Olmi scambia il cristianesimo per la Caritas di Maurizio Caverzan articolo
di lunedì 03 ottobre 2011, il Giornale
Il nuovo film di Olmi, Il
villaggio di cartone, è stato proiettato ieri sera in anteprima al Piccolo
teatro Strehler di Milano. E il regista più "religioso" d'Italia ora
strappa applausi da Fabio Fazio
Il cristianesimo ridotto a
religione sociale. A mistica della solidarietà e dell’accoglienza. È una
tendenza via via crescente in televisione, al cinema, nei giornali. Ne abbiamo
avuto un ultimo esempio anche l’altra sera a Che tempo che fa di Fabio Fazio,
ospite principale Ermanno Olmi, in passato il cineasta italiano di più elevato
spessore religioso. Tocca dire in passato, peraltro con rammarico, dopo aver
visto Il villaggio di cartone, presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia
e nei cinema da venerdì prossimo.
Anche l’altra sera Olmi ha
confermato la tesi in odore di eresia della sua pellicola nella quale, alla
prima scena, un gigantesco braccio meccanico spoglia una chiesa del suo
crocifisso mentre qualcun altro toglie dalle pareti le immagini devozionali.
Quell’edificio non è più luogo di culto ma, è la metafora del film, proprio ora
che il battistero è diventato un abbeveratoio e le candele servono per
riscaldare infreddoliti ospiti, paradossalmente corrisponde meglio alla sua
natura. Tra i banchi, vicino all’altare e nella sacrestia viene accolto e
nascosto un gruppo d’immigrati nordafricani e così il prete (Michael Lonsdale)
riscopre la sua vera vocazione: «Ho fatto il prete per fare del bene, ma per
fare il bene non serve la fede. Il bene è più della fede», riflette il
sacerdote, alter ego dello stesso Olmi. «Non siete d’accordo?», ha chiesto Olmi
al pubblico di Fazio. Figurarsi.
Insomma, per l’ex cineasta di più
elevato spirito religioso, la fede è diventata un intralcio a compiere il bene
e il crocifisso un impedimento ad accogliere gli immigrati. Missione peraltro
sacrosanta, come ha argomentato in un recente intervento sull’Espresso («Amerai
lo straniero come te stesso») anche il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente
del Pontificio Consiglio per la Cultura nonché, insieme con Claudio Magris,
consulente di Olmi per Il villaggio di cartone. Sarebbe bastato lasciare al suo
posto il crocefisso anziché deporlo alla prima scena. E avremmo potuto
discutere a lungo sulla mancanza di carità tra i cristiani verso gli stranieri.
Invece, sia alla Mostra di Venezia che da Fazio Olmi ha sottolineato che «è
troppo facile inginocchiarsi davanti a un simbolo di cartone. Cristo è morto in
croce duemila anni fa. Ora bisogna inginocchiarsi davanti a chi soffre, agli
immigrati, ai giovani senza lavoro, a chi è vittima della droga». Applausi
della platea. Così la riduzione sociale del cristianesimo rischia di passare in
prima serata con le benedizioni più prestigiose e autorevoli. E anche nei
sacrari della cultura come il Piccolo Teatro Strehler dove ieri sera, post
anteprima, Olmi è stato applaudito da Ferruccio De Bortoli, Giulio Giorello e
don Gino Rigoldi.
Eppure, il regista aveva
intestato il pressbook del suo film con una frase di Indro Montanelli che
avrebbe dovuto illuminarlo: «L’unica grande rivoluzione avvenuta nel nostro
mondo occidentale è quella di Cristo il quale dette all’uomo la consapevolezza
del bene e del male, e quindi il senso del peccato e del rimorso. In confronto
a questa, tutte le altre rivoluzioni - compresa quella francese e quella russa
- fanno ridere». Invece il verbo della religione sociale ha prodotto e rischia
di produrre una conversione al contrario anche in certi ambienti cristiani.
Prima verrebbero le buone azioni, la solidarietà e la virtù, come se la Chiesa
fosse una gigantesca Caritas. Poi la fede. Ma a questo punto la venuta di Gesù
Cristo sarebbe superflua. Al contrario, nel Dialogo dell’Anticristo il grande
filosofo russo Vladimir Solov’ev fa dire allo starets Giovanni rivolto
all’imperatore che lo interroga su ciò a cui tengono i cristiani: «Grande
sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso e
tutto ciò che proviene da lui». Carità compresa.
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