La Trisomia 21? E' un uomo di Raffaella Frullone, 21-03-2012, http://www.labussolaquotidiana.it
Nel 1972, in Francia, una prima
proposta di legge, chiamata “proposta Peyret”, apre il dibattito sull’aborto.
Secondo la legge del 1920, in quel momento ancora in vigore, le persone che
praticano l’aborto sono perseguibili penalmente. La proposta di legge Peyret
concerne esclusivamente i bambini che prima della nascita sono dichiarati già
portatori di handicap. Perché lasciar vivere individui che saranno infelici e
infelice renderanno anche la loro famiglia?
L’ironia della sorte prende a
volte cammini dolorosi: due uomini hanno fatto ciascuno una scoperta
fondamentale che, sperano, farà progredire la medicina e progettare seriamente
la guarigione del malato. Uno è il professor Liley, originario della Nuova
Zelanda, che inventa una tecnica di diagnosi prenatale. Spera che si potrà
finalmente individuare e curare più precocemente i bambini malati. L’altro è
mio padre che ha scoperto la causa della Trisomia 21 e cerca ogni mezzo per
curare tale malattia. Anche lui è con vinto che bisogna curarla il più presto possibile,
in utero.
I due uomini si conoscono e si
stimano. Impotenti, assisteranno allo snaturamento delle loro scoperte.
L’amniocentesi e il cariotipo apriranno in fatti la via scientifica per
eliminare prima della nascita gli “indesiderabili”: le loro scoperte sono
deviate dall’obiettivo iniziale. “Dossier sul lo schermo”, una trasmissione che
al l’epoca aveva grande audience, solleva per la prima volta nel corso di un di
battito televisivo il problema del l’aborto per i bambi ni che già prima di
nascere presentano un qual che handicap. E in quel momento l’unico handicap
riconoscibile prima della nascita è la trisomia.
I genitori vivono con
apprensione, qua si fosse una caccia al trisomico: «Che ha fatto di male il mio
ometto perché sopprimano quelli come lui?». Un giorno un ragazzo trisomico di
dieci anni si presenta al lo studio. Piange ed è inconsolabile. La mamma
spiega: «Ha vi sto con noi il dibattito di ieri sera». Il ragazzo getta le
braccia al collo di papà e dice: «Voglio no ucciderci. Ci devi di fendere. Noi
siamo troppo deboli, non sappiamo farlo da soli».
Da quel giorno papà difenderà
anima e corpo la causa dei nascituri.
A scrivere queste parole è Clara
Gaymard Lejeune, figlia del genetista Jérôme (1926-1994), per il quale il prossimo 11 aprile si
concluderà la chiusura del processo diocesano della causa di beatificazione e
canonizzazione. Questo paragrafo,
contenuto nel libro La vita è una sfida, edito in Italia da Cantagalli (pagine
164, prefazione di Carlo Casini) spiega come la scoperta da parte di Lejeune
dell’origine cromosomica della Trisomia 21, responsabile della Sindrome di
Down, sia indissolubilmente allacciata al dibattito sull’aborto, ancora oggi
troppo spesso considerato l’anti terapia per eccellenza di una malattia che si preferisce
non dover curare o affrontare.
Ad esempio si prenda la giornata
di oggi: la prima giornata mondiale dedicata alle persone affette dalla
Sindrome di Down, promossa dalle Nazioni Unite. Proprio l’Onu lo scorso
dicembre ha istituito di celebrare una giornata in cui: “assicurare e
promuovere la piena realizzazione dei diritti umani e delle fondamentali
libertà per ogni persona con disabilità è un aspetto critico nel raggiungimento
degli obiettivi concordati di sviluppo internazionale”. Nella risoluzione si richiama alla necessità
di “riconoscere la dignità, il valore e il significativo contributo delle
persone con disabilità intellettive nel promuovere il benessere e la diversità
della loro comunità, e l’importanza della loro autonomia individuale e indipendenza,
includendo la libertà di poter fare le proprie scelte”, infine nel documento si
incoraggiano gli stati membri “a prendere iniziative per promuovere la
consapevolezza dentro la società, compreso in ambito familiare, a riguardo
delle persone con sindrome di Down”.
