Anche quella omosessuale è una "famiglia", di Vladimiro ZAGREBELSKY,
27/3/2012, http://www.lastampa.it
La carta di soggiorno
riconosciuta dalla Questura di Reggio Emilia a un cittadino uruguayano sposato
in Spagna con un italiano, è la diretta conseguenza della sentenza del
Tribunale che ha annullato il diniego inizialmente opposto.
Il Tribunale ha affermato che il
diritto dell’Unione europea, che ha tra i suoi fondamenti la libertà di
circolazione nei Paesi membri, implica il diritto a veder tutelata l’unione
familiare, così come formatasi nel Paese di provenienza. Il Tribunale ha
confermato che la questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso è di
competenza dei parlamenti nazionali. Il diritto dell’Unione però disciplina aspetti
specifici che sono di sua pertinenza e tra questi quello della libertà di
circolazione. La sentenza ricostruisce il diritto dell’Unione e quello italiano
conseguente e limita la sua portata ad un aspetto specifico: quello degli
effetti sulla nozione di famiglia di un matrimonio (come quello omosessuale
ammesso dalla Spagna), in funzione della libertà di circolazione dei cittadini
europei nell’ambito dell’Unione. Benché importante, si tratta di questione
delimitata.
Ma il Tribunale chiude la sua
motivazione con un richiamo che va ben oltre il caso specifico, osservando come
«lungi dall’attuare un riconoscimento dello status matrimoniale, la soluzione
adottata appaia comunque conforme all’esigenza di dare attuazione al
"diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia"
riconosciuto all’unione affettiva tra due persone dello stesso sesso
dall’articolo 2 della Costituzione». Un diritto riconosciuto dalla Corte
costituzionale con una sentenza del 2010 e in linea con quanto affermato dalla
Corte europea dei diritti umani. Quest’ultima ha confermato che appartiene agli
Stati ammettere o negare i matrimoni omosessuali, ma che le unioni omosessuali
(come d’altronde le unioni di fatto eterosessuali) danno luogo a una vita di
famiglia, che va rispettata e protetta. Nello stesso senso si è recentemente
espressa la Cassazione italiana sviluppando la motivazione di una sentenza con
la quale ha negato la possibilità di trascrivere in Italia un matrimonio
omosessuale celebrato all’estero. La Cassazione ha affermato che quel tipo di
unione, indipendentemente dalla forma matrimoniale che il diritto italiano
attualmente non ammette, merita il riconoscimento che deriva dal fatto che essa
costituisce una famiglia. E la Carta dei diritti dell’Unione ha voluto espressamente
considerare che esistono modi diversi dal matrimonio di costituire una
famiglia.
La Costituzione, come la
Convenzione europea dei diritti umani e la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, vieta ogni discriminazione sulla base, tra l’altro, del
sesso. Il divieto di discriminazione non equivale però al diritto a un
trattamento per ogni aspetto eguale. Ma ogni differenza deve essere fondata su
una differenza rilevante della situazione disciplinata. Larga è in proposito la
discrezionalità di cui il legislatore può far uso, ma non senza limiti.
Vegliano a che non ne abusi la Corte Costituzionale e la Corte europea.
Ecco allora che la sentenza del
Tribunale di Reggio Emilia rivela un respiro che va ben oltre il limitato caso
concreto. I giudici nazionali ed europei adottano ormai una linea univoca: che
le unioni omosessuali siano o no riconosciute come una forma legittima di
matrimonio, è certo che esse non possono essere trattate come un fatto
irrilevante. Una serie di aspetti della vita di coppia sono già presi in conto
dalle leggi italiane. Il Tribunale cita ad esempio il risarcimento dei danni
derivanti dalla morte del compagno, il trasferimento del contratto di
locazione, il diritto del convivente omosessuale di astenersi dal testimoniare.
Altri diritti verranno fatti valere davanti ai giudici, che dovranno giudicare
tenendo presente che in linea di principio il rispetto della vita familiare non
può aver contenuto diverso se si tratta di coppia omo o eterosessuale.
Giudicheranno interpretando le leggi in vigore, fin dove è possibile farlo in
coerenza con i principi affermati, oppure rinvieranno alla Corte Costituzionale
l’esame della costituzionalità di quelle leggi. E poi, se i ricorrenti non
avranno avuto soddisfazione vi sarà magari anche il ricorso contro l’Italia
davanti alla Corte europea dei diritti umani.
I Parlamenti spesso si dimostrano
inclini ad evitare di prendere posizione in materie sensibili, che dividono e
suscitano emozioni profonde, radicate nella tradizione e nell’abitudine
secolare. I giudici invece non possono sottrarsi all’obbligo di decidere le
cause che vengono loro presentate. Un poco per volta emerge un orientamento;
nel nostro caso un orientamento omogeneo in sede nazionale ed europea. Ma le
decisioni dei giudici riguardano ogni volta la sola questione posta e rischiano
di non essere costanti e univoche. Da tempo si attende che il Parlamento assuma
le sue responsabilità legislative e regoli una buona volta la materia.
Piuttosto che piccole specifiche disposizioni, è il momento della disciplina
organica. Comunque le si voglia chiamare, si tratta di riconoscere e
disciplinare le unioni omosessuali.
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