Aborto «dolce»? La Ru486 continua a uccidere - Con due anni di ritardo,
è affiorato in Australia un nuovo caso di morte causata dalla pillola abortiva.
Con questo decesso sono 26 le vittime nel mondo, una mortalità dieci volte
superiore a quella per aborto chirurgico.
E la «kill pill» ora è usata anche in
alcuni ospedali italiani, di Assuntina Morresi, Avvenire, 22 marzo 2012
E’ la prima morte australiana
dopo un aborto con la pillola Ru486. La notizia è stata resa pubblica nei giorni
scorsi da un coroner, ma il fatto è accaduto nel 2010. Salgono quindi a 26 le donne
morte dopo aver abortito con la "kill-pill", e vanno anche ricordate
dodici persone cui la Ru486 è stata somministrata al di fuori di protocolli
autorizzati. Oramai non fanno più notizia, come se fosse normale che ogni tanto
qualche donna muoia per aborto farmacologico, e "dimentica" che con
questo tipo di procedura si muore di più che con l’aborto chirurgico. La
pillola abortiva, infatti, si assume entro le prime sette (o nove, in alcuni Paesi)
settimane di gravidanza, e il paragone della mortalità va fatto con aborti
chirurgici effettuati nello stesso periodo, perché un intervento abortivo è più
pericoloso con l’avanzare della gravidanza. La mortalità dopo un aborto entro i
primi due mesi di gestazione è da sette a dieci volte maggiore con la Ru486,
rispetto a quella registrata nello stesso periodo, dopo aborto chirurgico.
Ma rivediamo il tragico elenco. Negli
Stati Uniti la Fda (Food and Drug Administration, l’ente di farmacovigilanza)
un anno fa ha aggiornato la pagina Web di questo prodotto. Dagli altri Paesi si
sa qualcosa grazie alle notizie di cronaca, o da indagini parlamentari (com’è
accaduto in Italia), ma sempre con molta difficoltà. Incrociando le informazioni,
possiamo trarre alcune conclusioni. Anzitutto, negli Stati Uniti sono state registrate
14 morti, di cui 7 a seguito della rarissima infezione da Clostridium
sordellii. Ricordiamo che in un primo momento alcuni avevano ipotizzato che
l’infezione fosse dovuta a una impropria somministrazione – vaginale – del secondo
prodotto, assunto dopo la Ru486 vera e propria, ovvero le prostaglandine. Ma
una delle sette donne lo ha preso per bocca, smentendo queste supposizioni. Una
è morta per infezione da Clostridium Perfrigens, e altre sei per "eventi
unici", fra cui due gravidanze extrauterine (per le quali la Ru486 è
controindicata perché ne copre i sintomi); una donna è morta in Canada, sempre per
Clostridium sordellii durante una sperimentazione clinica autorizzata (e poi
interrotta); una 16enne portoghese è morta sempre per infezione batterica. Cinque
le donne morte in Gran Bretagna, due in Francia, una in Svezia (di nuovo 16
anni), una a Taiwan. E ora una anche in Australia.
La Fda segnala poi 5 decessi avvenuti
in Paesi diversi dagli Usa, e dalla loro scarna descrizione potremmo ipotizzare
che forse rientrano nelle morti già conteggiate, ma non ne abbiamo alcuna
certezza. Fonti diverse documentano altre due donne morte per infezione da Clostridium
a seguito di aborto farmacologico, ma avevano usato solo prostaglandine – la
sostanza che si assume sempre dopo la Ru486, per avere le contrazioni che fanno
espellere l’embrione. Dati venuti a fatica alla luce sempre molto tempo dopo i
fatti, di cui però non sembra importare niente a (quasi) nessuno.
A disinteressarsene per primo è proprio
chi ancora oggi continua a dire che "prima" (della legalizzazione),
di aborto le donne morivano. Evidentemente per chi ricorda il passato ma non guarda
il presente, le 26 donne (oltre a chissà quante di cui abbiamo solo vaghe
notizie da India e Cina, delle quali sappiamo solo che «molte sono morte
dissanguate»), sono "diversamente morte" e possono essere derubricate
a "incidenti di percorso", inevitabili: alla fin fine, possiamo fare
come se non ci fossero. E quante ne devono morire ancora, prima che qualche autorità
sanitaria si decida a indagare? Il metodo farmacologico, si sa, è la strada
maestra per nascondere la piaga dell’aborto, per trasformarlo da un grave problema
sociale che va prevenuto e che misura il malessere di una società a un privatissimo
atto medico, come tanti. Per questo, una volta superato il "problema"
dell’introduzione dei farmaci abortivi in commercio, non conta più niente di
quel che accade: l’obiettivo – la diffusione dell’"aborto dolce" – è
raggiunto. Il resto, sono "morti diverse".
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