Scelte femminili di Giulia Galeotti, 4 dicembre 2011, L’Osservatore
Romano, http://www.news.va
I dati parlano chiaro: se negli
ultimi anni, in tema di salute ed educazione, la maggior parte dei Paesi ha
colmato il divario tra uomini e donne, e se anche in politica le cose stanno
lentamente migliorando, il vero tallone d’Achille resta il mondo del lavoro.
Tra maschi e femmine persiste infatti un’enorme discrasia in termini
soprattutto di salario e opportunità di carriera, come attesta il lungo dossier
Closing the gap sull’«Economist» del 26 novembre.
Partendo dalla constatazione che
l’euforia degli anni novanta ha lasciato spazio a una frustrazione tangibile,
il dossier approfondisce il tema nei suoi sfaccettati aspetti. Su tutti, il
nodo lavoro-maternità (nella convinzione che il compito di allevare la prole
non possa restare completamente sulle spalle femminili) e quello dell’assenza
delle donne ai vertici (sebbene diversi studi abbiano dimostrato la forte
correlazione tra numero significativo di queste ultime nei consigli di
amministrazione e successo sul mercato delle imprese).
Con pragmatismo, «The Economist»
elenca le ragioni di questo divario. Innanzitutto, il fatto che il mondo del
lavoro sia ancora organizzato su regole fissate decenni fa, quando il marito
lavorava e la moglie era casalinga. È illusorio pensare di aver risolto il
problema applicando quelle regole anche alle lavoratrici: è illusorio perché le
donne sono diverse. Secondo, fingere che diventare madre non abbia alcun
effetto sulla carriera è sciocco: anche se hanno meno figli, e li hanno più
tardi, le donne comunque iniziano a pensare a una famiglia proprio nel momento
in cui i colleghi cominciano a programmarsi la carriera. Terzo, le donne
possono tramutarsi nel nemico di se stesse, avendo pregi che sul lavoro si
traducono in svantaggi: troppo scrupolose, tendono a essere meno sicure e ad
autopromuoversi meno degli uomini, meno propense a dare la loro opinione se non
assolutamente certe. E, da ultimo, la discriminazione più sottile: i lavoratori
vengono promossi per le loro potenzialità, le lavoratrici per ciò che
effettivamente fanno (il che significa che avanzano ben più lentamente).
Ma il dossier ci riserva un
finale sorprendente e incoraggiante. I giovani uomini che iniziano a lavorare
oggi vedono il mondo in modo molto diverso da come lo vedevano i loro padri.
Sono meno ossessionati dalla carriera e più interessati a trovare un
bilanciamento ragionevole tra il lavoro e il resto della loro vita. Il che —
scrive il settimanale — è esattamente ciò che le donne vanno chiedendo da tempo.
Forse, se maschi e femmine inizieranno a premere nella stessa direzione, per i
datori di lavoro sarà più difficile restare sordi. E, forse, tutti saranno più
felici.
Questa conclusione — già
ragguardevole in sé per il suo ottimismo in tempi di crisi — è meravigliosa
anche per un altro motivo. Da più parti, tanti ormai denunciano gli effetti
distorti prodotti dall’emancipazione femminile degli anni settanta, causati
dall’essere stata, di fatto, un’emancipazione tarata sul modello maschile. Per
essere riconosciute pienamente come individui, le donne hanno adottato (o sono
state costrette ad adottare) il modello maschile. Ora, finalmente, la realtà
rivela altro.
Non solo le donne non rinunciano
a ciò che sono, ma insegnano qualcosa agli uomini. Dopo tante dichiarazioni
teoriche di ammirazione e riconoscimento, i maschi hanno finalmente deciso di
applicare alle loro vite una bella parte delle scelte che muovono le esistenze
femminili.
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