Non capisco ma mi fa ribrezzo di Arnaldo Benini, 25 marzo 2012, http://www.ilsole24ore.com/
Il disgusto è l'unica sensazione
che comprende il mondo fisico e la morale. È un rompicapo epistemologico
indagato dalla psicologia, dal l'antropologia culturale, dalle neuroscienze
cognitive, dalla biologia evoluzionistica, dalla filosofia della mente, recentemente
anche da igienisti e da specialisti in malattie tropicali. I bambini, fino a
3-4 anni, si mettono in bocca tutto e non provano disgusto per nulla. Il
bambino (come la scimmia) sputa fuori qualcosa che non gli piace, non perché lo
disgusta. Non s'insegna il disgusto, che è connaturato a meccanismi nervosi
ereditari dell'auto-coscienza. Sorge quando i meccanismi sono maturi. Gli
animali – privi d'autocoscienza – non lo provano. Il disgusto fisico è
un'emozione selettiva mediata dagli organi di senso, tranne l'udito. I centri
uditivi non sono collegati ai meccanismi che trasmettono il disgusto alla
coscienza. Il disgusto socioculturale si manifesta quando si sono consolidati
principi, convinzioni, pregiudizi, abitudini, ma anche ossessioni e fanatismi.
La differenza dal disprezzo e
dall'indignazione non è sempre netta, perché i meccanismi nervosi sono in parte
comuni. Le variazioni nel tempo e nello spazio e da persona a persona
dimostrano che il posto del disgusto fra natura e cultura è ambiguo. Charles
Darwin si stupiva che la sbrodolatura di una minestra sulla barba sia
disgustosa, mentre la barba e la minestra non lo sono. Lo stesso succede con
resti di cibo sulle labbra o sul mento. Per molti francesi le lumache sono
Delikatessen, ma parte dell'umanità non se ne metterebbe una in bocca a nessun
costo. Il progetto di clonare esseri umani, ventilato dopo l'esperienza con la
pecora Dolly nel 1997, provocò un orrore universale. Si parlò di «saggezza del
disgusto», ma il disgusto sociomorale non è una guida dell'etica.
In molte persone l'osservazione
di gente drogata, ubriaca e trasandata attiva i centri nervosi del disgusto e
della paura, mentre la corteccia della riflessione è attiva come davanti a un
mucchio di rifiuti. Il disgusto può spegnere i meccanismi nervosi dell'empatia
e della compassione.
Il disgusto fisico ha
un'espressione facciale universale, dovuta forse all'insula (area del lobo
temporale) di sinistra: fronte corrugata, bocca appena aperta, occhi stretti,
arricciamento del naso e del labbro superiore, talvolta il movimento di
sputare. L'insula di destra provocherebbe, attraverso l'ipotalamo, le
manifestazioni somatiche del disgusto fisico, raramente di quello morale:
pallore, sudore, tremito, nausea, vomito, sincope, comuni a emozioni molto
forti.
Due studi fondamentali sul
disgusto risalgono alla metà del XIX secolo e al 1929. La fisiologia, a quel
tempo, lo considerava una reazione a cibi amari o troppo salati. Charles Darwin
ne parla nell'Espressione delle emozioni, senza troppe distinzioni dal
disprezzo e dal disdegno. Nel 1852 Karl Rosenkranz, allievo di Hegel, nel
capitolo Das Ekelhafte (il disgustoso) dell'Estetica del brutto, definisce il
disgusto la deformazione delle forme in seguito a putrefazione fisica o morale.
Disgustosi sono prodotti della natura organica (sudore, escrementi, vomito,
catarro, saliva, alito pesante, ulcerazioni, cadaveri in putrefazione), mai
della natura inorganica (tranne la sporcizia). Disgustosi ci appaiono stagni
pieni di piante marce e corpi in putrefazione, e gli animali che lì si nutrono:
topi, vermi, ratti, rospi, scarafaggi. Il cattivo odore potenzia il disgusto.
