Minima coscienza, in fila per una nuova diagnosi - Al centro Don Orione
di Bergamo sono già 60 le persone in
stato vegetativo che dal maggio scorso si sono sottoposte alla sperimentazione Un
caschetto, collegato a un software, capta anche i più flebili segnali
neuronali, ricostruendo un «dialogo» elementare con il mondo esterno. Il caso
di Barbara Ferrari, quarantenne emiliana, da 13 ritenuta «vegetativa». Ma
capace di una prima risposta - di
Francesca Golfarelli, Avvenire, 1 dicembre 2011
Al Centro don Orione di Bergamo
si è coronato, sebbene parzialmente, il sogno di Giampaolo Ferrari, papà di
Barbara una quarantenne emiliana, di Galliera, che vive da 13 anni in stato di
minima coscienza. Infatti il signor Ferrari ha voluto portare qui sua figlia
per verificare la capacità di interagire di Barbara, grazie alla
sperimentazione di un nuovo software, chiamato «Elu1», che prova a ricostruire
un «dialogo» tra i pazienti dichiarati in stato vegetativo e i loro cari. A ricevere
i Ferrari, accompagnati da monsignor Fiorenzo Facchini, oltre al dottor
Giovanni Battista Guizzetti, responsabile del reparto che accoglie pazienti in
stato vegetativo, c’era l’ingegnere Daniele Salpietro, da mesi impegnato sui 24
casi stati vegetativi ricoverati al Centro don Orione di Bergamo, tutti sottoposti alla medesima sperimentazione che ha
effettuato Barbara. Il meccanismo di comunicazione è costituito da un caschetto
(acquistabile con 90 euro) applicato a un amplificatore dei segnali cerebrali
che può moltiplicare fino a un milione di volte gli impulsi neuronali, in modo
da poter captare anche i minimi "spifferi" di volontà. Il nostro
cervello quando pensa, cioè quando appunto mostra un’attività riconducibile
alla coscienza, emette un segnale elettrico con frequenze. I moderni sensori
sanno leggere l’attività elettrica cerebrale: in pratica "vedono" il
pensiero prima che si traduca in azione.
E mentre su richiesta di un comando
ordinario – ad esempio, "alza un braccio" – Barbara non ha eseguito
alcun movimento pratico, con il caschetto che misura la volontà, quando le è
stato chiesto di muovere gli occhi, ha dato un segno. Infatti sul monitor si muovevano
alcune linee colorate quando le veniva chiesto di muovere gli occhi e si
fermavano quando le veniva chiesto di tenere lo sguardo fisso su un punto. «Quindi
sente e risponde?», si chiede il papà. Fino a quanto è cosciente? Come per
altri, anche Barbara per il solo fatto di sentirsi capìta potrà uscire dallo
stato vegetativo ed essere classificata in quello di minima coscienza? Sono gli
interrogativi che si è portato a casa il signor Ferrari: le macchine forniscono
i segni, ai medici serve tempo e altri esami per dare una risposta fondata che
non suoni semplicemente consolatoria.
Ciò che abbiamo visto con Barbara
– commenta il tecnico Daniele Salpietro – è stato possibile grazie al fatto che
nel nostro cervello alcune attività variano anche con la sola immaginazione motoria e quindi si prestano
molto bene come segnali di controllo proprio in quei pazienti che non possono fisicamente
muoversi. Molti di loro non possono muoversi perché gli infortuni hanno colpito
i nervi, il midollo spinale o il cervello. Quanto fatto fino a oggi ci ha
mostrato che è possibile, in modo economico, vedere tracce di comportamento
volontario nel cervello di pazienti considerati – a torto – in stato vegetativo
proprio perché non riuscivano a produrre comportamenti volontari».
Da maggio a oggi sono circa 60 le
persone di età compresa fra i 25 e i 95 anni che hanno potuto sperimentare
«Elu1». Per molti di loro la valutazione di «stato vegetativo» era stata fatta
da più di due anni, in altri tramite D osservazione diretta, pochi almeno una
volta all’anno. Questo forse può in parte spiegare come mai ben più del 40% di
queste persone sono state in grado di segnalare che erano coscienti producendo volontariamente
attivazioni cerebrali su comando.
Con alcune di loro è difficile entrare
in contatto, si tratta per Clo più di persone «emotivamente» abbandonate e dunque
senza nessuno che possa portare avanti attivamente la tutoria iniziata al
centro con l’ausilio di un tecnico. «Il
progetto – spiega il dottor Guizzetti – è iniziato nel novembre 2010 e ancora
non esistono altri centri in Italia dove si mette a disposizione di familiari questi
strumenti». E così ci sono lunghe code per eseguire ogni fine settimana il
test, dato che i familiari delle persone in stato vegetativo hanno il grande desiderio
di trovare qualcuno disposto ad aiutarli a sostenere una condizione di fatica
così grande, nutrono sempre una speranza per i loro cari.
A decretare il successo i parenti
stessi che continuano ad arrivare e si animano con la testimonianza di chi si
accontenta anche solo di uno sguardo, di un sorriso, magari di un cucchiaino di
gelato ingerito». Al Don Orione
collaborano come volontari al progetto anche ragazzi che frequentano il liceo,
come Dionise e Marco, i quali imparano a usare il software per poi fare da «tutori»
per pazienti e parenti. «Il progetto – riprende Guizzetti – ha ottenuto nel
corso degli ultimi dodici mesi due importanti riconoscimenti: il primo da parte
della Camera di Commercio di Milano, il secondo dalla Regione Lombardia la
quale sta finanziando parte del progetto "Sostegno alla
comunicazione". Così la Asl lombarda ha finanziato il progetto» e, si
augura il medico, «speriamo di trovare le risorse per proseguire il prossimo
anno»
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