In Italia esiste il diritto di uccidere di Giacomo Rocchi, giovedì 1 dicembre
2011, http://veritaevita.blogspot.com/
Qualche riflessione sulla
sentenza della Cassazione che, confermando una sentenza della Corte d'Appello
di Perugia, ha condannato l'Università La Sapienza di Roma al risarcimento dei
danni morali subiti dai genitori di un bambino down che avrebbe potuto essere
abortito e non lo fu.
Durante la gravidanza era stato
eseguito l'esame della funicolocentesi che aveva dato esito negativo;
l'Università è stata dichiarata responsabile perché la gestante non era stata
informata della inaffidabilità dell'esame "e quindi sulla necessità di
ripeterlo entro la 24a settimana". Non avendo ripetuto l'esame (e non
avendo, quindi, conosciuto l'esistenza della sindrome nel suo bambino) la madre
non aveva potuto esercitare "il diritto di poter decidere liberamente,
anche attraverso un'adeguata informazione sanitaria, la scelta dell'aborto
terapeutico o di rischiare una nascita a rischio genetico". In un
ulteriore passaggio l'inadempimento dell'Università è stato ritenuto
"suscettibile di ledere i diritti inviolabili della persona e quindi anche
della gestante e del padre".
Come quantificare il danno? La
Corte d'Appello di Perugia aveva liquidato l'importo di euro 80.000; somma
troppo bassa, secondo la Cassazione, "considerata la gravità del
sacrificio personale e la permanenza dell'assistenza di una persona che
abbisogna di continue cure, sorveglianza ed affetto". Abortire il bambino
sarebbe costato meno ...
Giudici impazziti? Anche se Avvenire
titola "Risarcimento per mancato aborto: la Cassazione sbanda", in
realtà non si tratta affatto della prima sentenza di questo tipo. Alberto
Gambino, intervistato da Avvenire, sostiene che "l'aborto non è un
diritto, ma un bilanciamento di interessi contrapposti" e aggiunge che
"bisogna essere un po' cauti nell'accogliere questi percorsi
giurisprudenziali, perché sembrerebbe che in Italia esiste un diritto ad
abortire sostanzialmente illimitato. Invece la nostra legislazione prevede una
possibilità di sacrificare la vita del nascituro davanti ad una lesione
psicofisica. E questa è la condizione che si deve verificare".
I Giudici applicano la legge: e
la legge sull'aborto è la legge 194 (alcuni ritengono che non si dovrebbe
tentarne la cancellazione). Per riconoscere il risarcimento del danno, occorre
che ad essere violato sia un diritto soggettivo. E che quello della donna ad
uccidere il proprio figlio sia un diritto (anche dopo il terzo mese di
gravidanza) la Cassazione civile (i giudici civili sono, appunto, i giudici dei
diritti) lo ha affermato fin dal 2002.
Ma, si dice, almeno dopo il terzo
mese, per abortire dovrebbe esistere una lesione psicofisica della donna. No,
ribattono i giudici civili: la legge 194 prevede solo che le anomalie del
nascituro possano provocare "un grave pericolo per la salute fisica o psichica
della donna"; quindi per ottenere il risarcimento non occorre accertare se
davvero, dopo il parto, la madre abbia subito un danno; è sufficiente
verificare "se la dovuta informazione sulle condizioni del feto avrebbe
potuto determinare durante la gravidanza l'insorgere di un tale processo
patologico".
Insomma: nessun danno reale e
neanche nessun pericolo reale.
Le novità di questa sentenza sono
altre: la prima è che viene riconosciuto il diritto al risarcimento anche al
padre (pensate un po': l'uomo non può intervenire per impedire l'uccisione di
suo figlio, ma può chiedere soldi come risarcimento se la madre non ha potuto
esercitare il suo diritto di ucciderlo ...); e, inoltre, i Giudici civili
superano di slancio l'unico limite della legge 194.
Sì, perché, come è noto, l'aborto
non sarebbe permesso se il bambino, strappato dal corpo della madre, ha qualche
possibilità di vita autonoma: quindi, attualmente, a circa 22 settimane di
gravidanza. Che senso aveva, allora, fare una seconda funicolocentesi alla 24a
settimana, se l'aborto "terapeutico" (sic!) era vietato? Ma, si
risponde, è una questione di onere della prova: era l'Università a dover
provare che il bambino - se fosse stato abortito alla 24a settimana - avrebbe
potuto sopravvivere (chissà come questa prova poteva essere fornita): quindi la
coppia di genitori ha diritto ad essere risarcita per la nascita del loro
figlio e per il grave sacrificio personale, non avendo potuto compiere l'unico
sacrificio possibile, quello del bambino.
Comprendiamo così come una legge
ingiusta, oltre a permettere l'uccisione di milioni di innocenti, educa i
cittadini.
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