Nel 1929 l'ungherese esule a Vienna Aurel Kolnai pubblicò nella rivista di
Edmund Husserl Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung un
saggio sulle sensazioni ostili (disgusto, alterigia, odio), la prima parte del
quale è dedicata al disgusto. Il disgusto fisico è considerato una reazione
istintiva di difesa, anche se ciò che è disgustoso non è sempre pericoloso. Un
lumacone può apparire repellente, ma non è pericoloso; il fuoco, i terremoti,
le valanghe non sono disgustosi. Tutto ciò che è fisicamente disgustoso,
osserva Kolnai, striscia come i rettili, secerne, s'insinua, s'annida. Il suo
massimo, dice McGinn, è provocato da vermi che strisciano e insetti che
zampettano nei corpi in putrefazione, perché danno alla morte una sinistra
apparenza di vita. È tanto più intenso, osserva McGinn, quanto più la sua causa
è vicina alla bocca. Con i piedi si osa, infatti, toccare qualcosa che con le
mani non si toccherebbe mai. La forma sociomorale, per Kolnai, non si riferisce
solo a perversioni sessuali, ma alla mancanza di carattere, alla viltà, al
tradimento, alla corruzione, alla menzogna, a ogni forma d'eccesso (come
l'ingordigia e i complimenti esagerati), anche se si tratta spesso di disprezzo
o d'indignazione, che, a differenza del disgusto, sono più razionali e
meditati. Il disgusto non spegne l'amore: chi ama una persona che per malattie
e infermità perde il controllo del corpo, non cambierà per questo sentimento e
comportamento. Chi, per professione, si occupa di aspetti negativi del corpo
(medici e infermieri, ad esempio), è motivato, dice Kolnai, dall'etica del suo
compito. Chi non la sente, cambia mestiere. Sono usciti ora due lavori sul
significato evolutivo e morale del disgusto. Colin McGinn, autore d'opere di
filosofia della mente, è ossessionato dal corpo, fonte inesauribile di
materiali disgustosi. Egli condivide l'opinione dello psicologo leader in
questo campo, Paul Rozin, che il disgusto nasce dall'orrore dell'uomo per la
sua animalità, vale a dire per il suo corpo, e dall'orrore della morte. Parole
in libertà. Fin quando il corpo funziona, la coscienza non prova disgusto, e se
il corpo s'ammala non è disgusto quel che sente. Lo scheletro umano senza
muscoli non provoca disgusto. Alla ricerca del suo significato evolutivo,
McGinn suppone che gli ominidi maschi antichi fossero dediti alla necrofilia e
alla coprofagia. Per proteggere la specie, la natura avrebbe selezionato
meccanismi di disgusto verso cadaveri ed escrementi.
Il filosofo Daniel Kelly sostiene
che il disgusto ebbe, originariamente, molti scopi, mentre oggi è legato a
tante norme sociomorali da aver perduto significato. Ciò che provoca disgusto
morale o sociale non è necessariamente immorale o asociale. Se Nietzsche
reagiva a chi gli aveva mandato, credendo di fargli piacere, pubblicazioni
antisemitiche con: Ekel (schifo), Ekel, Ekel, è anche vero che il disgusto è
parte del razzismo e dell'avversione per il diverso. Per Kelly il disgusto
fisico e sociomorale è un'emozione, a volte intensa, che non trasmette nessun
valore e nulla di conoscitivo alla coscienza. Le neuroscienze cognitive hanno
trovato che, pur con una base comune, nel disgusto fisico sono attive le aree
prevalentemente emotive, mentre in quello sociomorale prevalgono i meccanismi
della riflessione. È verosimile che il disgusto fisico, come sostiene McGinn,
abbia salvato l'umanità dei bestioni tutti ferocia e stupore (come li chiamava
Vico) da comportamenti eccessivi non ancora controllati dalle aree cerebrali
della razionalità. L'evoluzione culturale gli ha tolto il significato evolutivo
che aveva milioni d'anni orsono. La coscienza sente il disgusto, ma, come per
tutti i suoi contenuti, non riesce a capirne la natura. Il disgusto fisico non
seleziona sempre il pericolo e quello sociomorale non serve a distinguere il
bene dal male.
Tre lavori recenti sul disgusto
come mezzo inconscio per prevenire malattie (http://bit.ly/wV7y17) nulla
tolgono che esso è un rimasuglio di tempi remoti, che condiziona la vita e la
storia senza che se ne capisca il significato.
Daniel Kelly, Yuck! The Nature and
Moral Significance of Disgust, Mit Press,
Cambridge (Mass)-London (Uk),
pagg. 194, $ 25,00;
Colin McGinn, The Meaning of
Disgust, Oxford University Press,
Oxford-New York, pagg. 248, $ 27,00;
Aurel Kolnai, On Disgust, Open Court Chicago
& La Salle, pagg. 130, $ 16,00;
Karl Rosenkranz, «Ästhetik des Häßlichen»,
Reklam, Stuttgart,
pagg. 496, € 14,00 (Ediz.
italiana,
Estetica del brutto, Aesthetica,
Palermo, pagg. 312, € 28,00);
Jana Schaich Borg et al., Infection,
Incest, and Iniquity: Investigating
the Neural Correlates of Disgust and Morality,
«Journal of Cognitive Neuroscience», 20 (9), 1529-1546, 2008
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