A Reggio anche i gay tengono famiglia di Andrea Zambrano, 28-03-2012, http://www.labussolaquotidiana.it
È la breccia che serviva alle
lobby gay per cantare vittoria. Dopo la sentenza favorevole sul procedimento
della coppia “omo” che chiedeva il ricongiungimento familiare, puntuale è
arrivata la tanto sospirata carta di soggiorno.
La vicenda è nota ai lettori del
La Bussola Quotidiana fin dai suoi esordi, quando partì l’offensiva
dell’associazione radicale Certi diritti, affiliata all’Ilga, la potente lobby
gay and lesbian friendly, che orienta molte decisioni nell’Ue.
L'altroieri la Questura di Reggio
Emilia, che in un primo momento aveva negato il ricongiungimento familiare,
scatenando così il ricorso dei due gay "sposati" in Spagna, che
chiedevano il riconoscimento della loro unione anche in Italia, ha dovuto
cedere.
Il permesso di soggiorno è comune
a tanti altri. Comune alle migliaia di carte che vengono concesse nel nostro
Paese per favorire il ricongiungimento di due coniugi extracomunitari, spesso
il marito che è venuto in Italia a cercare fortuna, lasciando a casa la moglie
e i figli.
Ma è il primo nel suo genere
perché certifica che “Rafael”, questo il secondo nome del sudamericano, è
giunto in italia per motivi familiari in quanto sposato regolarmente in un
Paese Ue (la Spagna) con un altro uomo e dunque detentore degli stessi diritti
che aveva in terra iberica.
Sulla homepage del sito ieri la
foto del permesso di soggiorno compariva a caratteri cubitali e aveva il sapore
trionfale della battaglia vinta in una guerra ancora lunga, ma ormai orientata
su un piano inclinato segnato: quello del riconoscimento parlamentare delle
unioni gay.
Certo è che guardando la carta
che l’associazione ieri ha definito “storica” stride quello stato civile
“celibe” a fronte di un motivo del soggiorno “per motivi familiare”. E’ questa
forse la chiave per comprendere in quale pasticcio si è cacciata la
giurisprudenza italiana, creando un mostro a due teste, dal momento che se da
un lato si evita, e la sentenza lo dice a chiare lettere, di riconoscere il
matrimonio gay perché assente una legge del parlamento sovrano, dall’altro si
riconosce lo status giuridico di famiglia a cittadini che in altri Paesi
dell’area Ue conservano questo diritto.
Eravamo stati facili profeti nel
delineare uno scenario che si sviluppa, forse non casualmente, in un momento di
vacanza della politica in crisi di identità e di consenso e succube di altri
poteri. In pratica: allo sbando in quanto al rispetto del valori non
negoziabili.
Eppure la strategia delle lobby
era chiara: Il trattato di Nizza sulla libera circolazione e il Trattato di
Lisbona sulla lotta alle discriminazioni sono stati utilizzati come grimaldello
per scardinare il sistema.
Con il primo infatti si sancisce
che tutti i cittadini devono conservare gli stessi diritti all’interno di tutti
gli stati membri Ue, con il secondo si decreta che i cittadini Ue non devono
essere discriminati da uno stato all’altro.
Così, pur non richiedendo la
trascrizione del matrimonio, materia di competenza di ogni singolo stato, si è
optato per il più semplice permesso di soggiorno.
«Un altro grande passo di
civilità per il superamento delle diseguaglianze e delle discriminazioni»,
canta vittoria Certi diritti. Un fallimento della politica, che si è vista
superare su questa materia da un giudice in una sentenza che ora farà scuola.
La battaglia delle lobby non si
fermerà qui. I due non sono riconosciuti marito e marito, ma sono riconosciuti
come famiglia. Ora, secondo precise strategie annunciate nero su bianco,
l’associazione si farà forza della sentenza e del suo clamore mediatico per
«sollecitare il Parlamento a varare una disciplina di carattere generale in
materia».
In secondo luogo chiederà di
«intervenire per garantire un trattamento omogeneo tra le coppie coniugate e
quelle omosessuali». E qui ci dovremo aspettare, secondo la tecnica di
guerriglia ormai consolidata per il caso Eluana, a casi limite, che
impietosiscano le copertine dei media più sensibili.
Quella della riforma del diritto
di famiglia è infatti è la prossima battaglia dell’associazione radicale, che
ha anche elaborato una proposta di riforma depositata sia alla Camera che al
Senato e che si ispira al concetto di amore civile.
Nel progetto di riforma,
codificato dal progetto di legge n. 3607 depositato dai parlamentari Pd di area
radicale si prevede oltre al tema del riconoscimento delle unioni civili, la
separazione, la mediazione familiare, il divorzio breve, il matrimonio tra
persone dello stesso sesso, le norme sulla procreazione e sulla genitorialità
responsabile e norme in materia di filiazione legittima e naturale.
Una spia è già accesa: il via
libera dato dalla commissione Giustizia della Camera sul divorzio breve, il cui
primo firmatario è l’onorevole Pdl Maurizio Paniz, dimostra che in quanto a
ricerca trasversale del consenso, i Radicali non si fanno battere da nessuno.
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