Convivere prima del matrimonio aumenta il rischio di divorzio di Anna
Paola Borrelli, teologa moralista e perfezionata in bioetica, 8 maggio, 2012, http://www.uccronline.it
Un articolo apparso di recente
sul New York Times ha portato alla ribalta un tema piuttosto delicato e
diffuso: la convivenza! “Ho trascorso
più tempo ad organizzare il mio matrimonio che non ad essere felicemente sposata”:
comincia così il racconto di Jennifer (il nome è inventato), una donna di 32
anni alla sua psicologa clinica Meg Jay dell’Università della Virginia, autrice
dell’articolo sul quotidiano americano. La donna (che aveva già alle spalle il
fallimento del matrimonio dei suoi genitori) confida alla psicologa di aver
convissuto per più di 4 anni, prima di sposare quello che sarebbe diventato il
futuro marito e di aver iniziato dopo la terapia anche la ricerca di un
avvocato divorzista. Incredula si chiede: “Com’è potuto accadere?”
Nel 1960 negli Stati Uniti le
coppie conviventi erano 450.000, mentre oggi il loro numero è aumentato
vertiginosamente, fino ad arrivare a più di 7,5 milioni. Si calcola, inoltre,
che più della metà dei matrimoni siano preceduti da convivenza. Oltre ai motivi
più disparati che vengono enumerati, quali: la rivoluzione sessuale, la
pianificazione delle nascite, i vantaggi di ordine economico, riguardanti la suddivisione di spese e bollette,
un’ulteriore motivazione additata dai 2/3 dei giovani americani punta sulla
convivenza come una forma di “prevenzione” del divorzio. Ciò emerge dai dati di
un sondaggio nazionale del 2001, a cura del National Marriage Project.
Attualmente, però, gli studi dei
ricercatori vanno nel senso propriamente opposto e l’esperienza degli sposi va
a falsificare le convinzioni dei ragazzi americani. Dalle pagine
dell’autorevole quotidiano statunitense si evince che “le coppie che convivono
prima del matrimonio (e soprattutto prima di un fidanzamento o di un impegno
chiaro), tendono ad essere meno soddisfatte del loro matrimonio e hanno più
probabilità di divorziare rispetto alle coppie che non lo fanno”. I ricercatori
precisano che non sono le caratteristiche individuali come l’istruzione, la
religione o le idee politiche a compromettere la convivenza (“effetto
negativo”), ma alcuni dei rischi sono insiti nella convivenza stessa.
Il Pontificio Consiglio per la
Famiglia, nel suo Documento “Famiglia, matrimonio e ‘unioni di fatto’” , mette
a confronto matrimonio e convivenza, chiarendo che: «la comunità familiare
nasce dal patto d’alleanza dei coniugi. Il matrimonio che sorge da questo patto
d’amore coniugale non è una creazione del potere pubblico, bensì un’istituzione
naturale e originaria che lo precede. Nelle unioni di fatto, al contrario, si mette
in comune l’affetto reciproco, ma allo stesso tempo manca quel vincolo
coniugale di natura pubblica e originaria che fonda la famiglia. Famiglia e
vita formano un’unità che deve essere protetta dalla società, in quanto si
tratta del nucleo vivente della successione (procreazione ed educazione) delle
generazioni umane» (n. 9).
Quando la psicologa domanda a
Jennifer: ”Come siete arrivati alla convivenza?” lei risponde: “Ci siamo
scivolati dentro, è successo. Stavamo un po’ da lui un po’ da me, ci piaceva stare
insieme ed era più conveniente dividere le spese”. I ricercatori definiscono
questo modus operandi come uno “scorrere, uno scivolare dentro”, anziché
“decidere”. Nel Documento si legge ancora: «Le unioni di fatto non comportano
diritti e doveri matrimoniali, né pretendono una stabilità basata sul vincolo
matrimoniale. Si distinguono per la ferma rivendicazione di non implicare alcun
vincolo. L’instabilità costante, dovuta alla possibilità di interrompere la
vita in comune è, di conseguenza, caratteristica delle unioni di fatto» (n.4).
Invece, «con il matrimonio si assumono pubblicamente, mediante il patto d’amore
coniugale, tutte le responsabilità che derivano dal vincolo così stabilito. Da
questa assunzione pubblica di responsabilità risulta un bene non solo per i
coniugi e i figli nella loro crescita affettiva e formativa, bensì anche per
gli altri membri della famiglia. La famiglia fondata sul matrimonio è così un
bene fondamentale e prezioso per l’intera società, le cui fondamenta riposano
solidamente sui valori che si concretizzano nei rapporti familiari e che trova
la propria garanzia nel matrimonio stabile». (Pontificio Consiglio per la
Famiglia, “Famiglia, matrimonio e ‘unioni di fatto’“, 2).
Pertanto la convivenza diventa,
talvolta, la via di fuga dinanzi a scelte più convenienti (la suddivisione
delle spese) oppure include il rimando o la mancata assunzione di vincoli e
responsabilità. In un’epoca in cui dilagano edonismo e relativismo, il “per
sempre” come categoria temporale incute sempre più timore e viene demonizzato,
sostituito dal più semplice “forse” o dallo “stare insieme, finchè dura”.
Decidere di scommettere tutta la propria vita sull’altro, di impegnarsi
seriamente nel presente e nel futuro dell’eternità dell’amore mira a costruire orizzonti
stabili al comune progetto di vita a due, a ricoprirlo di valenza
giuridico-sociale e ad arricchire l’amore di significato e pienezza di senso.
Nessun commento:
Posta un commento