Il mistero della coscienza: non è nel cervello e non arriva
dall’evoluzione - Dopo secoli dl
trionfalismo scientifico, la parola “mistero” torna a fare capolino - 13
maggio, 2012, http://www.uccronline.it/
«La maggior parte degli atei
sembrano essere certi che la coscienza dipende interamente (e sia riducibile
al) dal funzionamento del cervello. Nell’ultimo capitolo del mio libro,
sostengo brevemente che questa certezza è ingiustificata. La verità è che gli
scienziati non sanno ancora quale sia il rapporto tra coscienza e materia» (The
End of Faith, Norton & Company 2004). Questa frase appartiene
sorprendentemente al filosofo Sam Harris, conosciuto per essere uno dei leader
internazionali dell’ateismo scientifico (si, farà anche sorridere, ma c’è
ancora gente che ci crede).
Curiosi personaggi che fino a
ieri proclamavano l’infallibilità scientifica come dogma universale, mentre
oggi -dopo due secoli di ubriacatura illuminista- reintroducono la parola
“mistero” al culmine delle grandi questioni umane. Certo ancora ci sono in giro
soggetti superstiziosi, devoti alla “dea scienza”, come Paolo Flores D’Arcais,
come Danilo Mainardi che parla apertamente di «culto della ragione» alla
stregua dei rivoluzionari francesi, come Piergiorgio Odifreddi che parla della
scienza in chiave mistica (da “Il Vangelo secondo la Scienza”):
«concentrazione, meditazione, illuminazione. Essa può adeguatamente fornire le
basi per una religione completamente decostruita, punto di arrivo finale del
percorso di dissoluzione del teismo nell’ateismo». Anche nel mondo anglosassone
c’è ancora qualche esemplare di positivismo, la maggioranza di essi
diligentemente al seguito del gran sacerdote Richard Dawkins. Ad esempio il
chimico Peter Atkins, secondo cui «in futuro, la scienza sarà in grado di
stabilire che cosa si intende per coscienza [...] in altre parole tutto quel
genere di cose che classifichiamo come ‘spiritualità umana’. Credo anche che la
scienza, quasi inevitabilmente, riuscirà a costruire macchine in grado di
simulare la coscienza in modo così completo da non consentirci di distinguere
la loro coscienza dalla sua o dalla mia» (da “La scienza e i miracoli”, Tea
2006). Non è una citazione del 1800, ma di pochi anni fa.
Mettendo da parte questo genere
di odifreddure, interessante andare a leggere la recente opinione, ad esempio,
di Robert Lanza, responsabile scientifico presso l’Advanced Cell Technology e
docente presso la Wake Forest University School of Medicine, il quale scrive:
«nonostante i superconduttori che contengono una quantità sufficiente di filo
di niobium-titanium per fare il giro della terra sedici volte, non abbiamo una
maggiore comprensione del perché esistiamo rispetto ai primi pensatori della civiltà
[...] Quanto più scrutiamo lo spazio, tanto più ci rendiamo conto che il
segreto della vita e dell’esistenza non può essere trovato controllando le
galassie a spirale o visionando lontane supernovae . Si trova più in
profondità. Si tratta di noi stessi [...]. Siamo molto di più di quanto ci è
stato insegnato nelle ore di biologia a
scuola. Non siamo solo una collezione di atomi [...] c’è di più per noi che la
somma delle nostre funzioni biochimiche. La scienza non è riuscita a
riconoscere le proprietà della vita che lo rendono fondamentale per la nostra
esistenza». Ed infine: «La risposta alla vita e all’universo non può essere
trovata guardando attraverso un telescopio o esaminando i fringuelli delle
Galapagos. Si trova molto più in profondità. E’ per questo che esiste la nostra
coscienza».
La “coscienza” è il filo
conduttore di questo articolo, partendo da Harris e passando per Atkins. Tre
mesi fa anche il filosofo Colin McGinn, docente presso l’Università di Miami,
ha affrontato la tematica: «Più guardiamo il cervello, tanto meno sembra un
dispositivo per la creazione della coscienza. Forse i filosofi non saranno mai
in grado di risolvere il mistero». Ecco dunque, come si diceva, che la parola
“mistero” torna a fare capolino. Parlando della filosofia della mente, ha
delineato le 5 posizioni correnti sulla coscienza: eliminativista, cioè non esiste la coscienza,
è solo una nostra illusione, essa si riduce solo a stati cerebrali, posizione
sostenuta da Atkins (e da molti ateologi), come abbiamo visto, ma definita da
McGinn «assurda, una forma di pazzia». C’è poi la concezione dualista: la
realtà si divide in due sfere giganti: il cervello fisico da un lato, e la
mente cosciente dall’altro, ma risulta essere una posizione contraddittoria e
inefficace a spiegare i molti dubbi che emergono. La posizione idealista,
anch’essa assurda, afferma che non esiste nulla se non la mente, la materia è pura illusione tutto è
un’allucinazione del cervello. La concezione panpsichista tenta invece di
risolvere il “mistero” della coscienza affermando che essa è diffusa in tutto
il mondo pre-materiale, era già presente nel Big Bang ma -spiega il filosofo-
non offre alcuna prova a suo sostegno. Infine, rimane la posizione detta
“mysterian”, a cui McGinn appartiene, ovvero la concezione per cui la risposta
è al di là dell’apparato concettuale delle risorse umane. Più le neuroscienze
studiano il cervello, afferma, e più si capisce che esso non può aver prodotto
la coscienza. «Ultimamente», conclude,
«mi sono accorto che il mistero è abbastanza diffuso, anche nella più difficile
delle scienze».
Concludendo, se -come afferma il
dott. Lanza-, la coscienza non è un prodotto dell’evoluzione, se -come afferma
il filosofo McGinn- la coscienza non è un prodotto del cervello e non è un’illusione,
allora da dove essa arriva? Se non si vuole entrare in campo teologico, l’unica
risposta valida è introdurre la parola “mistero”. Lo ha spiegato in modo
poetico il premio Nobel per la fisica, Richard Feynman: «La stessa emozione, la
stessa meraviglia e lo stesso mistero, nascono continuamente ogni volta che
guardiamo a un problema in modo sufficientemente profondo. A una maggiore
conoscenza si accompagna un più insondabile e meraviglioso mistero, che spinge
a penetrare ancora di più in profondità» (“The Value of Science”, Basic Book
1958)
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