TUTELA DELLA VITA - Il cardinale Dolan: no al piano Obama sull'aborto
«gratis» di Elena Molinari, 23 marzo 2012, http://www.avvenire.it
Una battaglia che avrebbe
preferito non intraprendere, ma che ha abbracciato in nome della libertà di
religione e in difesa della possibilità della Chiesa di aiutare i bisognosi. Il
cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza
episcopale statunitense, sottolinea con fervore la necessità di esonerare
ospedali, parrocchie e associazioni caritatevoli cattoliche dall’obbligo di
fornire ai propri dipendenti una gamma di servizi sanitari che comprendono
aborto, sterilizzazione e contraccezione. E si accalora nel descrivere quanto
il popolo cattolico si stia ribellando all’idea di imposizioni di stampo
statalista sull’operato della organizzazioni benefiche cattoliche. È un
ulteriore esempio di come i temi bioetici siano balzati in primo piano in
quest’anno elettorale e di come i cattolici americani non esitino a esigere
chiarezza sui temi morali dai propri candidati e rappresentanti e a sfidarli
nell’arena pubblica quando la chiarezza viene meno.
Cardinale Dolan, ci ricorda come
è cominciata questa battaglia?
È cominciata il 20 gennaio
scorso, quando il presidente Obama ha annunciato che gli obblighi legati alla
nuova legge sulla sanità, imposti dal dipartimento competente, sarebbero
rimasti per tutti, senza eccezioni e senza possibilità di obiezione di
coscienza. In quel momento sono rimasto choccato. Il presidente mi aveva
personalmente assicurato che non avrebbe fatto nulla per intralciare l’opera
della Chiesa nel campo di sanità, istruzione e carità, e che considerava la
protezione dell’obiezione di coscienza un dovere sacro.
Come ha reagito il popolo
cattolico?
Immediatamente, un grandissimo
numero di persone di tutte le fedi, non solo cattolici, ha cominciato a
manifestare la sua protesta. La preoccupazione che noi vescovi abbiamo
espresso, cioè che tale controllo governativo è contrario ai nostri valori più
profondi, è stata subito sostenuta in modo eloquente da costituzionalisti e
leader di ogni credo. Anche molti giornali hanno pubblicato editoriali in cui
si esprime sostegno. E, infatti, l’Amministrazione ha fatto sapere che avrebbe
ripreso in esame la questione... Salvo poi, il 10 febbraio, annunciare il
trasferimento alle assicurazioni sanitarie dell’obbligo di pagare aborti,
sterilizzazioni e contraccezione che le nostre istituzioni sarebbero costrette
a offrire ai propri dipendenti. Ci è stata presentata come una concessione
significativa, e noi vescovi abbiamo preso sul serio la parola del presidente.
Prima di pronunciarci, abbiamo quindi studiato a lungo le implicazioni della
proposta. Ma al termine di questo scrutinio, rimaniamo fortemente preoccupati.
Perché?
Da un lato, non si fa cenno al
fatto che questa misura viola comunque la libertà di religione, né ci è stato
garantito che sarà tolto al dipartimento della Sanità il diritto di definire
che cosa possiamo fare e quali organizzazioni possono essere definite
religiose. In secondo luogo, le nostre istituzioni non fanno ricorso ad
assicurazioni sanitarie, ma pagano direttamente le cure dei propri dipendenti:
la correzione perciò non fa nessuna differenza. Per questo siamo ancora
preoccupati. Ci sono più domande che risposte, abbiamo più confusione che
chiarezza.
Che cosa farete ora?
Continueremo a fare informazione.
Continueremo a fare leva sulla preoccupazione e l’impegno dei cittadini.
Sfortunatamente, la compattezza del fronte cattolico è stata parzialmente
compromessa da chi pensa che il presidente abbia accolto le nostre richieste e
che ora possiamo stare tranquilli. Ogni cattolico è libero di pensarla così, ma
spero anche che ascolti le parole dei suoi pastori, i quali sono ancora alla
ricerca di una soluzione. D’altra parte, continueremo a cercare di spezzare,
per via legislativa o legale, le catene degli obblighi che oggi ci chiedono di
violare le nostre convinzioni morali. O almeno cercheremo di ottenere esenzioni
più ampie e di estendere le definizioni rigide e ristrette di
"Chiesa" e di "ente ecclesiastico", definizioni che ci
impedirebbero di aiutare i bisognosi, educare i bambini e curare i malati nel
caso non siano cattolici.
Pensa che ci sia ancora spazio
per il dialogo con l’Amministrazione?
Il presidente ci ha invitati a
«smussare gli angoli» e abbiamo preso sul serio la sua richiesta.
