Le neuroscienze portano l’uomo al centro: il cervello non ha eguali nel
cosmo, 1 dicembre, 2011, http://www.uccronline.it
Nelle librerie anglosassoni è
uscito un libro veramente interessante, decisamente scomodo per razionalisti,
riduzionisti, materialisti e tutto il rimasuglio di positivismo scientista che
siamo costretti a trascinarci ancora dietro. Il titolo è “The Brain is Wider
Than the Sky“ (“Il cervello è più ampio del cielo”, W&N 2011) e l’autore è
il giornalista scientifico Bryan Appleyard.
Il volume è basato su tutta una
serie di interviste dei più importanti neuroscienziati in circolazione sul
funzionamento del cervello, per giungere alla conclusione che non siamo affatto
vicini ad auto-comprenderci e che probabilmente non riusciremo mai. Il cervello
è lo strumento più complesso e affascinante in tutto l’universo, superiore di
gran lunga a qualsiasi mega-computer esistente. Come scrive nella recensione il
neuroscienziato Daniels Anthony, docente presso la Oxford University, «la
natura, la qualità e la ricchezza della nostra vita interiore non sarà mai
completamente spiegabile o traducibili in termini fisici, e – inoltre – sarebbe
terribile se si potesse fare». Dire il contrario, continua Antony, significa
assumere «l’arroganza scientifica e razionalista, primo perché ci si illude di
credere che si possa capire pienamente noi stessi per mezzo del metodo
scientifico, secondo perché il progresso tecnologico non migliora
necessariamente la qualità della nostra vita, e terzo non si può catturare in
modo descrittivo il controllo dei sistemi infinitamente complessi che guidano i
nostri scopi».
L’autore spazia anche su altri argomenti,
ma volti tutti a dimostrare l’irriducibilità umana. In un capitolo Appleyard
scrive: «La teleologia è la convinzione che la natura si autodetermini ad uno
scopo, che si sta muovendo verso qualcosa, se questo è il regno di Dio o una
società giusta… Una linea dura di teleologia potrebbe sostenere che la scimmia
si sia volutamente evoluta in un essere umano…Ma questo, per il materialista, è
misticismo. D’altra parte, la teleologia è tutto intorno a noi. Senza questa
forma di teleologia, il mondo diventa incomprensibile». Le qualità estetiche ed
emozionali, come confermano gli scienziati a cui rivolge le domande, sono
irriducibili alle neuroscienze e non potranno mai essere descritte in termini
neurologici. Al contrario di tutte le filosofie atee e riduzioniste che
aspirano a ridurre l’uomo ad un essere insignificante, a un “nient’altro che”
per dimostrare che non c’è nessuna creazione a “immagine e somiglianza di Dio”,
il cristianesimo ha sempre valorizzato e innalzato l’uomo, a partire
dall’incarnazione stessa di Dio in un effimero corpo umano. Le neuroscienze
oggi, abbandonata l’ideologia positivista, stanno riportando sempre più al
centro dell’universo (della creazione) l’essere umano dimostrandone l’assoluta
unicità rispetto a tutto il resto. Quasi come fosse davvero “il preferito” di
tutto il cosmo, colui a cui tutto tende.
Questo è riconosciuto apertamente
dagli psicologi, come Margaret Boden della Sussex University: «La mente umana è
unica. L’intelligenza artificiale ha aumentato il senso di meraviglia che provo
al cospetto della mente umana» (R. Stannard, “La scienza e i miracoli” Tea
2006) e dagli stessi neuroscienziati, come Michael Gazzaniga (tra i massimi
esperti viventi del cervello), il quale sostiene che Darwin aveva torto perché
«noi non siamo in continuità con gli altri primati, la differenza tra noi e
loro è qualitativa, non puramente quantitativa». Citiamo infine Massimo
Buscema, computer scientist di fama internazionale, esperto in reti neurali
artificiali e sistemi adattivi, il quale dice: «È credibile che all’età di 50
anni, io non abbia più neanche un atomo di quelli che avevo a cinque anni. Ma
allora perché mi sento la stessa identità e mi ricordo anche di quando avevo
cinque anni, se tutta la materia di cui ero fatto è cambiata? Dove sono stato
registrato? Dov’è il disco rigido su cui è stato fatto il backup di me stesso?
Non c’è. E allora perché ho memoria? E’ più probabile che la mia identità non
sia fornita dalla mia struttura bio-materiale (che cambia continuamente) ma
dalla funzione matematica che connette tutte le traiettorie di qualsiasi mio
atomo. In altri termini: la mia identità è solo un’organizzazione di
informazioni, un pensiero. Ora, se tutta la complessità che esploriamo nasconde
un pensiero, e se è così ben congegnato da permetterci di esistere e di
formulare una domanda sensata sull’origine del cosmo, è più che ragionevole
credere che l’informazione iniziale non sia stata buttata lì a casaccio. “Penso
quindi esisto” oppure “Esisto perché sono pensato”?».
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