Persone Down, l’accoglienzafa superare la disabilità, 21 marzo 2012, Avvenire.it
Luca, 13 anni, è croce e delizia
di mamma e papà e dei suoi fratelli, il più grande di 15 e il più piccolo di 6.
E lui in mezzo, con la sua inguaribile voglia di vivere, divertirsi, smanettare
sul computer come ogni altro suo coetaneo. E poi le sue caparbietà, «tipiche
dei ragazzini come lui – spiega il padre, Mauro Di Renzi, romano, maestro di
pianoforte come sua moglie Antonella –: sono dei bei testoni e se si impuntano
nessuno riesce a fargli cambiare idea...».
Che Luca fosse un "bambino
Down" i genitori lo hanno scoperto due settimane dopo la nascita, quando
la mappatura genetica ha dato certezza ai dubbi del genetista. Quel giorno per
mamma Antonella è nata la croce: «Mia moglie ha fatto tanta fatica, non
accettava il verdetto dei medici. Luca è arrivato a casa un mese dopo la
nascita e quel mese è stato terribile: per non vederlo, si toglieva il latte,
me lo affidava e io andavo al Bambino Gesù di Roma dov’era ricoverato a
portarglielo...». Pian piano però, grazie anche alla preghiera, dopo la croce è
arrivata la delizia, in senso stretto, «perché oggi guai a chi glielo tocca.
Luca è la sua perla, la punta di diamante, la benedizione scesa su questa
casa».
Oggi che il mondo celebra la
Giornata per la sindrome di Down è la festa di Luca e di tutti i bambini e gli
adulti come lui, ma nelle loro case la fatica da portare avanti resta la
stessa. «Luca è un ragazzino che sta bene e ama la vita, nonostante le
problematiche tipiche della sua situazione – continua a raccontare il padre,
circondato dai tre figli, mentre si occupa del piccolo e della cena in attesa
che la moglie torni dal lavoro –. A 13 anni frequenta la prima media perché all’asilo
lo abbiamo fermato, mentre dalla prima elementare in poi ha sempre proseguito
senza interruzioni, perché è fondamentale per l’integrazione scolastica che
proceda con lo stesso gruppo classe».
È un ragazzino sveglio, che
comprende bene tutto ciò che gli accade intorno e sa farsi capire come pochi
altri, «anche se le sue difficoltà sono nell’espressione verbale... diciamo che
parla una lingua tutta sua e che io e la mamma siamo i migliori traduttori». Il
suo piccolo cuore malato ormai procede bene, «oggigiorno basta un day hospital
all’anno». Ma in passato non era così: al sesto mese di gravidanza un’ecografia
non rivelò la "trisomia 21", ovvero la sindrome di Down, ma una forma
gravissima di cardiopatia, tale per cui i suoi genitori sapevano che dopo la
nascita sarebbe stato operato «e che forse sarebbe tornato immediatamente dal
Creatore». Invece «la cardiopatia era meno grave e a undici mesi di vita fu
operato. Ma si trattava di una forma legata quasi sempre alla sindrome di Down.
Gli esami successivi lo confermarono...».
Ed è lì che la preghiera e la
fede assumono un ruolo vitale. «Io, che da giovane ero ateo convinto, a 29 anni
avevo avuto una forte conversione, mentre mia moglie era sempre stata vicina
alla Chiesa. Ci sposammo e anni dopo, quando nacque Luca, il cammino di fede si
intensificò». E ancora oggi prosegue, perché «non si arriva mai, non si
raggiunge un traguardo per poi sedersi e riposare, non funziona così –
testimonia –, la fede si conquista quotidianamente».
La nascita di un figlio che è
croce e delizia può anche farla vacillare, «ma Antonella non si è mai sentita
giudicata da me o da altri per quel suo rifiuto iniziale, e ciò l’ha aiutata
molto, così come la rete di amici, che ci sono stati vicini. Con Dio accanto
persino la sofferenza è avvicinamento alla croce, ma siccome è tanto pesante da
portare ci vuole qualcosa che la illumini, che ti dica che quella croce è una
grazia, non una condanna». E la benedizione di un figlio come Luca può essere
proprio quella luce inaspettata.
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