sabato 3 dicembre 2011


Neanche nella scuola c'è posto per Cristo di Giovanni Fighera, 03-12-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Non ricordo di aver studiato al liceo o all’università neppure una poesia dedicata alla nascita di Gesù. Devo ritornare con la memoria agli anni delle elementari, quando ai maestri piace tanto raccontare le storie. Iniziava così la poesia: «- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!/ Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei./ Presso quell'osteria potremo riposare,/ ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.// Il campanile scocca/ lentamente le sei.// - Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio?/ Un po' di posto per me e per Giuseppe?/ - Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;/ son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe». La poesia si intitola «La notte santa».

L’autore è Guido Gozzano. Quante volte la mia figlia maggiore, che ha appena iniziato l’avventura della scuola primaria (quella che si chiamava fino a qualche anno fa elementare), mi chiede: «Papà mi racconti una storia?». La dimensione del racconto è, del resto, la più bella, la più affascinante, quella che conquista. A tutti noi, anche quando siamo cresciuti, piace scoprire nuove storie. Ebbene, c’è una storia che è più grande di tutte le altre, c’è una storia che ci commuove perché ci racconta di un Dio che si è fatto carne, che è diventato un bambino indifeso, come lo siamo stati tutti noi, ha fatto il falegname per tanti anni finché non ha iniziato la missione. Non ci ha fatto prediche, ma si è piegato sul nostro niente, ci ha amato ed abbracciato come un padre e una madre fanno con il proprio figlio, ha condiviso con noi uomini il suo tempo, rivelandoci il Mistero del Padre, l’amore, è morto in croce per redimere i nostri peccati ed è resuscitato.

Quanti tra quelli che hanno conosciuto quell’uomo Dio, Gesù, sono morti pur di dare testimonianza di Lui! Sono morti i primi apostoli duemila anni fa, come sono morti poi nei due millenni successivi milioni e milioni di martiri. O sono tutti pazzi oppure hanno davvero visto e incontrato qualcosa di straordinario. Orbene, una storia come questa, che sia considerata vera o falsa o addirittura poco pertinente alla nostra vita, meriterebbe di essere conosciuta, di essere studiata. Una statistica condotta negli ultimi mesi, resa nota nel recente viaggio di Benedetto XVI in Germania, afferma che il 75 per cento dei giovani tedeschi non si pone il problema di Dio. Un dato davvero allarmante, perché attesta che, in realtà, la maggior parte dei giovani non si pone il problema del proprio io, cioè del destino che li attende: siamo cibo per vermi o persone uniche e irripetibili, pensate nella mente di Dio e che vivranno in eterno?

Nelle scuole, però, non si racconta più la storia della nascita di Gesù. In molte scuole è addirittura proibito rappresentarla con un presepe, sarebbe un’intollerabile violenza nei confronti di chi non crede o di chi appartiene ad altre religioni. Non ho mai sentito dire che a scuola non si studi Napoleone perché ha saccheggiato molte terre dell’Europa, ha distrutto e ridotto a stalle molte chiese, ucciso tanti uomini appartenenti a una moltitudine di popoli diversi. Eppure, non si è mai raccontato che Gesù abbia compiuto azioni tanto atroci, anzi! Inoltre, le prove che Gesù Cristo sia esistito sono altrettanto certe di quelle relative all’esistenza di Napoleone.

È un fatto storico la nascita di Gesù così come lo è la morte di Napoleone celebrata ne «Il 5 maggio», in cui Manzoni tra l’altro testimonia che «più superba altezza / al disonor del Gòlgota / giammai non si chinò». Le antologie scolastiche escludono qualsiasi testo che racconti la storia di Gesù scritto dai grandi letterati (come del resto gli intellettuali cattolici sono spesso esclusi dai canoni letterari o relegati a ruoli del tutto marginali). Perché accade questo? Forse perché gli scrittori e i poeti non hanno raccontato la storia di Gesù? Certo che no. Infatti, quasi tutti i grandi scrittori, malgrado la smemoratezza della critica letteraria, si sono cimentati con la nascita di Gesù. Vorrei per l’occasione dell’attesa di questo Natale ricordare solo alcuni nomi tra i tanti letterati contemporanei, cioè di quell’epoca che è considerata atea o irreligiosa e che, invece, risente ancora fortemente, talvolta magari in maniera incosciente, della tradizione e del fatto cristiani. Tutti hanno sentito il fascino di raccontare questa storia.

Pensate, persino D’Annunzio (1863-1938) che spesso ha dissacrato e vilipeso volontariamente il nome di Gesù e che ha proseguito, come Carducci, l’irridente sberleffo al Crocefisso dalla cui passione è stato menomato il mondo, come lui si esprime in un carteggio con l’amico architetto del Vittoriale. D’Annunzio ha sempre deliberatamente contrapposto la propria brama di affermazione narcisistica al Verbo incarnato secondo la fede cristiana. La parodia ha quasi sempre accompagnato la produzione dannunziana in maniera ostentatamente provocatoria e mordace. Eppure anche D’Annunzio si confronta con l’evento della nascita di Gesù. Scrive una poesia ai Re magi: «Una luce vermiglia/ risplende nella pia/ notte e si spande via/ per miglia e miglia e miglia.//O nova meraviglia!/O fiore di Maria!/Passa la melodia/ e la terra s'ingiglia.//Cantano tra il fischiare/ del vento per le forre,/ i biondi angeli in coro;/ ed ecco Baldassarre/ Gaspare e Melchiorre,/ con mirra, incenso ed oro».

Un secolo prima di Gabriele D’Annunzio, dopo la conversione, A. Manzoni (1785-1873) dedica gli «Inni sacri» ai momenti principali della vita di Gesù. In «Natale» il poeta, dopo essersi soffermato sulla redenzione del peccato originale, esclama: «Ecco ci è nato un Pargolo,/ ci fu largito un Figlio:/ […] all'uom la mano Ei porge,/ che sì ravviva, e sorge/ oltre l'antico onor». Manzoni si commuove per un evento così grande, quello di un Dio che si è degnato di farsi povera carne: «E Tu degnasti assumere/ questa creata argilla?/ qual merto suo, qual grazia/ a tanto onor sortilla/ se in suo consiglio ascoso/ vince il perdon, pietoso/ immensamente Egli è». Il Figlio di Dio si è rivelato ai semplici, ai pastori che «senza indugiar, cercarono/ l'albergo poveretto/ que' fortunati, e videro,/ siccome a lor fu detto/ videro in panni avvolto,/ in un presepe accolto,/ vagire il Re del Ciel».

Molti non sanno che Lui è nato, allora duemila anni fa, come oggi. Non attendono la sua venuta, non lo credono a noi contemporaneo, lo pensano una bella favola o ancor di più lo hanno cancellato dalla memoria: «Dormi, o Celeste: i popoli/ chi nato sia non sanno;/ ma il dì verrà che nobile/ retaggio tuo saranno;/ che in quell'umil riposo,/ che nella polve ascoso,/conosceranno il Re». Un giorno tutti sapranno e Lo riconosceranno. Quest’inno risale al 1813. Vent’anni dopo, nel 1833, proprio nel giorno di Natale morirà l’amata moglie Enrichetta Blondel. Per la circostanza comporrà, incompiuto, l’inno sacro «Il Natale del 1833».

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