sapere illuminato dalla fede, ricordando che la sapienza esige la passione e la
fatica della ricerca".
Ad accogliere il Pontefice, accompagnato
dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano e presidente dell'Istituto
Toniolo, sono il presidente della Camera Gianfranco Fini, i ministri dei Beni
culturali Lorenzo Ornaghi, della Salute Renato Balduzzi e per i Rapporti con il
Parlamento Piero Giarda, nonché dalla presidente della Regione Lazio Renata
Polverini, dal sindaco di Roma Gianni Alemanno e dal presidente della Provincia
Nicola Zingaretti.
Il discorso del Papa
VISITA AL POLICLINICO «GEMELLI» - «La ricerca scientifica mantenga il
senso del limite»
Signori Cardinali, venerati
Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Onorevole Signor Presidente della
Camera e Signori Ministri, illustre Pro-Rettore, distinte Autorità, Docenti,
Medici,
distinto Personale sanitario e
universitario,
cari studenti e cari pazienti!
Con particolare gioia vi incontro
oggi per celebrare i 50 anni di fondazione della Facoltà di Medicina e
Chirurgia del Policlinico “Agostino Gemelli”. Ringrazio il Presidente
dell’Istituto Toniolo, Cardinale Angelo Scola e il Pro-Rettore, Prof. Franco
Anelli, per le cortesi parole che mi hanno rivolto. Saluto il Signor Presidente
della Camera, Onorevole Gianfranco Fini, i Signori Ministri, Onorevoli Lorenzo
Ornaghi e Renato Balduzzi, le numerose Autorità, come pure i Docenti, i Medici,
il Personale e gli Studenti del Policlinico e dell’Università Cattolica. Un
pensiero speciale a voi, cari pazienti.
In questa circostanza vorrei
offrire qualche riflessione. Il nostro è un tempo in cui le scienze
sperimentali hanno trasformato la visione del mondo e la stessa auto
comprensione dell’uomo. Le molteplici scoperte, le tecnologie innovative che si
susseguono a ritmo incalzante, sono ragione di motivato orgoglio, ma spesso non
sono prive di inquietanti risvolti. Sullo sfondo, infatti, del diffuso
ottimismo del sapere scientifico si protende l’ombra di una crisi del pensiero.
Ricco di mezzi, ma non altrettanto di fini, l’uomo del nostro tempo vive spesso
condizionato da riduzionismo e relativismo, che conducono a smarrire il
significato delle cose; quasi abbagliato dall’efficacia tecnica, dimentica
l’orizzonte fondamentale della domanda di senso, relegando così all’irrilevanza
la dimensione trascendente. Su questo sfondo, il pensiero diventa debole e
acquista terreno anche un impoverimento etico, che annebbia i riferimenti
normativi di valore. Quella che è stata la feconda radice europea di cultura e
di progresso sembra dimenticata. In essa, la ricerca dell’assoluto - il
quaerere Deum - comprendeva l’esigenza di approfondire le scienze profane,
l’intero mondo del sapere (cfr Discorso al Collège des Bernardins di Parigi, 12
settembre 2008). La ricerca scientifica e la domanda di senso, infatti, pur
nella specifica fisionomia epistemologica e metodologica, zampillano da
un’unica sorgente, quel Logos che presiede all’opera della creazione e guida
l’intelligenza della storia. Una mentalità fondamentalmente tecnopratica genera
un rischioso squilibrio tra ciò che è possibile tecnicamente e ciò che è
moralmente buono, con imprevedibili conseguenze.
E’ importante allora che la
cultura riscopra il vigore del significato e il dinamismo della trascendenza,
in una parola, apra con decisione l’orizzonte del quaerere Deum. Viene in mente
la celebre frase agostiniana «Ci hai creati per te [Signore], e il nostro cuore
è inquieto finché non riposa in te» (Le Confessioni, I, 1). Si può dire che lo
stesso impulso alla ricerca scientifica scaturisce dalla nostalgia di Dio che
abita il cuore umano: in fondo, l'uomo di scienza tende, anche inconsciamente,
a raggiungere quella verità che può dare senso alla vita. Ma per quanto sia
appassionata e tenace la ricerca umana, essa non è capace con le proprie forze
di approdo sicuro, perché «l’uomo non è in grado di chiarire completamente la
strana penombra che grava sulla questione delle realtà eterne... Dio deve
prendere l’iniziativa di venire incontro e di rivolgerSi all’uomo» (J.
Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Roma
2005, 124). Per restituire alla ragione la sua nativa, integrale dimensione
bisogna allora riscoprire il luogo sorgivo che la ricerca scientifica condivide
con la ricerca di fede, fides quaerens intellectum, secondo l’intuizione
anselmiana. Scienza e fede hanno una reciprocità feconda, quasi una
complementare esigenza dell’intelligenza del reale. Ma, paradossalmente,
proprio la cultura positivista, escludendo la domanda su Dio dal dibattito scientifico,
determina il declino del pensiero e l’indebolimento della capacità di
intelligenza del reale. Ma il quaerere Deum dell’uomo si perderebbe in un
groviglio di strade se non gli venisse incontro una via di illuminazione e di
sicuro orientamento, che è quella di Dio stesso che si fa vicino all’uomo con
immenso amore: “In Gesù Cristo Dio non solo parla all’uomo, ma lo cerca.... E’
una ricerca che nasce nell’intimo di Dio e ha il suo punto culminante
nell’incarnazione del Verbo” (Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Adveniente,
7).
