La Seconda Evoluzione "Quella biologica è finita, ci resta la
cultura" – di Angelo Acquaro, 8 maggio 2012, La Repubblica, http://www.dirittiglobali.it/
Ian Tattersall, paleontologo, ha
scritto un saggio che ha fatto discutere gli Usa "Certi processi si sono
arrestati, ora ci può migliorare solo la conoscenza""Siamo sempre più
guidati dalla tecnologia, che interferisce con la socialità È a questa
intermediazione che ci dovremo adattare""Il futuro dell´uomo dipende
dall´esplorazione del potenziale che già possediamo: nel nostro cervello"
New York - Ciao Darwin: l´evoluzione
è finita. La prima. Perché la seconda evoluzione, quella culturale, è appena
cominciata: o quasi. Qui al quarto piano del Museo di Storia Naturale, dove
Woody Allen corteggiò Diane Keaton in Manhattan e Ben Stiller si perse in Una
notte al museo, Ian Tattersall, il direttore del dipartimento di Paleontologia,
si aggira tra scheletri di ominidi e scapigliatissime cere di Homo Sapiens. E
alla vigilia di un convegno in cui a Venezia rilancerà l´eredità di Stephen Jay
Gould – il più geniale interprete contemporaneo dell´evoluzione – l´autore di
Masters of The Planet ci guida, come recita il sottotitolo del nuovo libro,
«alla ricerca delle nostre origini umane». Con più di uno sguardo al futuro.
Ma allora, professore,
l´evoluzione può ancora agire sull´uomo?
«Molto improbabile. Un conto sono
i limiti dell´immaginazione e della conoscenza: e qui si tratta di esplorare il
potenziale che possediamo già. Un conto è l´evoluzione biologica: e qui
dovremmo avere delle novità genetiche».
E perché non sarebbe più possibile?
«Perché si verifichi evoluzione
biologica occorrono due ingredienti: l´isolamento e una popolazione di
dimensioni ridotte perché la modifica genetica si assesti. Nel nostro caso non
abbiamo più né l´uno né l´altra. Ci ritroviamo con questa gigantesca
popolazione che ormai copre il mondo intero: troppo grande per muoversi
biologicamente verso nuove direzioni».
Prigionieri del nostro sviluppo.
«Ma se ragioniamo nei termini di
quello che possediamo già, beh, qui non ci sono limiti al cambiamento. O quantomeno
non li conosciamo».
Siamo di fronte a una
"seconda evoluzione"?
«È quello di cui parliamo quando
parliamo di evoluzione culturale. Che procede in maniera differente rispetto
all´evoluzione biologica. La cultura si può trasmettere lateralmente in una
stessa generazione: l´evoluzione biologica va di generazione in generazione».
E che tipo di evoluzione allora
prevede?
«Siamo sempre più guidati dalla
tecnologia. Però nessuno può dirci dove ci porterà. Siamo animali sociali e la
tecnologia interferisce con la nostra socialità. Ed è a questa intermediazione
tecnologica che saremo costretti ad adattarci. La maggior parte degli esseri
umani non può interagire in modo significativo in un network più grande di 150
persone: limite superato di gran lunga. La maggior parte della nostra attività
sociale, poi, è destinata a non svolgersi più faccia a faccia: ma proprio
attraverso la tecnologia».
Lei però ricorda che il cervello
ha sviluppato le funzioni più evolute su uno strato primitivo: "Non
importa quanto possiamo vantarci della nostra razionalità: non siamo esseri
interamente razionali". La seconda evoluzione, l´evoluzione culturale,
cambierà questo rapporto? La vecchia struttura irrazionale sopravviverà?
«Penso proprio di sì.
Biologicamente restiamo legati al nostro essere come siamo».
Lei chiarisce che l´uomo di
Neanderthal appartiene a una distinta specie di ominidi poi estinta. Però
ipotizza anche una coabitazione col Sapiens. Cosa potevano provare gli Antenati
verso il "cugino"? La stessa vicinanza/distanza che noi proviamo con
le scimmie?
