FISICA/ Alla fine la materia oscura uscirà da una caverna del South
Dakota Nicola Sabatini, giovedì 29 marzo 2012, http://www.ilsussidiario.net/
Verso la fine del XIX secolo il
mondo scientifico si esaltava per gli straordinari progressi teorici che si
andavano ottenendo, tanto che qualche illustre scienziato si sentì l’impudenza
di affermare che in pochi anni la fisica “sarebbe finita”, intendendo con
questo l’idea che si era prossimi a definire tutto: che qualsiasi fenomeno,
cioè, sarebbe risultato spiegabile a partire dai concetti e dalle leggi che si
stavano scoprendo e inquadrando nella nuova cornice teorica. Poi arrivò Max
Planck con la sua spiegazione della radiazione di corpo nero e la fondazione
della meccanica quantistica, e dopo di lui altre scoperte e altre intuizioni.
La realtà insomma si prese gioco in poco tempo dello strano delirio di
onnipotenza di alcuni. Da allora il cammino della fisica è stato imprevedibilmente
ricco e vario, e non ha mancato di dispensare sorprese le più impensabili:
affermare una qualche fine della fisica appare ormai assai poco rispondente
alla realtà delle cose.
Uno degli esempi di questo
sorprendente rinnovamento e del continuo ampliamento delle conoscenze che gli
scienziati hanno potuto sperimentare nel XX secolo è sicuramente la scoperta
della materia oscura, la famosa massa mancante dell’Universo, che lo pervade e
lo attraversa in ogni dove. La natura della materia oscura è ancora misteriosa
e molti sono gli esperimenti ideati e realizzati per individuare le particelle
di cui essa sarebbe composta.
Si sa che le particelle che
dovrebbero comporre la materia oscura possono essere di due nature:
relativistica, cioè particelle che si muovono a velocità della luce e
possiedono una massa piccolissima o non ne possiedono per niente, oppure non
relativistica, cioè particelle “lente” con masse anche grandi.
Nella prima delle due categorie
rientrano i famosi neutrini, mentre nella seconda trovano spazio le cosiddette
WIMPs, acronimo per Weakly Interactive Mass Particles: sono particelle dotate
di una massa anche centinaia o migliaia di volte il protone e che interagiscono
con la materia normale solo sulla base dell’attrazione gravitazionale. La loro
velocità è molto bassa, pari a qualche centinaia di chilometri al secondo, e
sembra si ammassino intorno ai centri di attrazione gravitazionale o nelle
stelle. L’acronimo non è casuale, in quanto wimp in inglese significa timido,
non aperto, non avventuroso: una persona che interagisce debolmente con
l’ambiente che lo circonda, per l’appunto. Le WIMPs sono fondamentali nello
studio della materia oscura perché si pensa che ne costituiscano pressoché la
totalità, dopo che pochi anni fa ci si è resi conto che il candidato principale
-il neutrino- non poteva coprirne che una piccola percentuale.
Nel Modello Standard, il modello
teorico che sistematizza tutte le particelle esistenti e le interazioni fra di
esse, non è prevista l’esistenza di WIMPs: l’ipotesi che esistano nasce da una
classe di teorie che espandono il Modello Standard chiamate Teorie delle
Superstringhe. Esiste in Italia un importante esperimento per la rilevazione
delle WIMPs nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS), l’esperimento
D.A.M.A.
Come ai LNGS, ci sono altri
luoghi nel mondo che si stanno attrezzando per la rilevazione delle WIMPs: uno
di questi luoghi è la Davis Cavern dei Sanford Laboratories di Homestake, nel
South Dakota (Usa). La caverna è un antro a circa 1450 metri sotto la
superficie: questo spesso strato di terra e roccia garantisce che i rivelatori
dell’esperimento LUX (Large Underground Xenon) che verrà ospitato nella Davis
Cavern siano “liberati” dalla presenza dei raggi cosmici.
Gli esperimenti come LUX
consistono spesso in grandi camere contenenti un liquido poste sotto
osservazione di decine e decine di rivelatori -LUX per la precisione possiede
122 tubi fotomoltiplicatori- che catturano ogni possibile traccia di radiazione
rilasciata dall’interazione fra le particelle e i nuclei degli atomi che
costituiscono il liquido, arrivando a rilevare anche il singolo fotone. LUX
come dice l’acronimo, contiene Xenon liquido al suo interno, per la precisione
350 Kg. La camera contenente lo Xenon e i rivelatori è immersa in una grande
camera di forma cilindrica di 8 metri di diametro e alta 6 contenente 300
tonnellate di acqua. L’acqua riduce il fondo di raggi gamma di origine cosmica
di sette ordini di grandezza. Lo strumento è inoltre raffreddato a poco più di
100 gradi sotto zero, temperatura alla quale lo Xenon si liquefà.
Le caratteristiche di LUX ne
fanno l’esperimento più preciso mai concepito per lo studio della materia
oscura. Ma la storia di LUX è ancora di là entrare nel vivo, in quanto lo
strumento è stato sì realizzato nell’ultimo anno, ma nei laboratori in
superficie, mentre si stavano ultimando le operazioni di messa a punto della
Davis Cavern per poterlo ospitare.
Adesso gli scienziati, 75
ricercatori da tutto il mondo, hanno iniziato le operazioni di smontaggio dello
strumento, e inizieranno a breve quelle di trasporto e rimontaggio nel sito
definitivo, cioè a quasi un chilometro e mezzo sotto terra. Lo strumento
dovrebbe essere operativo per la fine del 2012. «È molto eccitante -racconta
James Verbus, dell’Università del Rhode Island, che collabora al progetto-: ho
lavorato personalmente a questo esperimento per due anni come studente non
laureato e tre come laureato. Siamo molto ottimisti di come andrà sulla base
dei risultati ottenuti: tutto è andato per il meglio e siamo molto confidenti
di riuscire a fare quello che ci siamo prefissati».
E, come insegna la storia della
fisica delle particelle, gli imprevisti e le novità non mancheranno di sicuro.
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