GIUSTIZIA/ 1. Quando l'attacco al matrimonio viene dal
"sentimento" dei giudici Guido Piffer, Tomaso Emilio Epidendio,
Giuseppe Ondei - lunedì 19 marzo 2012, http://www.ilsussidiario.net
La recente sentenza della
Cassazione sulle coppie gay (n. 4184) è solo l’ultimo di una serie di casi che
legittimano qualche domanda sui criteri che ispirano i giudici a proposito di
famiglia e di matrimonio. Un problema in realtà molto più ampio, sul quale gli
autori cercano di far luce. Primo di tre articoli.
Una delle maggiori difficoltà che
oggi si registrano è quella di rendersi conto della reale dimensione dei fenomeni
in cui si è coinvolti, delle “logiche” che danno loro forma e dell’enorme
incidenza che queste hanno sulla vita delle persone. Chi desidera formarsi una
propria convinzione, libera e responsabile, su un certo argomento, deve
affrontare questa sfida e provare a stanare le posizioni implicite, o quelle
acriticamente assunte come incontestabili, oppure frutto di un condizionamento
ideologico, di cui tutti gli interlocutori sono più o meno consapevolmente
affetti. Cercheremo di farlo a proposito del dibattito sulle nuove forme di
famiglia e di matrimonio, dibattito che coinvolge la concezione del diritto e
della giustizia attualmente dominante.
Ogni epoca ha il suo “spirito del
tempo”, un modo di affrontare i problemi, un punto di vista privilegiato sulle
cose e le questioni quotidiane, che risulta a tal punto diffuso in un
determinato periodo storico, da rendere difficile perfino averne consapevolezza
e sul quale, quindi, risulta difficile addirittura avviare una discussione o
una riflessione critica.
In questo momento, nel diritto,
lo spirito del tempo si incarna in quello che potremmo definire un “approccio
sentimentale” alla giustizia, un approccio, cioè, in base al quale si
privilegiano le soluzioni alle questioni giuridiche che sentiamo emotivamente come
giuste: la decisione si legittima più per la sua conformità a tale asserito
senso di giustizia che per il rigore dell’argomentazione, il rispetto della
norma, la coerenza con i presupposti e le argomentazioni sulle quale si fondano
altre decisioni, con il grave rischio dell’adozione di decisione
contraddittorie da caso a caso.
Non di rado tale approccio
“sentimentale” trova terreno fertile nella sempre più massiccia adozione di un
metodo – che in parte richiama la tradizione casistica di common law, ispirante
le corti sovranazionali con le quale sempre più di frequente il giudice
nazionale è in contatto – in base al quale si privilegia l’attenzione al caso
concreto e agli “effetti” della decisione, a discapito di preoccupazioni di
ordine sistematico o di “presupposti”.
Un approccio sentimentale al
diritto e alla giustizia può affermarsi perché sussistono determinate
condizioni che favoriscono un’accresciuta discrezionalità giudiziaria: crisi
dello Stato e del formalismo giuridico (specie nelle declinazioni che
definiscono il giuridico secondo forme di validità meramente procedurale);
molteplicità delle fonti normative; ipertrofia della produzione legislativa e
crisi del principio di gerarchia delle fonti come criterio principe di
soluzione dei conflitti tra norme; crisi della dogmatica giuridica con
conseguente scarsa attenzione ai problemi di sistematizzazione generale e
concentrazione, invece, sulla soluzione dei singoli casi concreti; estrema
velocità e continuità dei mutamenti normativi; esigenza di integrazione in
ordinamenti sovranazionali o sistemi a sovranità condivisa la cui struttura
normativa, per garantire la propria compatibilità con i differenti sistemi
nazionali, deve essere meno rigidamente prescrittiva e più duttile, ponendosi
quindi come diritto per principi la concretizzazione dei quali finisce per
essere riservata alle giurisprudenze nazionali, il cui conseguente più ampio
margine di apprezzamento discrezionale progressivamente restringe l’importanza
del diritto di fonte politico-parlamentare.
Per fare un esempio, è
significativa in proposito la casistica offerta dalla giurisprudenza nazionale
in punto di risarcimento dei danni: partendo dalla declamazione di principi
generali contenuti in carte costituzionali e internazionali si è giunti non di
rado al riconoscimento di diritti che ben potremmo chiamare “immaginari”
(diritto alla vita felice, alla serenità, ecc.), la lesione dei quali fonda
tuttavia la condanna ad un risarcimento dei danni.
L’irrompere del “sentimento di
giustizia” nel diritto non è privo di buone ragioni e deve certamente
riconoscersi come esso nasca da una reazione agli eccessi del formalismo
giuridico e alla caduta dell’illusione della pretesa neutralità delle
operazioni interpretative e di applicazione della legge.
Tuttavia, sono evidenti i rischi
di un simile “sentimentalismo”, quello cioè di rendere le decisioni sempre più
imprevedibili e contraddittorie, in quanto legate alla soggettiva e mutevole
emozionalità delle singole persone, fino ad arrivare ad uno scontro acceso tra
posizioni irriducibili in quanto non fondate su ragioni, ma appunto su
sentimenti, che si provano e non si argomentano, ciò che potrebbe portare (se
non ha già portato) ad una crisi dell’attività di motivazione dei
provvedimenti.
Uno degli indici più evidenti,
infatti, di un diritto fondato sul sentimento è l’inversione del procedimento
di decisione: non si arriva, invero, alla soluzione della questione giuridica
attraverso l’analisi comparativa degli argomenti a favore e contro le possibili
opzioni prospettate o prospettabili nel caso sottoposto ad esame, ma si sceglie
la soluzione che si “sente” come giusta e si passa, poi, a cercare gli
argomenti a sostegno, spesso senza neppure preoccuparsi della loro coerenza,
come avvenuto, ad esempio, nelle diverse decisioni sul cd. fine vita, tutte
accomunate dall’identità del metodo sentimentale, pur nella differenza delle
conclusioni raggiunte.
In questo modo si creano
conflitti molto aspri su questioni delicatissime che, da un lato, risultano
ancora più accesi per la passionalità del loro fondamento e che, dall’altro,
non risultano in alcun modo componibili, perché gli argomenti spesi nelle
discussioni in realtà non supportano le conclusioni, ma sono solo reperiti “a
posteriori” con funzione retorico-persuasiva, cosicché la loro confutazione non
incide sul reale e sottaciuto fondamento sentimentale delle stesse.
Dopo questa lunga, ma necessaria
premessa, senza la quale non sarebbe possibile comprendere la reale dimensione
del fenomeno, occultata da retoriche, ideologismi e pigre abitudini culturali,
si può tornare al tema del matrimonio e della famiglia, proprio perché esso
costituisce un buon esempio del modo in cui un approccio sentimentale alle
relative questioni giuridiche possa operare e di quali conseguenze possa avere.
(1 – continua)
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