«Il senso di vicinanza sarà stato
superiore. Anche se il Neanderthal non aveva la capacità di processare le
informazioni come noi. O il linguaggio come lo intendiamo noi. Ma il fatto che
il Sapiens percepisse di avere di fronte una creatura "aliena" non vuole
dire che non ci possa essere stata qualche forma di ibridazione: anzi gli studi
del Dna lo suggeriscono. Anche se insignificante: nulla che possa avere
influenzato la traiettoria dei due gruppi».
Neanderthal scompare, Sapiens
resta. Se è colpa nostra, è il primo genocidio della storia.
«Conoscendo come l´Homo Sapiens
interagisce anche con le altre popolazioni di Sapiens, oggi, l´impressione è
che qualche livello di conflitto ci sia stata. Dovunque l´Homo Sapiens si sia
spostato è sempre successo. Va verso l´Asia orientale, dove vive l´Homo
Herectus, e quello scompare. Lo stesso succede all´Homo Floresiensis. E prima
ancora in Africa: qualunque cosa ci fosse prima, scompare. Insomma il Sapiens è
riconoscibile come già interamente moderno non solo nella forma anatomica:
anche nei comportamenti».
C´è una ragione genetica?
«Ha più a che fare con il modo
con cui elaboriamo le informazioni. Il primo Sapiens anatomicamente uguale a
noi sembra comportarsi ancora come il Neanderthal. Solo dopo scopre il
potenziale cognitivo che presumibilmente possedeva già al momento della nuova
conformazione anatomica. È proprio una delle lezioni di Steve Gould. Il
concetto di "ex-aptation" oltre a quello di "ad-aptation":
qualcosa che nasce in un contesto prima di essere usato in un altro. Gli
uccelli, per esempio, si ritrovano le ali prima ancora che le utilizzino per
volare».
E le scimmie? Potrebbero mai
recuperare il gap? Gli esperimenti come nel film Nim, la scimmia che negli anni
70 finì sulla copertina di Newsweek, saranno sempre destinati al fallimento?
«Quel film è un ottimo ritratto
di una scienza molto naive. Le scimmie non sono capaci di gestire i simboli se
non in maniera additiva: non li reinterpretano come facciamo noi. Sì, possono
metterli in fila. Se tu dici a una scimmia: porta la palla rossa fuori, quella
prende la palla rossa e la porta fuori, istruita a riconoscere la palla rossa.
Ma il ragionamento additivo è limitato: metti in fila tot azioni e lo spazio
nel cervello è finito».
Proprio in questi giorni un altro
grande, O. E. Wilson, con The Social Conquest of Earth fa insorgere i seguaci
di Darwin: sostenendo che la selezione agisce attraverso i gruppi e non gli
individui.
«Non sono sicuro che si possa
parlare di selezione di gruppo all´interno delle stesse specie: ma non sono
neppure sicuro che la selezione naturale sia davvero l´agente determinante del
cambiamento. La selezione naturale elimina gli estremi piuttosto che spingere
verso differenti direzioni. Per questo credo che il caso abbia un posto molto
più importante di quello che gli riserviamo. Probabilmente è fuorviante parlare
persino di processo evolutivo: più accurato parlare di molti più processi che
danno poi origine a quello che noi leggiamo, in retrospettiva, come
evoluzione».
E guardando indietro a questa
evoluzione, il segreto della condizione umana allora qual è?
«Non esiste condizione umana. Per
ogni parola che la descriva si può trovare l´opposto. E tutte le cose
meravigliose della nostra specie sono bilanciate, dall´altro lato
dell´equazione, da qualcos´altro. La storia dell´uomo è una storia di
conseguenze non volute: compreso, oggi, il rischio di distruzione per 20
milioni di specie. Ecco perché dico che il futuro dipende dall´esplorazione del
potenziale che già possediamo: nel nostro cervello. No, non credo che
l´evoluzione ci verrà più in soccorso sul suo bel cavallo bianco, a salvarci
dalle nostre follie: non credo proprio».
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