GLI INTERROGATIVI DEL FINE VITA - Dibattito-incontro presso la sede
della Civiltà Cattolica di Luca Marcolivio
ZI11101608 - 16/10/2011
Permalink:
http://www.zenit.org/article-28328?l=italian
ROMA, domenica, 16 ottobre 2011
(ZENIT.org) – Mentre in parlamento l’iter per la legge su fine-vita è ancora
lontano dalla conclusione, prosegue il dibattito sul piano etico e scientifico.
Se ne è parlato ieri sera in un incontro presso la sede di Civiltà Cattolica,
dal titolo Gli interrogativi del fine vita, moderato da padre Antonio Spadaro
SJ, direttore della rivista dei gesuiti.
Come evidenziato nell’esperienza
di padre Francesco Occhetta SJ, scrittore di Civiltà Cattolica, il concetto di
dignità del malato negli ultimi tempi della sua vita, si presta spesso a
notevoli preconcetti, che la realtà dei fatti tende quasi sempre a smentire.
“Quand’ero missionario nel
deserto di Atacama, in Cile – ha raccontato padre Occhetta – il parroco mi
mandò a celebrare il funerale di un’anziana donna, morta dopo essere stata a
lungo malata terminale: non aveva parenti in vita e immaginammo alle esequie
avremmo trovato pochissime persone, forse
nessuna”.
“Con mia grande sorpresa – ha
proseguito padre Occhetta – mi ritrovai in una chiesa così piena di gente che
pensai di aver sbagliato parrocchia. Allora, non conoscendo la defunta, chiesi
a qualcuno dei presenti di omaggiarla con un breve discorso: emerse il ricordo
di una persona generosa che era rimasta nel cuore della gente”.
“Questo aneddoto – ha osservato
il padre gesuita – mi ha fatto riflettere su un fatto: si vive nel cuore degli
altri non per l’onnipotenza ma per la finitezza. E mi sono chiesto: quando si
muore, chi è che muore veramente e chi, in realtà, vive ancora?”.
Padre Occhetta ha poi
sottolineato il più grande paradosso della medicina contemporanea: “Da un lato
abbiamo permesso che la tecnica medica allungasse il più possibile la vita,
dall’altro pretendiamo di mettere fine alla vita, attraverso la stessa
tecnica”.
I progressi farmacologici,
inoltre, hanno cambiato notevolmente il rapporto medico-paziente e
ridimensionato l’autorevolezza della figura del medico. “Un tempo – ha
proseguito Occhetta - era quest’ultimo a decidere per il paziente, oggi prevale
l’alleanza terapeutica”.
Si assiste quindi alla
“contrattualizzazione” e alla “giuridicizzazione” del rapporto medico-paziente,
da cui scaturiscono le assicurazioni sanitarie sempre più costose e i ricorsi
legali. La volontà del paziente diventa sempre più vincolante.
Il progetto di legge, approvato
in Senato e attualmente dibattuto alla Camera, è coerente con il principio di
alleanza terapeutica ma salvaguarda una certa autonomia del medico, il quale,
“non è vincolato a rispettare le volontà formalizzate dal paziente: per questo
il progetto di legge italiano ha a che vedere con le dichiarazioni anticipate
di trattamento (DAT) e non con il testamento biologico”. Se il medico ignora la
volontà del paziente è però obbligato a motivare la sua scelta.
In altri paesi europei,
Inghilterra e Spagna in particolare, il medico ha molta meno libertà e in caso
di mancato rispetto della volontà del paziente rischia il processo e la
sanzione. Il paese più “libertario” sul fine-vita è la Svizzera, dove eutanasia
passiva e suicidio assistito sono consentite anche a cittadini stranieri.
È seguito l’intervento della
professoressa Maria Grazia Marciani, ordinaria di neurologia all’Università di
Tor Vergata, che ha ricordato che una legge sulle dichiarazioni anticipate di
trattamento è resa necessaria dal dettato costituzionale (artt. 1-2-3) e deve
articolarsi su alleanza terapeutica e consenso informato. “L’autonomia del
paziente – ha osservato la professoressa Marciani – è un’autonomia relazionale,
così come sottolineato dal Consiglio Nazionale di Bioetica”.
L’approvazione di una legge sul
fine-vita, tuttavia, è resa estremamente complessa dal subentrare di
innumerevoli fattori emotivi, affettivi e psicologici, a partire dalla
“solitudine del medico che deve prendere una decisione e dalla solitudine del
paziente che non può manifestare la sua volontà”.
Determinanti anche sono variabili
psico-sociali come “l’aumento dell’età media della popolazione e,
contemporaneamente, la perdita del significato della sofferenza, la paura di
confrontarsi con la morte, proprio perché della morte non si percepisce più il
senso”.
Rimangono poi i dilemmi legati
all’accanimento terapeutico, vietato dal pdl sul fine vita e condannato anche
dal magistero cattolico, il cui confine è sempre difficilmente decifrabile,
mentre non ci sono dubbi sul dovere di cura del paziente fino agli ultimi
istanti.
Per cura si intende l’obbligo
all’alimentazione e all’idratazione, mentre diverso è il concetto di terapia
che è lecito sospendere quando diventi controproducente o troppo invasiva.
L’idratazione, in particolare, è
probabilmente l’aspetto più delicato della questione, in quanto la sua
sospensione, di fatto comporta sofferenze ancora più atroci per il morente: è
infatti noto che Eluana Englaro fosse stata sedata prima di essere sottoposta
ad eutanasia passiva.
Nelle sue considerazioni finali
padre Antonio Spadaro SJ, ha sottolineato che “il corretto modello relazionale
medico-paziente ci ricorda che non è solo una questione di tecnica” mentre è il
progresso della tecnica stessa ad “allargare il divario tra la vita e la
morte”.
Nessun commento:
Posta un commento