Avvenire.it, 8 dicembre 2011, Valori non negoziabili e decisioni di
fine vita - L’eutanasia è solo disumana di Francesco D'Agostino
Il richiamo ai 'valori non
negoziabili', che ho fatto in un editoriale del 27 novembre, ha lasciato
perplesso Emanuele Macaluso. Dalle pagine del Riformista egli mi esorta a
«essere più chiaro»: «quali sono i valori non negoziabili che difendono la
comune umanità»? Bisogna passare dal generico al concreto, egli insiste. Ha
perfettamente ragione: passiamo al concreto e diamo alcuni esempi. A livello
individuale, sono non negoziabili tutti i valori sui quali si fondano i diritti
umani fondamentali, a partire dalla libertà religiosa e dalla libertà di
manifestazione del pensiero. A livello sociale e geopolitico, sono non
negoziabili i principi democratici, l’eguaglianza in dignità di tutti i popoli,
il principio della rinuncia alla guerra come strumento per la soluzione delle
controversie internazionali. Vogliamo continuare? Non è negoziabile
l’eguaglianza tra i sessi, il no alla pena di morte, la condanna di
qualsivoglia mutilazione femminile, la miglior tutela possibile per i disabili,
per gli anziani, per i minori, per i malati, la difesa delle lingue e della
memoria storica dei popoli, la promozione della cultura e della scienza. È
completo questo elenco? Naturalmente no. È immediatamente traducibile in norme
di diritto positivo? Naturalmente no; è un elenco di principi, che per essere
tradotto in norme richiede intelligenti mediazioni (e questo è un lavoro che
spetta ai politici). Ma alcuni di questi principi già ci consentono di
stabilire la loro non negoziabilità almeno 'in negativo': ad esempio, la pena di
morte va assolutamente esclusa; con cosa però sostituirla 'in positivo', se con
l’ergastolo o con lunghi anni di detenzione, è invece un tema aperto a
ulteriori discussioni.
Macaluso sceglie, per polemizzare
con i sostenitori dei principi 'non negoziabili', l’esempio del rifiuto delle
cure, attestato da un testamento biologico. A suo avviso, si tratterebbe di un
'diritto civile' che i cattolici (quelli 'non adulti'!) non vorrebbero
riconoscere per ragioni confessionali e il cui mancato riconoscimento essi
vorrebbero imporre anche ai laici, contrabbandandolo come un principio 'non
negoziabile'. Non è affatto così. Come in quasi tutte le questioni bioetiche,
anche in questo caso le ragioni confessionali sono irrilevanti o sono rilevanti
solo in modo marginale. Siamo tutti d’accordo (e anche questo è un principio
'non negoziabile'!) che un malato pienamente capace e pienamente informato
abbia il diritto assoluto (tranne i rari casi previsti dalla legge per la
tutela della salute pubblica) di sottrarsi a qualsiasi terapia anche salvavita.
Il problema riguarda i malati incapaci, che abbiano lasciato indicazioni
anticipate, ma generiche, potenzialmente redatte in stato di depressione o non
coerenti con le possibilità di miglior trattamento assistenziale e terapeutico
a loro favore.
Il disegno di legge sul fine vita
(che si spera vada al più presto all’approvazione definitiva in Senato) ha
fatto propria l’opinione non della Chiesa, ma della Convenzione di Oviedo, che
ritiene che i medici curanti abbiano sì il dovere di prendere in considerazione
i testamenti biologici, ma non il dovere inderogabile di applicarli, quando
ritengano in scienza e coscienza che essi non siano più attendibili o non
conformi alla situazione reale in cui versa il malato o esplicitamente eutanasici.
Arriviamo così al cuore della
questione, che non è quella dei testamenti biologici, ma quella dell’eutanasia
volontaria. È un diritto civile pretendere l’eutanasia? No.
Dirò di più: il rifiuto
dell’eutanasia è un principio non negoziabile. Per ragioni però non
confessionali, come pensa Macaluso, ma 'civili'. Legalizzare l’eutanasia non
significa, come credono ingenuamente i suoi fautori, riconoscere ai malati e ai
morenti un diritto civile ma, attraverso la strumentalizzazione di questo
apparente 'diritto', attribuire ai medici e al sistema sanitario l’immenso
potere di favorire il decesso dei cittadini più deboli, più soli o meno
produttivi. Si dirà: perché preoccuparci? L’eutanasia andrebbe legalizzata solo
su esplicita richiesta della persona stessa. L’esperienza ci pone di fronte
però a evidenze allarmanti: quando si favorisce l’eutanasia di pazienti
psichiatrici o di neonati malformati (come in Olanda), o quando si fa accedere
a pratiche eutanasiche un soggetto, come Lucio Magri, colpito da depressione
senile, anziché contrastare, con semplici terapie, questa patologia, è evidente
che col pretesto del rispetto dei diritti 'civili' della persona si apre la
porta alla logica 'incivile' dell’abbandono terapeutico. La prova di quanto sto
dicendo è che il no all’eutanasia non è un’invenzione cristiana, ma appare
esplicitamente già nel giuramento di Ippocrate, secoli e secoli prima di
Cristo, mentre il sì all’eutanasia sta penetrando nelle coscienze solo da
qualche decennio, contestualmente alla paura non confessata di molti di dover
fronteggiare la morte in assoluto abbandono.
«Uccidetemi, dato che non potete
starmi vicino!»: se questa è la ragione vera e profonda dell’opzione per
l’eutanasia, lasciamo cadere la rivendicazione dei 'diritti civili' e passiamo
tutti a impegnarci per non sottrarre definitivamente alla morte quella dignità
che le appartiene. Burocratizzare i decessi, regolandoli per legge, non è
indizio di laicismo, ma di disumanizzazione.
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