Londra, tre genitori meglio di due di Tommaso Scandroglio, 20-03-2012, http://www.labussolaquotidiana.it
Metti una cena tra tre amici a
Londra. Aggiungi il fatto che i tre commensali sono tutti omosessuali: due
donne, che fanno coppia tra loro, e un amico maschio. Condisci il momento
conviviale con il dettaglio che a tavola si parla di un contratto: tu maschio
ci regali il tuo seme che feconderà una di noi due fanciulle e così potremo
avere un bel bambino. Rimane il fatto che – e lo scriviamo nero su bianco nel
contratto – tu non potrai vantare nessun diritto sul bebè. Semmai potrai
vederlo per cinque ore ogni due settimane.
Letto e firmato, il contratto con
i suoi vincoli inizia a star stretto al padre omosessuale il quale, quando il
pargolo ha ormai un paio di anni, si rivolge alla giustizia inglese per far
valere i suoi diritti di padre biologico. Corsi e ricorsi il caso approda alla
Corte di Appello di Londra che dà ragione un po’ a tutti: il bambino avrà tre
genitori. Ognuno ha un suo ruolo insostituibile, spiegano i giudici, e quindi
il figlio crescerà più che in una famiglia in un’equipe genitoriale omosessuale.
La vicenda batte il guinness dei
primati in tema di vandalismo etico e giuridico. Abbiamo infatti una coppia di
“fidanzati” formata da due donne lesbiche. Queste due donne decidono di
ricorrere alla fecondazione artificiale la quale fecondazione, dato che il
donatore è esterno alla coppia, è tecnicamente pure di tipo eterologo (e non
poteva essere altrimenti). Il donatore è anch’egli omosessuale. Le donne
impongono all’uomo per contratto di non avere in futuro alcun contatto con il
figlio. Questi avrà tre genitori, tutti omosessuali. Ed infine il concetto di
famiglia diventa come un abito di sartoria: ognuno si sceglie la foggia, la
stoffa e il taglio che più lo aggradano. Ammettiamolo: pare che la storia e la
sentenza che ha suggellato la stessa sia frutto di un tiro di dadi.
In merito alla sentenza, il corto
circuito giuridico che ha portato ad
inventarsi una bislacca famiglia con tre genitori è provocato dal fatto
che la regola principe che ha voluto seguire il giudice è quella libertaria dell’assecondamento
prono dei desideri del singolo. Se eleviamo in modo assoluto le velleità
dell’individuo a diritti, finisce che dobbiamo riconoscere sempre e comunque
qualsiasi richiesta di chicchessia, anche priva di un simulacro di giuridicità
e al di là del contenuto della richiesta stessa. Vuoi le nozze gay? Il premier
David Cameron ha già dato responso positivo. Vuoi la fecondazione artificiale?
Ti confezioniamo una legge ad hoc. Vuoi accedere alla provetta magica anche tu
che sei single e pure omosessuale? Per un frainteso principio di non
discriminazione nulla osta a questa richiesta. Vuoi essere il terzo genitore
perché pensi che tre è meglio di due? La Royal Courts of Justice di Londra è
del tuo stesso parere e ti accontenta.
Qui siamo ben oltre la tesi
kantiana che il diritto deve mediare tra i differenti e spesso non coincidenti
desiderata dei consociati. Qui siamo alla sovrapposizione delle pretese di
ciascuno, all’affastellamento caotico di ogni richiesta: per non scontentare
nessuno si distribuiscono i diritti a tutti come fossero caramelle. E se il
buon senso ci dice che un figlio non può avere tre genitori poco importa, tanto
peggio per i buonsensisti.
Tutto questo a patto che le
richieste ovviamente provengano da persone adulte vaccinate e capaci di
intendere e volere. Perché se non sei ancora nato oppure gattoni solamente la
musica cambia per te. Infatti in questa storia paranormale, in questa trama
degna di una piece teatrale dell’assurdo c’è una clamorosa dimenticanza che
riguarda l’attore principale: il figlio. Distribuiamo diritti a tutti eccetto
che a lui. Il nascituro non è persona, né soggetto di diritti, tra cui c’è
quello di nascere in una famiglia normale. Lui non è soggetto bensì oggetto dei
desideri altrui, oggetto perché trattato come una cosa, reificato dal contratto
come fosse un’auto da vendere e dalla fecondazione artificiale, merce di
scambio nella lite giuridica. Un figlio con una madre di ricambio e un padre
accessorio, un figlio a cui si dovrà spiegare il mistero del perché mamma e
papà non si amano, ed invece mamma 1 e mamma 2 sì.
La vicenda però è così anomala
che procedendo da stranezza verso stranezza per paradosso fa emergere alcune
verità antropologicamente inoppugnabili che hanno il salubre sapore della normalità.
Primo: anche se sei lesbica la pulsione verso la maternità è insopprimibile. E
la maternità, se la logica non è un’opinione, fa a pugni con l’omosessualità.
Infatti per essere madre non c’è nulla da fare: ti devi trovare un maschio,
cioè un essere umano eterosessuale rispetto a te donna. L’omosessualità non
basta a se stessa in tema di maternità. Tanto è vero che la coppia stessa di
donne ha dovuto ammettere che pur essendo omosessuali si sentono “tradizionali”
e vogliono avere un figlio. Detto in altri termini: puoi inventarti qualsiasi
bizzarria affettiva e familiare ma la natura umana con le sue esigenze scolpite
a lettere di fuoco nel cuore continuerà a richiamarti ai tuoi compiti naturali,
tra cui essere madre.
Lo stesso dicasi per il maschio omosessuale
che ha preteso di stare con il proprio figlio, di giocare con lui, di
parlargli, di tenergli la mano. Tutte cose da padre, tutte cose che
appartengono al ruolo del maschio quando diventa genitore. Certo sussiste la
contraddizione: l’ometto in questione vuole far valere i diritti naturali di
padre biologico proprio lui che rivendica una condizione innaturale
nell’orientamento sessuale. Ma nella contraddizione si aprono inaspettati
varchi di normalità. A furia di capitomboli quasi quasi ci ritroviamo in piedi.
A ben vedere, per essere
provocatori sino alla fine, la sentenza inglese ha fatto bene a pronunciarsi
così. Non si tratta forse – oseremmo dire – di un tentativo seppur maldestro di
rimettere ordine in una situazione di sua caotica? L’assetto naturale delle
cose esigerebbe che il figlio crescesse con i genitori naturali, cioè la madre
lesbica e il padre omosessuale. Il giudice – sebbene non escluda dal menage
familiare la compagna della madre – fa rientrare in casa, non proprio dalla
porta principale ma dalla finestra, il genitore maschio e quindi in un certo
qual modo tenta di inserire in questo quadretto familiare in stile cubista la
figura ineludibile del padre. Insomma fatto il danno perlomeno la sentenza ha
provato a metterci una pezza, anche se le note stonate rimangono più di una.
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