domenica 11 dicembre 2011


Un delfino è più umano di un disabile di Carlo Bellieni, http://carlobellieni.com/

Il «Financial Times» lo dice chiaramente: in tempo di crisi il mercato del cibo è in stagnazione, ma quello specifico del cibo per animali continua a crescere, con una previsione di un aumento del sei per cento annuo fino al 2016. Solo l’anno scorso negli Stati Uniti sono stati spesi quarantacinque miliardi di dollari per gli animali, di cui diciotto per il cibo, e nei supermercati lo spazio riservato a cibo e oggetti per animali supera quello per i bambini. «Il mercato di cibo per animali negli Usa è tre volte maggiore di quello per bambini e va meglio. Varie nazioni coccolano di più gli animali che i bambini, compreso il Giappone e la Gran Bretagna», scrive il «Financial Times». E la maggior ditta mondiale di alimenti, tradizionalmente rivolta in buona parte al settore infantile, lancia in Austria degli spot televisivi particolari: reclamizzano cibo per animali, e sono fatti in modo di essere avvertiti specificamente dall’udito dei cani, che reagendo a suoni e ultrasuoni influenzerebbero i proprietari nell’acquisto del cibo. Fiorisce anche il commercio di cibi biologici per cani e addirittura a gennaio è nato a Rio de Janeiro il primo bio-ristorante per cani. Ma non solo di cibo si parla: nascono antidepressivi e ansiolitici per cani e anche la moda dei vestiti per animali non va male.

È un dato paradossale, in tempo di crisi: calano tutti i consumi, ma non calano quelli per i cani, succedanei dei bambini nelle attenzioni della classe media occidentale. Un triste paradosso. Perché il rischio è che mettere le priorità animali sullo stesso piano di quelle uomini e donne, finisca col distrarre risorse economiche e soprattutto distrarre l’attenzione dalla povertà e dalle grandi malattie. E si arriva ad adeguarsi in modo inconscio a questo modo di vedere il rapporto con gli animali, o addirittura a teorizzarlo. Un adeguamento inconscio lo troviamo in una recente normativa dell’Unione europea, che invita a trattare gli animali nelle condizioni più “umanitarie”, espressione perlomeno paradossale,

dato che si parla di animali. La teorizzazione la fa una certa filosofia utilitarista, che pretende che si usi appellare alcuni animali (delfini e scimmie, ma non i cani e le giraffe) “persone non umane”, mentre a bambini e disabili mentali sarebbe da riservare il titolo e il trattamento di “umani non-persone”.Ma non sarà che si preferisce dare sempre più spazio agli animali perché la gente ha perso la voglia di riconoscere incondizionatamente il giusto rispetto da dare all’uomo? Se l’uomo è un animale tra gli altri, perché trattarlo con incondizionato rispetto, invece che con rispetto subordinato alla sua utilità?

Già, perché il metro dei rapporti è troppo spesso l’utilità. Anche il rispetto verso gli animali ne riguarda solo alcuni, quelli “più uguali degli altri”, parafrasando George Orwell: gli animali “non belli” o “non utili” o “non intelligenti” restano di serie B. Ad esempio, le norme dell’Unione europea di cui sopra dettano di limitare gli esperimenti

sulle “grandi scimmie”, lasciando meno restrizioni agli esperimenti su altri animali. Su che base, dato che la differenza genetica di un pollo o un topo dall’uomo è solo infinitesimamente diversa da quella dell’orango? Potremmo chiamare questo modo di comportarsi: animalismo estetico o utilitarista. Trascura le specie meno gradite, ed è parente del comportamento barbaro costituito dall’abbandono dei cani da appartamento, quando non sono più “utili”. Cosa diversa è l’animalismo vero, che rispetta l’animale in quanto tale, che non sopporta le cattive condizioni di certi allevamenti intensivi, o lo stress degli animali usati in certi spettacoli televisivi tra riflettori e altoparlanti, anche se non riguardano animali di serie A. In fondo non c’è da stupirci: tutta la società ha come parola d’ordine quella di accogliere solo chi è perfetto tra gli umani, figuriamoci tra gli animali. Non ci stupisce allora che l’industria investa più per i cani che ci fanno fare bella figura o ci fanno compagnia, che per i bambini, talora indesiderati, e comunque sempre fonte di imprevisti. L’industria segue le priorità della gente; e nei comportamenti dei popoli occidentali — basta guardarsi intorno — bambini e malati non sono certo “la” priorità.

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