lunedì 3 ottobre 2011


Unioni gay, la Chiesa contro Obama di Marco Respinti, 02-10-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha deciso. Per lui la legge che tutela come unico possibile il matrimonio tra un uomo e una donna è incostituzionale. Ma si sbaglia di grosso, dice Timothy M. Dolan, arcivescovo cattolico di New York e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che il 20 settembre ha inviato una vibrante lettera di protesta alla Casa Bianca.
Un fatto più unico che raro, questo - soprattutto per i toni forti e da ultimatum utilizzati dal presule -, che evidenzia come la questione sia oramai ai ferri corti. Nella sostanza, un vero scontro "istituzionale".

L’oggetto specifico del contendere è il cosiddetto DOMA, ovvero il "Defense of Marriage Act", la legge federale che riconosce come validi unicamente i matrimoni monogamici eterosessuali e che per converso esclude la possibilità di contrarre "nozze" omosessuali. Approvata il 21 settembre 1996, durante la presidenza di Bill Clinton, dal 104° Congresso federale a maggioranza Repubblicana - e Repubblicana piuttosto conservatrice -, la legge è stata messa più volte in dubbio e di fatto erosa in alcune delle sue prerogative dalle varie iniziative da allora susseguitesi nel Paese a favore del "matrimonio" gay, in alcuni casi (in alcuni Stati dell’Unione) sfociate nella legalizzazione. Per il mondo pro-family il DOMA è da sempre la base di partenza non negoziabile per ogni e qualsiasi discorso giuridico si voglia e si possa fare sul matrimonio, ed è infatti sul suo confine che da mesi si combatte l’ultima battaglia culturale e politica statunitense contro il riconoscimento delle unioni legali fra persone dello stesso sesso. Nondimeno, per il fronte avverso il DOMA è il nemico alle porte, sia perché pone un ostacolo concreto alla "normalizzazione" dell’omosessualità, sia perché stabilisce un principio "filosofico" inaccettabile per il mondo gay: ovvero che la legge positiva dello Stato - moderno, democratico e pluralista, non certo una "teocrazia medioevale" - riconosca e recepisca il diritto naturale, stabilendo essere compatibile con i princìpi che la fondano secondo criteri di equità e di giustizia, e che la reggono nell’amministrazione del bene comune dei cittadini, un solo tipo di persona - quella la cui natura è data e immodificabile, non per "cattiva volontà" ma per ragioni intrinseche -, dunque un solo tipo di famiglia.

Adesso il conflitto fra queste due concezioni radicalmente inconciliabili è arrivato in alto: coinvolge direttamente le massime autorità politiche e morali del Paese, e si configura come una sfida tra campioni. Da un lato c’è Obama a capo dell’esercito che, attraverso la legalizzazione del "matrimonio" gay, vorrebbe rifare completamente gli Stati Uniti, dall’altro la Chiesa cattolica che - per paradossale che possa sembrare - è rimasta la più integerrima paladina dei princìpi di diritto naturale e di giustizia su cui si regge l’ordinamento giuridico di questo Paese "protestante", "pluralista" e per certuni persino "relativista" ma che comunque ancora tutela per legge l’unico matrimonio concepito dalla natura delle cose.

A dirlo espressamente è proprio mons. Dolan là dove a Obama scrive che l’attacco frontale portato dalla sua Amministrazione al DOMA «farà sprofondare il Paese in un conflitto tra Chiesa e Stato di proporzioni enormi da cui ci rimetteranno entrambi le istituzioni»; e per farsi ben comprendere - da Obama e da tutti - l’arcivescovo allega alla lettera un dossier predisposto da una commissione di ricerca della sua diocesi che documenta e che ricorda tutti i passi compiuti con coerenza tetragona dalla Casa Bianca per avvicinarsi all’obiettivo finale della cancellazione per "incostituzionalità" della legge che difendo il matrimonio, l’unico.

È del resto «particolarmente sconcertante» - aggiunge l’arcivescovo - che l’Amministrazione statunitense, «attraverso varie carte, pronunciamenti e direttive processuali, attribuisca a chi difende il DOMA motivazioni pregiudiziali e preconcettuali». Ed «è particolarmente sbagliato e disonesto equiparare la contrarietà alla ridefinizione del matrimonio con la discriminazione razziale intenzionale o volutamente ignorante, come la sua Amministrazione insiste a fare».

Infatti, continua mons. Dolan, «il nostro profondo rispetto per il matrimonio inteso come l’unione complementare e fruttuosa tra un uomo e una donna non nega la nostra sollecitudine per il benessere di tutti, bensì la rafforza». Perché, «mentre tutte le persone meritano il nostro rispetto pieno, nessun’altra relazione garantisce al bene comune ciò che il matrimonio tra un marito e una moglie garantisce». E «la legge deve esprimere questa realtà».

Con una semplice quanto cristallina (e doverosa) lezione di "educazione civica americana", l’arcivescovo sottolinea peraltro che «il nostro governo federale non dovrebbe presumere la cattiva intenzione o la sordità morale da parte della maggioranza schiacciante dei suoi cittadini, milioni dei quali si sono espressi a favore del DOMA in consultazioni referendarie svolte in numerosi Stati dell’Unione». Né «la differenza di orientamento sul significato del matrimonio dovrebbe essere trattata dai funzionari del governo come un reato federale»: eppure «sarà questo ciò che accadrà se nei tribunali avrà la meglio la teoria costituzionale recentemente elaborata dal Ministero della Giustizia».

La lettera di mons. Dolan a Obama chiude nella speranza di un dialogo sincero per il quale - sottolinea il presule - c’è sempre tempo pur nel tempestoso clima di disaccordo che divide oggi la Chiesa statunitense e la Casa Bianca: «Sappia, la prego, che sono sempre pronto a discutere con lei di queste questioni e di rispondere a qualsiasi sua domanda». Eppure - come si dice a quelle latitudini - "non fa prigionieri".

«Signor presidente », intima infatti il presule a Obama, «la esorto rispettosamente a premere il tasto del reset» per modificare l’«atteggiamento che la sua Amministrazione sta tenendo verso il DOMA». E qualche riga dopo di questa lettera di dottrina sociale ripete: «a nome dei mie confratelli nell’episcopato la esorto ancora una volta affinché la sua Amministrazione metta fine alla campagna che ha in atto contro il DOMA, contro l’istituto del matrimonio che quella legge protegge e contro la libertà religiosa».

Non capita tutti i giorni che il capo dei vescovi di un Paese democratico apostrofi di proprio pugno così i vertici politici e istituzionali di detto Stato. Decisamente, il favore con cui la Chiesa statunitense guarda oggi Obama e la sua Amministrazione è al minimo storico. E sempre più la difesa del matrimonio naturale tra un uomo e una donna è il crinale tra due civiltà, una naturale e cristiana a favore di tutti, omosessuali compresi; l’altra il suo esatto contrario.

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