Sfortunatamente, il dialogo non sembra portare da nessuna parte. Il portavoce
della Casa Bianca, ad esempio, ha spiegato alla nazione che l’obbligo di
inserire aborto, sterilizzazione e contraccezione nei piani sanitari di
associazioni, ospedali e scuole legate alla Chiesa costituisce un dato di
fatto. Non è incoraggiante che contestualmente abbia sostenuto che i vescovi
sono comunque contrari alla riforma sanitaria di Obama, un’accusa falsa e
offensiva. Ha anche detto al Congresso che tali obblighi devono essere recepiti
«senza modifiche». E un recente incontro fra vescovi e lo staff del presidente
si è concluso con un nulla di fatto. L’Amministrazione sembra convinta che i
vescovi abbiano perso il contatto con la loro gente, tanto da potersi
sostituire a noi nel dire ai cattolici in che cosa credere.
Non è così, immagino.
In tutta l’arcidiocesi di New
York la gente è stata molto attiva nel far sapere al governo che si sente a
disagio di fronte a questi tentativi di limitare la libertà di religione e la
sacralità delle convinzioni che facciamo nostre sia come cattolici sia come
americani. I fedeli sono stati una fonte d’ispirazione per tutti noi. Non hanno
mai smesso di sperare, pregare e darsi da fare. E non si tratta nemmeno di una
battaglia puramente cattolica. Un’infermiera di Harrison, nell’arcidiocesi, mi
ha mandato una email dicendosi offesa più come americana che come come
cattolica. Ed è stato un pastore battista, il governatore Mike Huckabee, a dire
che in questa vicenda «siamo tutti cattolici». È una questione di libertà
religiosa, il diritto sacro, protetto dalla Costituzione, che ogni Chiesa ha di
specificare i propri insegnamenti.
I vescovi faranno ricorso ai
tribunali?
Il Congresso ci offre ancora
qualche speranza. Alcuni parlamentari hanno promesso norme a protezione della
libertà religiosa. I tribunali rappresentano comunque fronte più promettente.
La Corte Suprema di recente ha difeso con forza e all’unanimità il diritto di
una Chiesa a definire i propri servizi. Per questo i vescovi e molti enti
religiosi stanno lavorando con alcuni dei migliori avvocati d’America, che si
sono così appassionati alla nostra causa da volerci rappresentare pro bono
(senza costi). Alcuni ci hanno proposto di interrompere i nostri servizi
sociali. Altri ci invitano a usare le armi della disobbedienza civile. Altri
ancora ci spiegano che l’unica via d’uscita è la sospensione della copertura
sanitaria ai nostri dipendenti, una strada che però non vogliamo percorrere.
E nel frattempo che cosa faranno
le organizzazioni legate alla Chiesa?
Quello che hanno sempre fatto.
Curare i malati, insegnare ai giovani, aiutare i poveri. E devo dire che lo
fanno bene, spesso con l’appoggio del governo. La Chiesa cattolica ha una lunga
tradizione di collaborazione con le istituzioni federali, statali e locali.
Preferiremmo continuare a essere alleati piuttosto che in conflitto.
In questo dibattito, la Chiesa è
stata dipinta come retrograda, lontana dai bisogni reali delle donne. Come
risponde?
Con i fatti. Noi vescovi di New
York sosteniamo un’agenzia chiamata Fidelis, che fornisce assicurazione
sanitaria alle persone con basso reddito. Siamo il maggior fornitore di sanità
gratuita o a basso costo dello Stato. Un medico mi ha detto che Fidelis è il
principale ente assicuratore in assoluto per le donne e per i bambini. E ci
sono molti altri esempi che lo dimostrano.
Ce ne faccia qualcuno.
Un paio d’anni fa visitai un
carcere femminile. Il direttore mi chiese se volessi recarmi anche nell’ala
riservata alle donne in gravidanza e alle neomamme. Fui molto felice di vedere
quali eccellenti e premurosi servizi ricevevano le donne e i loro bambini, e
com’era sereno l’ambiente in cui risiedevano. Quando dissi al direttore del
penitenziario che gli ero grato per quell’impegno, mi rispose: «Non deve
ringraziare me, è un servizio della Caritas». Capisce allora perché i cattolici
scalpitano quando sentono politici e commentatori definire la Chiesa
«insensibile alla salute delle donne»? È una tattica di comunicazione per
sviare l’attenzione dal problema della libertà religiosa. Ma non per questo
siamo sulla difensiva. Non chiediamo nessun trattamento preferenziale. Vogliamo
soltanto che il governo ci lasci continuare a servire, insegnare, sfamare,
curare, sostenere. E siamo orgogliosi che la nostra casa terrena, l’America,
abbia sempre considerato sacra la libertà di farlo.
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