Nella risoluzione non c’è alcun
cenno al tema dell’aborto eppure quando si parla di Sindrome di Down non si può
non considerare che oggi in Italia 1 bimbo nato su mille all’anno è affetto dalla Trisomia 21, un dato che appare
neutro, ma acquista significato se letto nel contesto in cui lo propone, uno
tra tanti, l’Indagine sulla qualità delle persone down stilata nel 2007 dal
Comune di Roma: “Al concepimento l’incidenza della Trisomia 21 risulta identica
in tutte le popolazioni del mondo e si comporta come una costante biologica
naturale: in tutti i paesi dove le tecniche anticoncezionali, la diagnosi
prenatale e l’interruzione di gravidanza non sono ancora attuate, nasce circa
un bambino Down ogni 650 nati vivi, come succedeva anche in Italia fino agli
anni Settanta”. Come a dire che le tecniche anticoncezionali, la diagnosi
prenatale e l’interruzione di gravidanza sono segno di progresso e civiltà.
Come se si prendesse ad esempio la Danimarca, che secondo uno studio pubblicato
lo scorso anno ha visto un crollo vertiginoso dei nascituri affetti da sindrome
di Down e prevede (auspica?) che entro il 2030 non ne nascerà più nessuno.
Scrive a tal proposito Jean Marie
Le Mene, presidente della Fondazione Jérôme Lejeune: “La paura, che ci pone in
una situazione di aggressività, suscita naturalmente una reazione di difesa. Di
fronte all’handicap mentale di origine genetica rappresentata dalla trisomia
21, la società ha pensato di doversi difendere praticando l’esclusione in utero
dei bambini colpiti. I recenti sviluppi delle tecniche di procreazione
medicalmente assistita permettono ora di considerare l’esclusione in vitro dei
bambini affetti. Nei due casi, la società cerca tuttavia di dissimulare la sua
paura dietro alle buone domande e alle cattive risposte” […]
“Come fare affinché tutti i
bambini nascano sani? A questa domanda legittima, la Diagnostica Prenatale non
propone una risposta ma la seguente diversione: per sopprimere l’handicap,
sopprimono l’handicappato, con l’eutanasia fetale. Fin da allora, la messa in
opera del DPN non può condurre che ad una inversione completa delle priorità.
Invece di cercare di capire l’handicap per arrivare a guarire il bambino, si
sopprime il bambino con il rischio di continuare ad ignorare tutto dell’handicap.
Si punta tutto sulla diagnostica e nulla sulle terapie, con la volontà
deliberata di restare in una mortale ignoranza. Il caso di depistaggio della
trisomia 21 è la figura simbolica.” […]
“La diagnostica pre-impianto
pretende di dare un’alternativa all’alternativa precedente. Come evitare
l’eutanasia fetale dei bambini handicappati? Tra parentesi, questa domanda
mostra bene che l’esito proposto alla fine del DPN non era soddisfacente poiché
tenta di sfuggirci. E’ perché, la soluzione proposta dalla DPI per evitare di
uccidere in utero i bambini handicappati è di concepire in vitro solo dei
bambini sani. Al posto di estrarre, uccidendo, un bambino non desiderato dal
ventre di sua madre, l’idea consiste nell’impiantare solo bambini desiderati.
Ancora una volta, si è in presenza di una diversione poiché evidentemente, la
soluzione non è quella buona. L’inversione che ne risulta mostra che non è più
la medicina che assiste la procreazione ma la procreazione che assiste la
medicina. L’arte medica non migliora in niente. L’uovo fecondato è selezionato
in una specie di covata o è semplicemente la legge dei numeri che va a fare la
qualità. Poiché il ciclo della donna sarà stato stimolato, con tutti i rischi
che ciò comporta e che non sono sempre riconosciuti, ci saranno parecchi
ovociti prelevati, fecondati in vitro e dunque un numero sufficiente di
embrioni. Tra i quali si potrà effettuare la selezione dei migliori,
l’eliminazione dei meno buoni e la conservazione dei “soprannumerari”. In altri
termini, l’aborto del feto in utero è sostituito, con la DPI, l’aborto
dell’embrione in vitro, in condizioni in apparenza meno dolorose ma in realtà
molto più perverse".
Ecco perché nella prima giornata
dedicata alla Sindrome di Down è giusto dare una priorità ai loro diritti, non
ci sarà nessuno da tutelare il 21 marzo del 2100 se oggi si nega loro il
diritto di nascere in nome di un presunto diritto della mamma di eliminare un
figlio imperfetto. Non ci sarà nessuna giornata per le persone affette da
Sindrome di Down se non si ribadisce il sì incondizionato alla vita.
Allora, instancabilmente, bisogna
ripetere quello che ci ricorda Le Mene:
La trisomia 21? E’ un uomo.
Si deve verificare la sua
conformità prima della nascita?
Non c’è niente da fare per
curarlo?
Il feto non è che un ammasso di
cellule?
L’aborto non uccide nessuno?
Fabbrichiamo un embrione?
Congeliamolo se è riuscito?
Diamolo alla vivisezione se è
fallito?
Un uomo è un uomo, è un uomo!
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