Religione del Logos, il
Cristianesimo non relega la fede nell’ambito dell’irrazionale, ma attribuisce
l’origine e il senso della realtà alla Ragione creatrice, che nel Dio
crocifisso si è manifestata come amore e che invita a percorrere la strada del
quaerere Deum: «Io sono la via, la verità, la vita». Commenta qui san Tommaso
d’Aquino: “Il punto di arrivo di questa via infatti è il fine del desiderio
umano. Ora l’uomo desidera due cose principalmente: in primo luogo quella conoscenza
della verità che è propria della sua natura. In secondo luogo la permanenza
nell’essere, proprietà questa comune a tutte le cose. In Cristo si trova l’una
e l’altra... Se dunque cerchi per dove passare, accogli Cristo perché egli è la
via» (Esposizioni su Giovanni, cap. 14, lectio 2). Il Vangelo della vita
illumina allora il cammino arduo dell’uomo, e davanti alla tentazione
dell’autonomia assoluta, ricorda che «la vita dell’uomo proviene da Dio, è suo
dono, sua immagine e impronta, partecipazione del suo soffio vitale» (Giovanni
Paolo II, Evangelium vitae, 39). Ed è proprio percorrendo il sentiero della
fede che l’uomo è messo in grado di scorgere nelle stesse realtà di sofferenza
e di morte, che attraversano la sua esistenza, una possibilità autentica di
bene e di vita. Nella Croce di Cristo riconosce l’Albero della vita,
rivelazione dell’amore appassionato di Dio per l'uomo. La cura di coloro che
soffrono è allora incontro quotidiano con il volto di Cristo, e la dedizione
dell’intelligenza e del cuore si fa segno della misericordia di Dio e della sua
vittoria sulla morte.
Vissuta nella sua integralità, la
ricerca è illuminata da scienza e fede, e da queste due «ali» trae impulso e
slancio, senza mai perdere la giusta umiltà, il senso del proprio limite. In
tal modo la ricerca di Dio diventa feconda per l’intelligenza, fermento di
cultura, promotrice di vero umanesimo, ricerca che non si arresta alla
superficie. Cari amici, lasciatevi sempre guidare dalla sapienza che viene
dall’alto, da un sapere illuminato dalla fede, ricordando che la sapienza esige
la passione e la fatica della ricerca.
Si inserisce qui il compito
insostituibile dell’Università Cattolica, luogo in cui la relazione educativa è
posta a servizio della persona nella costruzione di una qualificata competenza
scientifica, radicata in un patrimonio di saperi che il volgere delle
generazioni ha distillato in sapienza di vita; luogo in cui la relazione di
cura non è mestiere, ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima
cattedra e il volto dell’uomo sofferente il Volto stesso di Cristo: «l’avete
fatto a me» (Mt 25, 40). L’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel lavoro
quotidiano di ricerca, di insegnamento e di studio, vive in questa traditio che
esprime il proprio potenziale di innovazione: nessun progresso, tantomeno sul
piano culturale, si nutre di mera ripetizione, ma esige un sempre nuovo inizio.
Richiede inoltre quella disponibilità al confronto e al dialogo che apre
l’intelligenza e testimonia la ricca fecondità del patrimonio della fede. Si dà
forma così a una solida struttura di personalità, dove l’identità cristiana
penetra il vissuto quotidiano e si esprime dall’interno di una professionalità
eccellente.
L’Università Cattolica, che ha
con la sede di Pietro un particolare rapporto, è chiamata oggi ad essere
istituzione esemplare che non restringe l’apprendimento alla funzionalità di un
esito economico, ma allarga il respiro su progettualità in cui il dono
dell’intelligenza investiga e sviluppa i doni del mondo creato, superando una
visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza, perché «l'essere
umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di
trascendenza» (Caritas in veritate, 34). Proprio questa coniugazione di ricerca
scientifica e servizio incondizionato alla vita delinea la fisionomia cattolica
della Facoltà di Medicina e Chirurgia «Agostino Gemelli», perché la prospettiva
della fede è interiore – non sovrapposta, né giustapposta - alla ricerca acuta
e tenace del sapere.
Una Facoltà cattolica di Medicina
è luogo dove l’umanesimo trascendente non è slogan retorico, ma regola vissuta
della dedizione quotidiana. Sognando una Facoltà di Medicina e Chirurgia
autenticamente cattolica, Padre Gemelli - e con lui tanti altri, come il Prof.
Brasca -, riportava al centro dell’attenzione la persona umana nella sua
fragilità e nella sua grandezza, nelle sempre nuove risorse di una ricerca
appassionata e nella non minore consapevolezza del limite e del mistero della
vita. Per questo avete voluto istituire un nuovo Centro di Ateneo per la vita,
che sostenga altre realtà già esistenti quali, ad esempio, l’Istituto
Scientifico Internazionale Paolo VI. Incoraggio, quindi, l’attenzione alla vita
in tutte le sue fasi.
Vorrei rivolgermi ora, in
particolare, a tutti i pazienti presenti qui al «Gemelli», assicurare loro la
mia preghiera e il mio affetto e dire loro che qui saranno sempre seguiti con
amore, perché nel loro volto si riflette quello del Cristo sofferente.
E’ proprio l’amore di Dio, che
risplende in Cristo, a rendere acuto e penetrante lo sguardo della ricerca e a
cogliere ciò che nessuna indagine è in grado di cogliere. L’aveva ben presente
il beato Giuseppe Toniolo, che affermava come è della natura dell’uomo leggere
negli altri l’immagine di Dio amore e nel creato la sua impronta. Senza amore,
anche la scienza perde la sua nobiltà. Solo l’amore garantisce l’umanità della
ricerca. Grazie per l'attenzione.
Benedetto XVI
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