Quando le idee personali diventano sentenze, Il verdetto 2007 sul caso Englaro
e quello recente sulle «famiglie» formate da persone dello stesso sesso: molti
i punti in comune tra due decisioni «creative» firmate dalla stessa sezione
Civile della Cassazione, col medesimo presidente, di Tommaso Scandroglio,
Avvenire, 22 marzo 2012
Il magistrato Maria Gabriella Luccioli,
presidente della prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, ha avuto gli
onori della cronaca per due vicende giudiziarie: il caso Englaro e quello
recente di due cittadini italiani omosessuali che avevano contratto
"matrimonio" all’estero e che chiedevano allo Stato italiano di riconoscere
tale vincolo anche da noi. Cos’hanno in comune questi due casi apparentemente
così diversi? In entrambe le controversie il giudice ha legittimato condotte o indicato
soluzioni giuridiche in netto contrasto con la normativa vigente, quindi è come
se avesse creato leggi ad hoc.
Infatti nel caso del
"matrimonio" omosessuale la sentenza della Cassazione, pur rigettando
correttamente il ricorso, stabilisce che le coppie omosessuali possono pretendere
«un trattamento omogeneo a quello assicurato alla legge alla coppia coniugata».
Ciò a voler dire che le coppie omosessuali, senza nemmeno aspettare una legge che
ne certifichi l’unione di fatto, possono reclamare gli stessi diritti delle
coppie sposate. Ma il nostro ordinamento a oggi non equipara il matrimonio alla
convivenza, tanto meno a quella tra due persone dello stesso sesso. Richiamando
poi una sentenza del 24 giugno 2010 della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu)
la Cassazione afferma che il diritto a sposarsi è diritto fondamentale
appartenente al singolo in quanto uomo e quindi predicabile anche a favore
della persona con tendenze omosessuali. Ma così non è. Alcuni diritti vengono a
concretarsi con l’esistere dell’uomo: vita, salute, libertà... E sono i veri
diritti fondamentali. Altri al verificarsi di alcune condizioni. La titolarità
del diritto di matrimonio si può predicare solo al verificarsi di alcune
condizioni – capacità di intendere e volere, libertà di stato, non consanguineità,
età (cfr. dall’84 all’88 Codice civile) – tra cui la diversità di sesso (Codice
civile: 107, 108, 143, 143 bis, 143 ter, 156 bis; Dpr 396 del 2000, l. 898/70;
l. 74/87). Non basta appartenere alla specie dell’homo sapiens sapiens per potersi
sposare.
Il rimando alla Cedu poi
prosegue: questa interpreta alcune norme convenzionali e comunitarie in modo
favorevole al "matrimonio" omosessuale. La Cassazione afferma che
queste norme così interpretate, attraverso leggi di ratifica italiane, «sono
già da tempo entrare a far parte integrante dell’ordinamento giuridico
italiano». Peccato che sia la Cedu nella sentenza citata, sia la nostra Corte
Costituzionale (138/2010), sia l’articolo 27 legge 218/95 hanno ribadito che
esiste competenza esclusiva del governo nazionale sulla materia "matrimonio".
Dunque nessun trattato o organismo sovranazionale può imporre le
"nozze" gay agli Stati.
Stessa musica per il caso
Englaro. La Corte nel 2007 affermò che è legittimo interrompere le cure «quando
la condizione di stato vegetativo sia [...] irreversibile». Ma quale legge
dispone che una condizione di invalidità permanente legittima a interrompere le
cure? Nessuna. Il rifiuto delle cure poi per la Corte può essere desunto dagli «stili
di vita». Peccato che le nostre norme dicano l’opposto: l’unico I rifiuto di cure, anche salvavita, valido
dal punto di vista giuridico è quello espresso dal diretto interessato in modo
cosciente, attuale, formale e dopo che ha ricevuto idonee informazioni dal medico.
Da ricordare inoltre che il consenso a essere uccisi, esplicito o presunto che
sia, configura sempre reato (579 cp, 580 cp, 575 cp).
Com’è noto i magistrati attribuirono
al tutore Beppino Englaro il potere di staccare la spina. Ma l’articolo 357 del
Codice civile dispone che il tutore debba agire sempre nell’esclusivo interesse
dell’incapace, e i diritti personalissimi come quello della vita sono
inalienabili (articolo 2 Costituzione), quindi non ci può essere rappresentanza
in merito a questi da parte del tutore. Conclusione: l’approccio creativo delle
due sentenze, costrette dalla mancanza di puntelli normativi interni a
richiamare spesso norme o sentenze straniere non cogenti per il nostro
ordinamento, mira a far passare propri convincimenti personali come leggi dello
Stato.
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