Unioni gay, la Chiesa contro Obama di Marco Respinti, 02-10-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/
Il presidente degli Stati Uniti
Barack Obama ha deciso. Per lui la legge che tutela come unico possibile il
matrimonio tra un uomo e una donna è incostituzionale. Ma si sbaglia di grosso,
dice Timothy M. Dolan, arcivescovo cattolico di New York e presidente della
Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che il 20 settembre ha inviato una
vibrante lettera di protesta alla Casa Bianca.
Un fatto più unico che raro,
questo - soprattutto per i toni forti e da ultimatum utilizzati dal presule -,
che evidenzia come la questione sia oramai ai ferri corti. Nella sostanza, un
vero scontro "istituzionale".
L’oggetto specifico del
contendere è il cosiddetto DOMA, ovvero il "Defense of Marriage Act",
la legge federale che riconosce come validi unicamente i matrimoni monogamici
eterosessuali e che per converso esclude la possibilità di contrarre
"nozze" omosessuali. Approvata il 21 settembre 1996, durante la
presidenza di Bill Clinton, dal 104° Congresso federale a maggioranza
Repubblicana - e Repubblicana piuttosto conservatrice -, la legge è stata messa
più volte in dubbio e di fatto erosa in alcune delle sue prerogative dalle
varie iniziative da allora susseguitesi nel Paese a favore del
"matrimonio" gay, in alcuni casi (in alcuni Stati dell’Unione)
sfociate nella legalizzazione. Per il mondo pro-family il DOMA è da sempre la
base di partenza non negoziabile per ogni e qualsiasi discorso giuridico si
voglia e si possa fare sul matrimonio, ed è infatti sul suo confine che da mesi
si combatte l’ultima battaglia culturale e politica statunitense contro il
riconoscimento delle unioni legali fra persone dello stesso sesso. Nondimeno,
per il fronte avverso il DOMA è il nemico alle porte, sia perché pone un
ostacolo concreto alla "normalizzazione" dell’omosessualità, sia
perché stabilisce un principio "filosofico" inaccettabile per il
mondo gay: ovvero che la legge positiva dello Stato - moderno, democratico e
pluralista, non certo una "teocrazia medioevale" - riconosca e
recepisca il diritto naturale, stabilendo essere compatibile con i princìpi che
la fondano secondo criteri di equità e di giustizia, e che la reggono
nell’amministrazione del bene comune dei cittadini, un solo tipo di persona -
quella la cui natura è data e immodificabile, non per "cattiva
volontà" ma per ragioni intrinseche -, dunque un solo tipo di famiglia.
Adesso il conflitto fra queste
due concezioni radicalmente inconciliabili è arrivato in alto: coinvolge
direttamente le massime autorità politiche e morali del Paese, e si configura
come una sfida tra campioni. Da un lato c’è Obama a capo dell’esercito che,
attraverso la legalizzazione del "matrimonio" gay, vorrebbe rifare
completamente gli Stati Uniti, dall’altro la Chiesa cattolica che - per
paradossale che possa sembrare - è rimasta la più integerrima paladina dei
princìpi di diritto naturale e di giustizia su cui si regge l’ordinamento
giuridico di questo Paese "protestante", "pluralista" e per
certuni persino "relativista" ma che comunque ancora tutela per legge
l’unico matrimonio concepito dalla natura delle cose.
A dirlo espressamente è proprio
mons. Dolan là dove a Obama scrive che l’attacco frontale portato dalla sua
Amministrazione al DOMA «farà sprofondare il Paese in un conflitto tra Chiesa e
Stato di proporzioni enormi da cui ci rimetteranno entrambi le istituzioni»; e
per farsi ben comprendere - da Obama e da tutti - l’arcivescovo allega alla
lettera un dossier predisposto da una commissione di ricerca della sua diocesi
che documenta e che ricorda tutti i passi compiuti con coerenza tetragona dalla
Casa Bianca per avvicinarsi all’obiettivo finale della cancellazione per
"incostituzionalità" della legge che difendo il matrimonio, l’unico.
È del resto «particolarmente
sconcertante» - aggiunge l’arcivescovo - che l’Amministrazione statunitense,
«attraverso varie carte, pronunciamenti e direttive processuali, attribuisca a
chi difende il DOMA motivazioni pregiudiziali e preconcettuali». Ed «è
particolarmente sbagliato e disonesto equiparare la contrarietà alla
ridefinizione del matrimonio con la discriminazione razziale intenzionale o
volutamente ignorante, come la sua Amministrazione insiste a fare».
Infatti, continua mons. Dolan,
«il nostro profondo rispetto per il matrimonio inteso come l’unione
complementare e fruttuosa tra un uomo e una donna non nega la nostra
sollecitudine per il benessere di tutti, bensì la rafforza». Perché, «mentre
tutte le persone meritano il nostro rispetto pieno, nessun’altra relazione
garantisce al bene comune ciò che il matrimonio tra un marito e una moglie
garantisce». E «la legge deve esprimere questa realtà».
Con una semplice quanto
cristallina (e doverosa) lezione di "educazione civica americana",
l’arcivescovo sottolinea peraltro che «il nostro governo federale non dovrebbe
presumere la cattiva intenzione o la sordità morale da parte della maggioranza
schiacciante dei suoi cittadini, milioni dei quali si sono espressi a favore
del DOMA in consultazioni referendarie svolte in numerosi Stati dell’Unione».
Né «la differenza di orientamento sul significato del matrimonio dovrebbe
essere trattata dai funzionari del governo come un reato federale»: eppure
«sarà questo ciò che accadrà se nei tribunali avrà la meglio la teoria
costituzionale recentemente elaborata dal Ministero della Giustizia».
La lettera di mons. Dolan a Obama
chiude nella speranza di un dialogo sincero per il quale - sottolinea il
presule - c’è sempre tempo pur nel tempestoso clima di disaccordo che divide
oggi la Chiesa statunitense e la Casa Bianca: «Sappia, la prego, che sono
sempre pronto a discutere con lei di queste questioni e di rispondere a
qualsiasi sua domanda». Eppure - come si dice a quelle latitudini - "non
fa prigionieri".
«Signor presidente », intima
infatti il presule a Obama, «la esorto rispettosamente a premere il tasto del
reset» per modificare l’«atteggiamento che la sua Amministrazione sta tenendo
verso il DOMA». E qualche riga dopo di questa lettera di dottrina sociale
ripete: «a nome dei mie confratelli nell’episcopato la esorto ancora una volta
affinché la sua Amministrazione metta fine alla campagna che ha in atto contro
il DOMA, contro l’istituto del matrimonio che quella legge protegge e contro la
libertà religiosa».
Non capita tutti i giorni che il
capo dei vescovi di un Paese democratico apostrofi di proprio pugno così i
vertici politici e istituzionali di detto Stato. Decisamente, il favore con cui
la Chiesa statunitense guarda oggi Obama e la sua Amministrazione è al minimo
storico. E sempre più la difesa del matrimonio naturale tra un uomo e una donna
è il crinale tra due civiltà, una naturale e cristiana a favore di tutti,
omosessuali compresi; l’altra il suo esatto contrario.
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